Male, orgoglio, invidia, odio: sulle trasgressioni peccaminose e i valori cristiani oggi calpestati

Male, orgoglio, invidia, odio: sulle trasgressioni peccaminose e i valori cristiani oggi calpestati

di Francesco Bellanti

IL PECCATO: UNA RIFLESSIONE 

Teodoro Gundar, un intellettuale frustrato è un professore di provincia, uno scrittore tormentato, che attraverso un suo amico genetista, a capo di una società occulta, la Società Thule, è venuto in possesso della formula dell’immortalità ottenuta attraverso immorali esperimenti sulla clonazione ossea e la vuole usare per sé e per la sua compagna.

Il piccolo sacerdote entrò veloce da una porta laterale, superò ancora più rapidamente la balaustra davanti all’altare e si fermò nel mezzo della cappella circondato da mazzi di fiori ingialliti inodori dietro le deboli fiammelle delle candele, guardò nel buio grave e silenzioso. Vide solo un uomo, vide Gundar seduto sul primo banco alla sua sinistra. Solo timide pallide luci, argentee lance sottili penetravano nella cappella dagli spiragli delle persiane abbassate, incerte luci scialbe sui banchi, sui quadri di angioli e di santi, sul volto insonne ma calmo di Teodoro Gundar.

Il prete prese dalla tonaca alcuni fogli, ne osservò per un attimo la scrittura, quindi li posò su un leggio alla sua destra e non se ne curò più. Poi, in un silenzio pregno già di tante domande, illuminato solo dai primi incerti argentei bagliori dell’alba che si stampavano sul suo viso densi e scarlatti, guardando davanti a sé con occhi severi e grevi il vuoto oltre Gundar che lo avvolgeva, così cominciò a parlare in tono fermo e sicuro, come un predicatore della fine:

In questo breve momento, Gundar, in cui siamo lontani dal tumulto delle passioni del mondo, è doveroso riflettere sul senso del peccato e dell’inferno. L’uno precede l’altro, perché senza il peccato non esiste l’inferno. Perciò è giusto che io ti parli prima del peccato, Gundar. E per parlare del peccato, bisogna partire dal principio. Per parlare del peccato, bisogna parlare prima della vita peccaminosa, poi della morte, quindi del giudizio universale, e infine    dell’inferno.

Tutto comincia dal principio, Gundar. Sin dal principio, il peccato è un precipitare. È un decadere, è il discendere, il non finire mai nel basso, è il declinare inarrestabile della coscienza, il disvalore assoluto del tempo.

Il peccato è il precipitare nel baratro di Lucifero, di Adamo ed Eva. È il precipitare dell’uomo. Il peccato è sempre un precipitare, uno scendere, un degradare, il decadere dall’umanità allo stato ferino.

Tutto comincia dal principio, e il principio è il peccato d’orgoglio. Dal peccato di orgoglio hanno origine tutti i mali. Chi si fa abbattere dall’orgoglio,  Gundar, ha già commesso tutti i mali, tutti i peccati, perciò dovrà soffrire tutte le sofferenze, tutte le pene dell’inferno.

Tutto comincia con la caduta, il tempo, la storia, tutto comincia con la caduta, Gundar. E la caduta è il peccato originale, il peccato d’orgoglio. Tutta la storia del genere umano ha inizio con un attimo di follia, la morte entra nella storia a causa di un momento di debolezza, una ribellione perduta in partenza. Con un istante di ribellione, di orgoglio dell’intelletto, l’uomo ha perduto l’eternità e la gloria.

Il primo pensiero peccaminoso è stato un pensiero d’orgoglio, Gundar, quello di Lucifero che volle farsi uguale a Dio. Lui, Lucifero, il più grande, il più bello, il più potente degli angeli, lui, l’angelo radioso del mattino, il figlio  dell’aurora, in un istante ebbe la sua rovina. Lucifero precipitò. Insieme con un immenso esercito di angeli ribelli. Precipitò nell’inferno, per sempre. E divenne  il Diavolo.

Poi venne il tempo di Adamo ed Eva. No, Gundar, questa non è una favola per bambini. Dio creò davvero per loro il paradiso terrestre, un giardino lussureggiante ed opulento, ricco di frutti e di messi, di animali docili e mansueti, di uccelli, un giardino splendente e profumato. Adamo ed Eva avevano tutto ciò che può rendere felici gli uomini, la bellezza, la salute, l’amore, la libertà dal bisogno, essi non conoscevano la malattia, la povertà, la morte, tutte le sofferenze che sono eredità della carne. Avevano tutto ma peccarono d’orgoglio, disubbidirono a Dio, mangiarono il frutto dell’albero proibito, peccarono d’orgoglio, e precipitarono.

Il precipitato dai Cieli, il sozzo Demonio, in forma di serpente, il più viscido di tutte le bestie, invidiava Adamo ed Eva perché essi – fragili creature d’argilla – possedevano ciò che lui non poteva più possedere in eterno per il suo peccato. Con la sua eloquenza, il Tentatore velenoso e astuto fece mangiare la mela ad Eva, creatura debole, dicendole che se lei e il suo uomo l’avessero mangiata sarebbero diventati uguali a Dio. Ne mangiarono, gli sventurati, e precipitarono anch’essi. Che tu ci creda o no, Gundar, la verità è semplice. La storia dell’uomo comincia con un peccato, il peccato d’orgoglio. Tutti i peccati che seguono sono tutti peccati derivati dall’orgoglio. Poi Dio ebbe pietà dell’uomo, e promise che avrebbe mandato Suo Figlio per redimere l’umanità dal peccato originale. Ma questa è un’altra storia, Gundar: oggi io ti devo raccontare la storia del peccato e dell’inferno.

Ti chiedi adesso che cos’è la caduta dopo il peccato originale, in che cosa consiste la natura del peccato dell’uomo nella storia.

Oh, Gundar! Per colpa dell’uomo, infinite sono diventate le vie del peccato! Pecca chi trasgredisce la legge di Dio, chi è involto nei piaceri della carne, chi non conduce un’esistenza cristiana al cospetto di Dio e degli uomini, chi non si allontana dal mondo materiale. Pecca chi non conduce un’esistenza cristiana gioiosa e felice, devota e santa, chi non riflette sul mistero dell’unica vera e santa religione, sul perché di questo nostro breve passaggio sul palcoscenico dell’esistenza. Pecca chi non si prepara alla morte, chi si farà trovare impreparato al momento in cui sarà chiamato da Dio al rendiconto dei servigi fatti durante il rapido tempo dell’esistenza terrena. Perché gli uomini, Gundar, non dimenticarlo, sono venuti al mondo, sono stati assegnati al mondo, solo per salvare la loro anima, che è l’unica cosa che hanno di immortale.

La salvezza dell’anima è l’unica cosa importante, voglio ricordarti, Gundar: quante volte il Demonio ha promesso – e spesso dato – tutte le ricchezze della terra per corrompere un’anima, non voglio perdere tempo nel ricordarti tutta la letteratura sul genere, prima e dopo Faust. Non c’è nulla in questo mondo che possa compensare una perdita così sventurata, non la gloria, o il successo, o il sesso, o il denaro, o il possesso dei beni terreni, o il potere sugli uomini.

Questo è il peccato, Gundar. Peccato è il torpore omicida di chi vive nel letargo della speranza e della rinuncia e del sacrificio, di chi dimentica che tutto ciò che viene donato in questa vita verrà restituito nell’altra, mille volte più sarà dato nel regno dei Cieli, il regno senza fine, l’unico regno immortale.

Stare lontani dal peccato vuol dire condurre una buona esistenza, e solo conducendo una buona esistenza si può pervenire a una buona morte, una morte onorata e giusta. Dice l’Ecclesiaste che una buona reputazione vale più dell’olio profumato, e il giorno della morte è meglio del giorno della nascita. Oh, il peccato! Quante vite ha consumato il peccato! Anche tu, Gundar, ti sei fatto travolgere dal peccato. Tu, Gundar, ti sei fatto travolgere dall’orgoglio, dalla neghittosa ignavia e dall’accidia, dagli appetiti bestiali della carne, dall’incontinenza, dalla lussuria e dalla concupiscenza, dalla cupidigia, dalla gola, dalla frode e dall’inganno contro il prossimo, dalla violenza contro l’umano, dalla violenza contro Dio. Tu, Gundar, hai peccato perché sei andato contro tutto ciò che proviene da Dio, l’arte, il bello, l’amore, perchéhai commesso il peccato infimo e più malvagio, il tradimento!

Oh, il peccato! La devastante forza distruttiva del peccato! Quando l’uomo vive nel peccato l’animo è impuro, nemico a Dio e all’uomo, gli occhi si ottenebrano, diventano torvi e biechi, sono appannati, la lingua diventa secca, amara, l’incedere è ora lento e greve, dubbioso, ora rapido e confuso, lo sguardo cupo, minaccioso, ferino, la mente turbata, l’uomo non trova pace né nel sonno né nella veglia, in tutto l’aspetto porta i segni della follia.

Il corpo fiacco e molle è senza vita, e l’uomo è un fantasma privo di vita, senza luce, ha il cuore gelido, debole, lento, il respiro affannoso rantolante, la pelle all’estremo sudore, e il passo che procede verso il precipizio, il baratro, l’abisso dove tutto il male infine precipita.

Il peccato nella vita è come una compagnia lebbrosa che alita addosso, un esercito di vermi che rode l’anima, sgretola il corpo, è una piaga sempre aperta che suppura nel fetore, il corpo nel peccato è come una palude maleodorante preda di tutti i più sozzi insetti, un campo pieno di sterco, di tutte le più inutili erbacce, di ortiche, di fiori marciti, di tante lordure purulente. Il peccato è la lordura della coscienza, è la bestia sozza che striscia, che affossa definitivamente l’innocenza perduta, nella buia notte, nel deserto lontano, dove non c’è la luce a guidare l’uomo o la stella mattutina, è ilvomito che sale dal profondo. È il demòne caprone lascivo che lacera e stupra la fanciulla vergine pudica, pura, vereconda, il becco con la corta barba, la fronte cornuta che squarcia e dilania la purezza.

Peccato è la sciagurata abitudine che degrada l’uomo, è la resa spregevole agli istinti elementari, a tutto ciò che vi è di più ferino e volgare, alla natura depravata e corrotta, è l’abdicazione dell’intelletto, della ragione.

Il peccato – ed è questa la pena più grave – è qualcosa che ti rode dentro, ti consuma, ti logora giorno dopo giorno.

O Signore misericordioso, come puoi riportare allo stato di grazia l’anima fuorviata, l’anima non contrita, l’anima che non si pente dei propri peccati, l’anima che non teme il giusto giudizio di Dio, l’anima che non è terrorizzata, che non protende le palme, l’anima che non teme la condanna, l’anima non implorante?

L’uomo che non si pente, Gundar, anche se è il più grande degli uomini, diventa una piuma al vento, al cospetto di Dio, piuma senza meta, sbattuta senza sosta, finché non cade nella polvere. Anche l’uomo che si crede immortale, ricordalo Gundar, se non si pente, diventa invero l’ultimo, la più nefanda delle creature dell’universo. Chi sono gli uomini? Sono grandi scienziati, superbi uomini di Stato, artisti geniali, condottieri immensi? Bene,al cospetto di Dio sono larve, degradati nella loro miserabile corrotta natura, e in un attimo, l’attimo del giudizio di Dio, saranno giudicati, saranno travolti con tutto il loro passato, millenni di civiltà superbe, di imperi sterminati, di storia gloriosa!

Perché Dio punisce anche il più piccolo dei peccati, Gundar, perché  anche il più piccolo dei peccati è una trasgressione alla Sua legge! Anche una sola parola peccaminosa, un solo sguardo d’ira, un pensiero impuro, è una violazione della legge di Dio. Il peccato è sempre il peccato, e se pure Dio, nel giorno del Giudizio, dovesse perdonare tutti i peccati, dal più piccolo al più malvagio, dai più efferati omicidi alle guerre più cruente, commessi dal principio dei tempi da ogni essere in tutti i pianeti dell’universo, se pure Dio volesse lasciare impunito il più banale dei peccati, ecco, questo non potrebbe farlo, perché anche il più piccolo dei peccati inquinerebbe di nuovo l’intero universo, con un’azione nefasta che può essere ora lenta ora veloce, ma sarà sempre sicura, perché l’azione del peccato è sempre squallida, perfida, sozza, immonda, lurida, laida, lercia, perversa e malefica, e conduce sempre nelle tenebre del castigo eterno di Dio!

Oh, Gundar! Nessuno è immortale! Solo Dio è immortale, solo Dio è eterno, Dio e i Santi, e i salvati. Per tutti gli altri, giunge sempre il giorno della morte.

Giunge sempre il giorno della morte, il giorno in cui la morte ci ghermisce e ci strappa alle cose più care, agli amori, agli amici, ai parenti. Il giorno terribile, temuto, la fine dell’esistenza terrena.

Giunge sempre il tempo della morte, Gundar, e il corpo diventa pesante, le forze vengono meno, le immagini si annebbiano e si confondono con l’aria, con le cose, con le mutevoli parvenze della storia, si intorbidisce, è turbato, preoccupato il pensiero. Giunge sempre il momento della morte.

Giunge sempre il tempo della morte, si compie il tempo e tramonta la vita, si spegne il caro immaginare, svaniscono i dolci sogni perduti della giovinezza, e le speranze, gli amori. L’uomo si rifugia col suo passato, si raccoglie in sé stesso, dubbioso, tremebondo, si ritira in un angolo buio, solo. La mente è confusa, gli occhi sono offuscati, ovunque essi guardino vedono miraggi, miraggi abbaglianti, vedono immagini confuse, temono di cadere nel baratro, nel buio di un mondo sconosciuto, temono di cadere nell’inferno.

Giunge sempre il tempo della morte, Gundar, e il corpo comincia a tremare, a perdere calore, a sudare. È pallido il volto, una perla d’argento vi si confonderebbe, potrebbe sembrare il chiarore dell’aurora ed invece è il terrore della morte, suda, sudano il naso e la bocca, in ogni istante l’uomo teme, sente il cuore fermarsi, si agita sempre più, il respiro è ora rapido ora lento, ora affannoso, l’uomo è smarrito, si sente perduto. L’uomo sente che rovina dentro il gorgo del tempo, del tempo senza confini delle nascite e delle morti, del tempo del continuo grande fluire della vita, dove non sai se trovi pace o diventi ombra che vaga di tempo in tempo, di mondo in mondo, fantasma astrale.

Giunge sempre il tempo della morte, è il destino di tutti i mortali, non c’è nulla che non debba morire. Il tempo rovinoso travolge rapidamente tutti i secoli e i millenni, travolge il dolore, travolge ogni essere vivente, perché ogni cosa è soggetta alla morte.

L’uomo pensa, tu pensi, Gundar: che è stato della mia vita? È stata solo un sogno, un passaggio doloroso o stupendo che si perderà nei meandri del cosmo, un’illusione divorata dal tempo? Sarà stata la vita l’esile voce del nulla, il limite insicuro del vuoto, la caduta dell’essere che tronca o sospende l’eterna quiete della non essenza? L’uomo pensa: che è stata la mia vita? È stata il punto lontano perduto per sempre, il desiderio folle, vuoto, di una notte interminabile profonda, il bagliore imprevisto, il rapido precipitare nel gorgo del silenzio inesorabile che il tempo non consuma, il puro fantasima astrale? Sarà questa la vita per tutti, un sogno pieno di incubi, il fuoco di un istante, lo spirito labile, il tumultuoso breve caos della storia?

L’uomo si chiede, tu ti chiedi, Gundar: che ne sarà di me? Dove finirò dopo la morte? Che cosa ci sarà dopo la morte? La morte sarà il nulla, il vuoto, il luogo lontano dove giace ciò che non è mai nato? Oppure è il luogo dove giacciono i corpi, da dove si torna come fantasmi, come larve dopo i funerali, quando il fuoco ha bruciato la carne ed è fuggito il respiro, e lo spirito si fonde con le nebbie e si disperde nell’aria?

Sarà questa la vita, oppure la vita è il necessario doloroso viaggio che conduce alla salvezza, la porta che spalanca l’eternità, l’infinito, la vera immortalità, la beatitudine celeste?

Ahi l’uomo che se ne va dubbioso, e porta con sé l’infamia e il disonore di un cattivo nome, il suo carico di scorni e di vergogne!

Terribile è la morte per chi ha peccato, motivo di terrore e di angoscia. Momento di gioia è invece la morte per chi si è comportato da buon cristiano, e ha osservato i precetti e ha adempiuto ai suoi doveri, e si è adoperato per le opere di bene. Momento di estasi è la morte per chi ha dedicato la propria vita all’amore e si è avvicinato ai sacramenti e alle preghiere, è stato giusto e pietoso, osservante dei dogmi e delle sacre scritture. Così si vince la morte, così non si ha paura della morte.

Si compie il tempo e tramonta la vita, e per chi ha condotto una vita nel peccato, per chi ha commesso il peccato si apre il baratro della paura, del terrore dell’aldilà! Perché certa è la morte, non dimenticarlo, Gundar!

Certa è la morte, e tu devi essere pronto, Gundar!

Estote parati, siate sempre pronti, siate tutti pronti! Incerti sono solo il giorno e il mese e l’anno, ma la morte non può non arrivare, essa giunge sempre, e tu non puoi non morire, Gundar!

Viene sempre la morte e verrà una volta per tutte il giorno del Giudizio universale, perché, dopo che è stato commesso il primo peccato, tutti i morti saranno giudicati. Il giorno del Giudizio universale è il compimento del tempo dell’uomo, del tempo assegnato all’uomo. Perché il tempo dell’uomo ha un inizio ed avrà una fine.

Solo il tempo di Dio non ha confini, Gundar. Il tempo di Dio non ha presente, non ha passato, non ha futuro. Mentre l’uomo…

Ah, l’uomo che se ne va dubbioso… State attenti, Gundar. Estote parati! Finisce sempre il tempo dell’uomo, finisce sempre il tempo assegnato da Dio! State attenti ad ogni più piccolo segnale, siate sempre pronti, estote parati! Giunge sempre l’ultimo giorno, giunge sempre il giorno del Giudizio.

State attenti ad ogni più piccolo segnale. Io già vedo questi segnali. Ecco, vedo le stelle del cielo, precipitano sulla terra, cadono come fichi dall’albero scosso dal vento. Il sole, la grande fonte luminosa dell’universo, si tramuta in un cilicio. La pergamena si arrotola, il libro si chiude. Ecco Cristo nel cielo, guarda, Gundar! Egli giunge con il suo potente esercito della salvezza!

Oh Gundar! Nella notte di Ramulia Valmenna, ecco, già vedo l’Arcangelo Gabriele e le schiere celesti soffiare sulle trombe che annunciano la fine del mondo, lui, principe dell’esercito celeste, terribile e luminoso che annuncia la morte del tempo! L’intero universo rimbomba dei segni del tempo che è stato, il tempo che non sarà più. Le trombe del Giudizio rimbombano in tutti gli oscuri confini del cosmo. Vedo già i quattro Cavalieri dell’Apocalisse! Ecco il Cavaliere rosso con la spada affilata, il Cavaliere nero con la bilancia, il Cavaliere verde della Morte che cavalca un destriero scheletrico, il Cavaliere bianco con l’arco e le frecce, che porta la giustizia, tutti portano la morte eterna o la salvezza. Ecco, li vedo giungere sulle nubi, potentie maestosi insieme con i nove cori angelici, di angeli e di arcangeli, diprincipati, potenze e virtù, di troni e dominazioni, Cherubini e Serafini, guidati da Gesù Cristo il Messia e Dio onnipotente ed eterno, con il suo Empireo di Santi. Ecco, tutti accorrono, masse sterminate accorrono nella valle di Giosafat, tutte le anime di tutti gli esseri umani che sono stati, tutte le anime che sarebbero dovute nascere, tutte riunite nel giorno supremo per essere giudicate da Gesù redivivo.

Cristo viene ad annunciare il Giudizio finale, il Paradiso celeste, la Città di Dio, la Gerusalemme celeste. Egli viene a scacciare i falsi profeti, viene a scacciare il Demonio e la nuova Babilonia, la prostituta, l’avversario antico! Vedo già i sepolcri spalancati e i morti risuscitare dalle tombe, ecco, il fuoco e il vento si distendono su di esse. Egli viene a chiudere il cerchio, a porre fine al tempo e alla Storia! Egli viene a portare la luce nel buio del tempo, a dare senso a  tutto ciò che è passato, Egli viene a spegnere l’inane fragore della Storia.

Egli parla e la Sua voce giunge nei più lontani angoli dell’universo, si distende su tutte le solitudini del cosmo, è udita nei baratri senza confini, negli abissi senza destino. Il Tempo non è più, l’impetuoso torrente del Tempo dei pianeti e delle costellazioni non è più!

Egli viene a salvare i puri e gli innocenti, i candidi come le colombe, Egli viene da chi la luce attende, a portare la beatitudine eterna. Coi Santi al Suo fianco, Egli viene a condannare nel fuoco gli ingiusti e i maledetti, ha già preparato per loro la prigione eterna. Ecco i peccatori in ginocchio, pallidi e bianchi in volto, chiedono perdono, protendono le braccia imploranti, ma non ci sarà perdono per chi ha sguazzato nella palude immonda del vizio e del peccato nell’ora terribile e tremenda del Giudizio!

Il giorno del Giudizio è venuto anche per te, Gundar. Cristo trionfante ti ha già giudicato. E il verdetto è stato chiaro: l’inferno!

Sì, Gundar! Tu credi di essere qui, Gundar, in questa solitaria cappella di campagna, seduto, solo davanti a Dio. No, Gundar, non è così: in realtà tu sei già all’inferno, quella che cammina nel mondo è solo la larva di Teodoro Gundar.

Tu, Gundar, hai peccato di superbia, hai peccato d’orgoglio, tu hai tradito. Hai pensato, voluto renderti immortale, che è una delle qualità di Dio. Tu patirai tutte le pene dell’inferno, perché quello dell’orgoglio è il più grave dei peccati e contiene tutti gli altri.

Sei già all’inferno, Gundar. Ti sei abbandonato al peccato d’orgoglio, alla sozzura della carne, e non hai cercato indulgenza, pietà, perdono, pentimento. Perché?

L’inferno apre le sue gigantesche fauci, azzanna e divora l’umanità disperata, dilata il suo ventre smisurato, può mai avere paura del tuo orgoglio, Gundar? Ecco, l’inferno apre le sue smisurate porte, preparati ad entrare… Ecco, lo vedo, ti accoglie il magnifico corteo, l’esercito dei Diavoli dell’inferno! Oh, i Diavoli! I Diavoli dell’inferno sono legioni, hanno nomi terribili che non non conosciamo. Ecco Lucifero, quegli che fu l’angelo più vicino a Dio, il figlio del mattino, ora è il mostro più ripugnante, più orrendo, è il re del Male, l’Imperatore dell’inferno. Lucifero, detto Satana, Mefistofele, Belzebù, Woland, Astarotte, Malacoda, oh, quanti nomi! Ma sono nomi fittizi, che l’Avversario di Dio ha utilizzato per nascondersi. Ecco, Lucifero ti accoglie con volto umano, ti sorride, ti accoglie con le sue legioni, ti apre la porta, si spalanca davanti a te il formidabile esercito dell’inferno! Perché i diavoli sono legioni organizzate in un esercito potente, coi loro generali, i colonnelli, i soldati.

Furono un tempo angeli bellissimi, meravigliosi, le creature più vicine a Dio.

Nell’inferno sono esseri menzogneri e turpi, crudeli, traditori e assassini, volgari e fraudolenti, sono mostri orrendi, hanno forme di bestie mai viste, sono mostri spaventosi, sono la feccia dell’intero universo, emanano un immane fetore. Tormentano i dannati, li beffeggiano, ricordano loro di averli portati alla perdizione del peccato, alla sozzura, alla libidine, alla cupidigia, alla rovina. Eternamente li dileggiano e li tentano, fanno rivivere loro la laidezza dei peccati, gli stimoli più bassi della loro ignobile natura, i sensi più meschini e vili, il disgusto e il rimprovero per il più sozzo dei peccati, quello che fu causa della loro stessa rovina, la ribellione dell’intelletto, il peccato d’orgoglio. Il più grave perché il primo, l’unico peccato che essi potevano commettere, quello col quale comincia la storia. Oh, il dileggio! Oh, la tortura della coscienza!

Ecco, Gundar, ti vedo, tu li passi in rassegna, sono loro la tua compagnia, la cattiva compagnia per l’eternità. Oh la cattiva compagnia!

Ecco, tu entri, Lucifero ti mostra l’inferno, ti spalanca l’inferno! Ti mostra la cattiva compagnia dei dannati, Gundar, perché tu vivrai in eterno con tutti i personaggi più sozzi della storia. I diavoli. I mostri. Ma anche i dannati, soprattutto i dannati. Ecco, vedi davanti a te per sortilegio concesso da Lucifero tutti i dannati dell’inferno con le loro urla squassanti, vomitano bile di fuoco, vomitano sdegno e odio contro tutta la loro semenza, bestemmiano Dio e tutti i loro parenti maledicono la loro semenza, fino al primo uomo che nacque sulla Terra.

Ecco, li vedi, milioni di dannati si scagliano contro gli altri dannati, si avvinghiano e si scannano, si azzannano come cani, si allontanano, si respingono, respingono ogni cosa, ogni cosa si ritrae al loro passaggio, l’aria, il fuoco, perfino la terra dell’inferno. Perché hanno vicino gli esseri più malefici della storia, traditori e assassini, parricidi, uxoricidi, demoni, bestie, mostri, dannati più dannati di loro, vampiri. Le loro urla si sentono per tutto l’abisso, li senti pure tu, Gundar, escono, vanno fino agli estremi confini dell’universo, sono urla di odio e di sdegno, contro tutti, contro chi li ha accompagnati nel peccato, odio di dolore per le torture, non possono parlare per il dolore, per la vicinanza dei loro complici, delle mani omicide, hanno vicino bestie schifose, montagne di peccati, lordura e vizio, ma sono essi stessi bestie schifose, lordura e vizio, e una vita infima e peccaminosa, sono così vicini accatastati, sentono il respiro malefico di tutti gli altri dannati dell’universo.

Ecco, adesso tu entri in mezzo a loro, dannato fra i dannati, più dannato dei dannati. Già senti che cosa significa il desiderio di Dio, la lontananza da Dio, il sospiro doloroso. Perché l’inferno è soprattutto privazione di Dio, essere privi di speranza, della visione, della beatitudine di Dio, privazione della conoscenza che permette di capire come si dipana l’universo. L’inferno è non potere pervenire al piacere che comprende tutti glialtri piaceri.

Perché l’inferno di Dio, Gundar, non dimenticarlo, è qualcosa di assolutamente perfetto, più perfetto del purgatorio che è provvisorio, più perfetto del paradiso che conterrà pochi eletti ed è una naturale proiezione dell’amore di Dio. L’inferno è invece la cosa più complessa che Dio abbia mai creato, perché dovrà accogliere nel suo ventre miliardi di dannati di tutti i pianeti di tutte le stelle di tutte le galassie dell’intero universo. L’inferno è la cosa più perfetta che Dio abbia mai creato perché Dio non aveva pensato al male e nella creazione dell’inferno ha dovuto dare il meglio di sé, ha raggiunto

il massimo della sua grandezza.

Tu ora entri in questo luogo perfetto e cominci il tuo calvario eterno, bestia fra le bestie. Lucifero ti consegna col suo malefico sorriso ai castighi dell’inferno, ti consegna ai cerchi della tortura infinita, al buio, alla tenebra, al male, al tremendo castigo di Dio, alla molteplicità dei castighi di Dio.

Dio infatti crea continuamente nuovi castighi e nuove pene perché pervicace è il male. E come ogni dannato, tu cominci a sperimentare questa varietà, questa infinita molteplicità del castigo.

Perché l’inferno, Gundar, è il tormento fisico e spirituale eterno e sconfinato, il castigo fisico e spirituale variato in mille forme, diverse per intensità, durata e caratteristiche. L’inferno è una tortura disumana, una pena spirituale e carnale, lo strazio senza speranza e senza tregua, è il fuoco che eternamente divora, è un invocare invano perdono a Dio, un piangere senza sollievo per l’eternità, essere sempre in fondo ad abissi di fuoco e di gelo, è la memoria sempre viva delle sofferenze patite e da patire, è la coscienza della disperazione, è la consapevolezza che, al di là della solitudine, non ci sono altro che tenebre e diavoli che distruggono eternamente l’anima.

Tratto da Gli immortali di Sicilia, di Francesco Bellanti, dal settembre 2023 su Amazon.

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