La madre di tutti i mali è la Superbia

di Francesco Pisani

ALLA SUPERBIA SPETTA, SENZA DUBBIO, LA CORONA DI MALE PIÙ TERRIBILE DI CUI È AFFLITTA LA TERRA

“O umili, voi fate la dolcezza e la bellezza della vita” ha scritto Montesquie, nelle Lettere persiane. “Voi credete di non possedere nulla, ed io vi dico che possedete tutto. Voi credete di non umiliare nessuno, e voi umiliate tutti. Quando io vi confronto nella mia mente con quegli uomini superbi che veggo dappertutto, io li precipito dai loro pulpiti e li metto ai vostri piedi”. Se fosse possibile immaginare una gerarchia di mali, all’ignoranza spetta forse il primato come morbo più funesto del genere umano, ma alla superbia spetterebbe, senza dubbio, la corona di male più terribile di cui è afflitta la terra – essa è riscontrabile persino tra gli animali: il vertice da cui tutti gli altri mali non sono che delle sue proiezioni.

Il primo a caderne vittima fu Lucifero, la sua caduta generò odio e divisione, persino in Paradiso; il secondo fu Caino, colpevole del superbo orgoglio nei riguardi del fratello: il suo delitto inaugurò la lunga sfilza di omicidi, misfatti e sventure della storia umana. Un’altra vittima fu Narciso, accecato dalla superbia del suo corpo al punto da annegare nel suo riflesso – possiamo in ciò definire il narcisismo, tanto comune nel nostro tempo, come una degenerazione della superbia.
Il superbo è paragonabile a chi beve continuamente da una fonte che non potrà mai dissetarlo, un insicuro che pretende di farsi grande con la sua ombra.

Non vi è dubbio che la superbia costituisca la più terribile sventura che sia piombata sulla terra.
Essa è il principio di ogni peccato, diceva San Bonaventura. La sua azione è così distruttiva perché, mentre l’ira e l’avidità sono mali riconoscibilissimi in che ne è portatore, la superbia, al contrario, è un male che non sempre è facile riconoscere e smascherare, perché può impadronirsi di chiunque, anche dietro le migliori intenzioni. Si dice che persino alcuni santi ne furono vittime, così come quasi tutti i leader politici, e da ciò si spiega anche il fallimento di quasi tutte le rivoluzioni dopo che i leader, raggiunto il potere e avendo bevuto alla sua sorgente avvelenata, caddero vittime della sua implacabile fattura.

Più una persona è retta e animata dai più nobili propositi, e più facilmente potrà cadere vittima delle sue grinfie, anche inconsapevolmente. Quante personalità, apparentemente, straordinarie troviamo: capi politici, religiosi, accaniti sostenitori di grandi ideali umanitari, propulsori di istanze sociali, in grado di affascinare le masse con la loro grinta, la loro intelligenza e la capacità verbale, riuscendo a farle vibrare all’unisono, ma che nel profondo del cuore, spesso, nutrono il più profondo disprezzo per quegli stessi che con tanto fervore pretendono di amare.

Mussolini era solito ripetere: “Io desidero solo il bene dell’Italia” e non si fa fatica a credere alle sue buone intenzioni, ma questo presunto “bene” in che modo è stato dimostrato? Quanti parolai dai bei discorsi impacchettati troviamo, ma che nello stesso tempo sono incapaci di un banalissimo gesto spontaneo di umanità verso il prossimo. Per capire se una persona è davvero animata da sentimenti retti è importante considerare il modo in cui vive la sua vita, quanta concretezza ripone nelle parole che esprime. In genere i veri altruisti, i saggi, i buoni amano vivere nell’anonimato, nell’ombra della loro bontà. Il Vangelo insegna a riguardo: “Non sappia la tua destra quello che fa la tua sinistra” (Matteo 6,1-4).

Le masse, però purtroppo, amano farsi incantare dai sofisti, dai maghi delle parole, dai dittatori del pensiero, che dietro la loro straordinaria capacità oratoria incatenano i popoli alle loro prigioni di cristallo. Per vincere la superbia è fondamentale, in ogni gesto della vita quotidiana, essere spinti in prevalenza da spirito altruistico, dalla comprensione che il nostro bene personale non può essere disgiunto dal bene degli altri.

La superbia, attraverso la vanità, si diffonde più facilmente nelle persone intelligenti, in chi si ritiene più buono o migliore degli altri. E’ comprensibile e umano che in presenza di una persona che si comporta in modo stupido, sgarbato e prepotente ci si ritenga “migliori” perché non afflitti dai suoi stessi mali, ma è una contraddizione esaltare se stessi a dispetto delle mancanze altrui. Chi si ritiene migliore di un altro deve tener presente che ci sarà sempre nel mondo qualcuno migliore di lui, che potrebbe giudicarlo e biasimarlo per altre mancanze che lui non sente ancora di avere, e così via in una catena infinita. Essere più evoluti di un’altra persona non ci dà il diritto di ritenerci migliori. E’ uno sputo che una volta emesso ricade sempre su noi stessi.

E’ fondamentale non odiare nessuno e non entrare in contrasto con gli altri, anche se a volte può sembrare un parossismo in un mondo dove i rapporti con il prossimo sono sempre più improntati sulla diffidenza, la competizione, il rancore e la rabbia inespressa: tutti sentimenti che come rasoi affilati lacerano l’anima dall’interno. Oggi è molto più facile divenire superbi e vanitosi, a causa dell’epoca di decadenza e di grossolana ignoranza entro cui viviamo.

L’odierna competizione stolta, la mania di primeggiare, la corsa al guadagno rendono per natura l’uomo superbo e nemico del prossimo. E’ indubbio che vi siano epoche, come quella attuale, in cui applicare determinati principi può risultare estremamente ostico e complicato. Essere, ad esempio, generosi e solidali in un’epoca in cui il successo economico rappresenta nella vita dell’uomo medio la massima aspirazione può sembrare assurdo e controproducente, ma è nella capacità di essere giusti che si riconosce la vera bontà di una persona. Non rispondere alle critiche o agli insulti è estremamente complicato.

Per questo motivo il divino maestro esplicò la legge dell’amore universale, anche verso chi si macchia di crudeli ingiustizie, nella frase: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Luca, 23, 33-34). Amare il prossimo e vedere negli altri l’immagine di Dio e di noi stessi non è possibile solo attraverso la fredda razionalità della mente. Un simile impulso deve partire dal più profondo del cuore, da un modo di essere dell’anima. E’ fondamentale, come dice il proverbio: farsi semplice con i semplici e grande con i grandi. E’ stato scritto: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire” (Marco, 10,35-45). Fare ciò è molto difficile, indubbiamente, ma è l’unica strada da seguire, se vogliamo davvero crescere ed evolvere nel cammino della vita.

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