La Vandea, il primo genocidio dimenticato

di Pietro Licciardi

ALFREDO OMAR LESSI RIEVOCA UNA PAGINA ASSAI SCOMODA DELLA RIVOLUZIONE GIACOBINA, CHE STERMINO’ SEICENTOMILA PERSONE NEL SOLO DIPARTIMENTO A SUD DI NANTES

Sono tante, troppe le amnesie della storiografia “ufficiale”, quella propinata al volgo attraverso la scuola di stato, i media e i libri di storici più attenti a cogliere le opportunità per la propria carriera che la verità storica. Una riguarda la Rivoluzione Francese, di cui volentieri si dimentica il terribile costo umano inflitto alla povera Francia e soprattutto al povero popolo francese, che pagò col sangue le ubbie e le farneticazioni illuministe. Ma soprattutto pagarono i cattolici. Non soltanto i preti e i religiosi perseguitati e ghigliottinati a migliaia ma pure i fedeli che non vollero chinare il capo di fronte ai nuovi idoli imposti dalla Repubblica. Più di tutti pagò il popolo della Vandea, dipartimento della Francia occidentale, a sud di Nantes, sterminato in quello che a buon diritto possiamo considerare il primo genocidio dell’epoca moderna.

Di loro però non si è dimenticato Alfredo Omar Lessi, livornese, coordinatore della Polizia di Stato in pensione, da sempre appassionato di storia e autore di un romanzo da poco pubblicato in vendita online su numerose piattaforme. Il titolo è: Vandea il genocidio e le domande di Colbert. 

Allora, perché proprio la Vandea e soprattutto cosa è successo in quel lembo di Francia?

«Innanzitutto perché la Vandea è un argomento praticamente ignorato dalla storia. Come appassionato cerco sempre gli episodi più trascurati e scottanti e questo lo è, soprattutto per la Francia, dove dopo duecentotrent’anni ancora si stenta a parlare di quei drammatici fatti che videro la morte di più di seicentomila persone su una popolazione di ottocentomila. Un vero genocidio».

Siamo alla fine del Settecento, quindi in piena Rivoluzione Francese. E’ in questo ambito che si svolsero i fatti?

«Si e furono diversi i fattori scatenanti. Nel 1789 scoppia la Rivoluzione ma non assunse subito i connotati drammatici che avrà con Robespierre e il Terrore. Le notizie arrivavano da Parigi alla Vandea e alla Bretagna in maniera attenuata. Ricordo che si trattava di aree rurali, lontano dalla capitale e lontano dalle poche città di una certa importanza. Qui la Rivoluzione arrivò in ritardo ma quando arrivò mostrò subito il suo carattere platealmente anticristiano e la volontà di cancellare tutto ciò che aveva a che fare col passato; inoltre impose la leva obbligatoria, che avrebbe tolto braccia alla principale fonte di sostentamento che era l’agricoltura ma soprattutto iniziò a perseguitare i parroci, che lì, come del resto in tutta l’Europa cattolica e rurale, avevano una funzione essenziale, essendo un riferimento per tutta la comunità. Il prete era un vero padre per tutti, capace anche di mediare tra il popolo e il nobile feudatario. La Rivoluzione polverizza quel tipo di società dalle radici secolari; senza contare che i francesi e i vandeani in particolare erano un popolo attaccato alla monarchia e amava il proprio re il quale invece fu ghigliottinato proprio dalla Rivoluzione».

Insomma, ai vandeani fu imposto di combattere per una nuova patria che non riconoscevano perché gli aveva già tolto quasi tutto: l’antica organizzazione sociale, il re legittimo e anche i figli…

«E infatti nel 1793 scoppiano i primi tumulti che porteranno alla costituzione di una armata del tutto spontanea che i vandeani chiameranno Armée catholique et royale che, unica in tutta la Francia, si oppose militarmente alla Rivoluzione. Nei libri di storia non c’è scritto ma anche a Lione, Marsiglia, Tolone… in tutta la Francia vi furono insurrezioni antigiacobine che però furono subito represse nel sangue. In Vandea invece i volontari furono centomila e si armarono di vanghe, picconi e qualche fucile. Soprattutto si armarono di fede. Come cattolico la cosa che mi ha colpito di più è stata vedere come i vandeani hanno lasciato le proprie case, le famiglie – sulle quali poi si accanirono in particolare le “colonne infernali” repubblicane – per combattere una guerra che sapevano perduta considerata la potenza dell’esercito rivoluzionario. Tutto per la fede in Cristo. E infatti il loro simbolo fu il Sacro Cuore di Gesù, che io ho voluto mettere sulla copertina del libro».

Quale fu la risposta di Parigi?

«All’epoca dell’insurrezione era già al potere Robespierre, la cui personalità definirei senz’altro demoniaca, e infatti mandò subito in Vandea un esercito composto per lo più di alsaziani, ovvero coscritti provenienti da una parte della Francia che confinava con la luterana Germania e dunque già maldisposti versi i cattolici, con l’ordine di reprimere e sterminare gli insorti. I suoi generali, alcuni dei quali si fecero in Vandea una fama sinistra tanto da essere poi “arruolati” da Napoleone per le sue campagne, non se lo fecero ripetere e in breve tempo sterminarono seicentomila vandeani, il 70% dei quali donne e bambini anche sotto un anno di vita, dopo aver inflitto le più indicibili torture. Una di queste era il “matrimonio repubblicano”: un sacerdote era legato in pose sconce ad una giovane donna, entrambi nudi, e poi gettati nel fiume ad annegare. Solo a Nantes ci furono ottomila annegamenti. E poi gente bollita viva, squartata, donne stuprate. Ovviamente non descrivo quello che facevano a suore e sacerdoti».

Lei ha parlato di seicentomila uccisioni. Quindi la Rivoluzione, che doveva essere del popolo e per il popolo, alla fine il popolo lo ha invece sterminato…

«Infatti non è affatto vero che i giacobini ce l’avevano con la nobiltà. I nobili uccisi furono appena il 7%, e questo l’ho saputo andando a guardare negli archivi, mentre il resto erano popolani o piccolo-borghesi. Oltre ai seicentomila della Vandea ci sono anche i centottantamila ghigliottinati in due anni e mezzo nella sola Parigi e poi i morti ammazzati nelle altre rivolte e città. C’è da chiedersi dove trovassero il tempo per uccidere così tanta gente».

Del resto la Rivoluzione era il progresso mentre i vandeani erano controrivoluzionari da schiacciare. Tipico tra l’altro di tutte le rivoluzioni successive, o no?

«Certamente; i contadini vandeani erano un passato che doveva essere assolutamente cancellato; tanto che i giacobini cambiarono anche il calendario e suddivisero il mese in tre decadi, sopprimendo così la domenica da sempre dedicata al Signore. E’ un peccato che della Vandea nelle scuole e altrove non si parli, come se il genocidio di seicentomila persone fosse un incidente di percorso all’interno di un evento positivo come la Rivoluzione. Purtroppo non è così. Al grido di libertè, fraternitè ed egalitè è stata sterminata una marea di gente con la sola colpa di essere cattolici. Io credo che la Rivoluzione non fu una “filosofia” ma una ideologia votata alla scristianizzazione. Lo stesso Voltaire negli ultimi anni di vita ha firmato tutte le sue lettere con “calpestate l’infame”, dove l’infame è Nostro Signore. Condorcet diceva di non essere contento fintanto l’ultimo re non fosse stato impiccato con le budella dell’ultimo prete. Se questi erano i capi e i maestri… Inevitabile la Rivoluzione prendesse la piega criminale che ha preso».

Dopo questa descrizione delle glorie rivoluzionarie, come è nata l’idea di scrivere un romanzo?

«Di romanzi sulla Vandea ce ne sono pochissimi. Prima di me ne hanno scritto uno Jules Verne e Victor Hugo nell’Ottocento e non sono stati pubblicati, tanto per dire qual era il clima. Il romanzo permette di esprimere la mia personale sensibilità pur all’interno di un quadro storico rigoroso per di più di un periodo storico che ha messo in moto eventi, come la rivoluzione di Ottobre, il Maggio francese e il ’68 italiano, che ancora oggi fanno sentire il loro peso. Pensiamo solo a cosa è costato il comunismo nel mondo».

A chi è indirizzato il suo libro? 

«Io credo che la verità debba sempre venire fuori e quindi il libro è indirizzato a chiunque ama la verità. La Rivoluzione francese ha portato qualcosa di buono ma è molto più il male che ha fatto. Basta guardare il mondo in cui viviamo o l’ultimo Festival di Sanremo, dove c’è una assoluta caduta di valori e di morale e io non sono certo un beghino: portavo i capelli lunghi negli anni Settanta, ascoltavo Jimi Hendrix, i Led Zeppelin e ho vissuto la stessa vita che hanno vissuto gli altri giovani. Però ci hanno dato una chiave di lettura unica. Con questo romanzo mi rivolgo a chi vuole essere controcorrente, contro il pensiero unico, a chi vuole rivalutare la nostra tradizione e la figura di Cristo. Oggi non possiamo non reagire al male che ci circonda e alle tradizioni che spariscono. Se oggi un giovane vuole essere veramente ribelle deve andare necessariamente contro il pensiero unico e questo mio romanzo è un buon inizio».

Per concludere, cosa insegna oggi a noi cattolici l’epopea della Vandea?

«Parlo per me. Sono stufo di vedere un mondo come quello in cui viviamo oggi. Eppure vengo dalla generazione post-Sessantotto, che ha beneficiato del sei politico, ma quello che vedo è che sono riusciti a scristianizzare l’Europa e il mondo, e non sono contenti; vanno avanti. Stanno condizionando le menti, soprattutto dei giovani, a vedere le cose in un certo modo dimenticando che il motore di tutto è Dio. Noi italiani in particolare dovremmo amare la storia perché tutto quello che abbiamo e ci circonda viene dalla nostra tradizione cristiana. Cosa ci insegna la Vandea? Ad essere controcorrente, ad avere il coraggio di difendere ciò in cui crediamo, perché l’attuale andazzo deve finire poiché non si può andare avanti così. Tanto più che l’attuale relativismo culturale e perfino il politicamente corretto affondano le loro radici proprio nella Rivoluzione, Le lancette della storia non tornano indietro, ma così non si può andare avanti e forse anche chi cattolico non è l’ha capito, tanto è vero che anche sul piano politico qualcosa in Italia è cambiato. Adesso il solo ribellarsi a ciò che ci vogliono imporre è di per se un atto nobile, indipendentemente dall’essere cattolici, o no. Dovremmo essere tutti un po’ vandeani».

 

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