Qual è il limite umano del perdono?

di Giuliva di Berardino

GESÙ CI MOSTRA BENE CHE PERDONARE, PER GLI ESSERI UMANI È, E DEVE ESSERE, UN ATTO DI FEDE

Il Vangelo di oggi ci presenta una parabola che Gesù pronuncia in seguito alla domanda di Pietro: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?” Questa domanda di Pietro è una domanda lecita, non tanto perché Pietro è una persona che cerca di capire l’insegnamento di Gesù, ma perché Pietro è un ebreo e per un ebreo il perdono che gli uomini possono darsi tra loro è diverso da quello di Dio che è infinito ed eterno. L’uomo ha un limite a tutto, perfino alla vita, e perciò, come cerca di capire Pietro, anche al perdono.

Ecco allora che la parabola con la quale Gesù risponde a Pietro si presenta proprio come  un insegnamento che ci aiuta a superare questa concezione del limite umano, per quanto riguarda la questione del perdono, perché il perdono non può essere un elemento che determina il limite umano, ma che lo supera e, in questo, possiamo superarci. Gesù ci mostra bene che perdonare, infatti, per gli esseri umani è, e deve essere, un atto di fede, una dimensione che passa attraverso la relazione umana, ma che apre l’essere umano alla dimensione eterna di Dio. E questo avviene perché il nostro perdono verso l’altro è, in qualche modo, proporzionato al perdono che Dio esercita in nostro favore.

La storia che racconta Gesù ci offre proprio questa comprensione: un re fa i conti del suo patrimonio con i servi e  si presenta davanti a lui un servo, il quale ha un grande debito verso il padrone, ma non può pagarlo. Il re, dopo la supplica del servo decide di condonargli il debito, ma poi questo servo non si comportò come il suo padrone nei confronti di un altro servo. Così il re obbligherà il servo a restituirgli il suo debito. La parabola termina con queste parole: “Così anche il Padre mio celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello“.

Questa frase ci fa cogliere come il perdono sia un atto di fede, per lasciar andar via il male che subiamo da una determinata persona, per cercare di restituirle la possibilità di ricominciare una nuova vita, senza il peso di quel male. Infatti, se non decidiamo di annullarlo, quel peso resta, e non solo su di noi, ma su entrambi. Per questo il Vangelo ci informa che questo atto di fede, che è il perdono,  va fatto “di cuore“, perché parte dal cuore e mette in azione la libertà. Nel perdono diamo libertà a noi stessi e all’altro che ci offende, facendo crescere la speranza che fa bene all’anima, distende il volto e illumina lo sguardo.

In questo giorno, e in tutto questo tempo di Quaresima, scambiamoci il perdono e apriamoci alla speranza! Certo, non è così facile, ma questo è il tempo in cui ci è data la grazia di sradicare il male che resta in noi, per alleggerirci del peso che ha provocato in noi non quella persona che ci ha offeso, ma il male che entrambi subiamo!  Ricordiamoci che nulla è impossibile se invochiamo la grazia di Dio, ricordiamo che tutti noi possiamo perdonare “non fino a sette volte, ma settanta volte sette“, proprio come oggi ci annuncia il Vangelo.

Buona giornata con il Vangelo di oggi (Mt 18, 21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

 

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