Sul fine vita le Regioni non possono deliberare

Sul fine vita le Regioni non possono deliberare

di Pietro Licciardi

PARLA L’AVVOCATO GIANFRANCO AMATO – GURISTI PER LA VITA – CONVOCATO PER UNA AUDIZIONE DALLA REGIONE VALLE D’AOSTA SULLA PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE SUL SUICIDIO ASSISTITO

Al Consiglio regionale della Valle d’Aosta il gruppo Progetto civico progressista ha presentato nel febbraio scorso una proposta di legge riguardante le procedure e i tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito. Scorrendo il testo della proposta di legge si scopre che riproduce letteralmente il modello redatto dall’Associazione Luca Coscioni, reperibile sul suo sito web, la quale fu la promotrice di un referendum sull’omicidio consenziente che incontrò la censura da parte della Corte Costituzionale.

L’organo giudiziario affermò infatti che l’obiettivo dei promotori era differente dalle dichiarazioni pubbliche fatte nel corso della campagna per la raccolta delle firme; in sostanza l’associazione Coscioni ingannò coloro che sottoscrissero la proposta, descrivendo falsamente gli effetti del referendum, Chi firmò non aveva compreso che, in caso di successo, una persona avrebbe potuto impunemente uccidere una diciottenne che, disperata per questioni sentimentali, avesse esclamato: «Voglio morire!». 

Sulla proposta in esame presso il Consiglio regionale valdostano, la Commissione affari sociali ha promosso una audizione il 3 luglio alla quale è stato convocato l’avvocato Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita il cui intervento è pubblicato sul sito Rassegna Stampa.

Avvocato Amato, qual è la posizione dei Giuristi per la vita in merito alla proposta di legge presentata in Valle d’Aosta su un tema delicato come il cosiddetto fine vita e il suicidio assistito?

«Ancora una volta l’associazione Coscioni ha un obiettivo differente rispetto a quelli indicati nella relazione introduttiva alla proposta, ovvero vuole coinvolgere e strumentalizzare le Regioni – e quindi anche la Valle D’Aosta – per aggirare la decisione del Parlamento italiano di non approvare una legge su questi temi. Se il tentativo passa il rischio è che l’Italia diventi un patchwork rispetto alla vicenda del fine vita. Ovvero: entrando in ciascuna Regione si potrebbe leggere: “qui potete farvi suicidare in venti giorni”, “qui in quaranta giorni”, “qui abbiamo nominato una Commissione medica di soggetti favorevoli ad accogliere le domande di suicidio assistito ecc.”».

Ma la Corte Costituzionale non si è già espressa sulla questione?

«In effetti la Corte Costituzionale ha espressamente indicato nel Parlamento nazionale il soggetto deputato a normare la materia. Pertanto un Consiglio Regionale, non solo quello valdostano, che approvasse una normativa su fine vita o suicidio assistito compirebbe un atto incostituzionale, destinato ad essere annullata dalla Consulta. Su questo concordano un grande numero di giuristi: leggi regionali di questo tipo sarebbero certamente impugnate dal Governo – l’Avvocatura Generale dello Stato si è già espressa in proposito – e verrebbero inevitabilmente dichiarate illegittime»

Insomma, non esiste un potere legislativo regionale in materia di suicidio assistito. 

«No, anche perché la Costituzione richiede che l’eventuale disciplina sia caratterizzata da uniformità di trattamento a livello nazionale, per ragioni imperative di uguaglianza». 

Ma l’art 117 della Costituzione non affida alle Regioni una potestà legislativa in determinate materie, tra cui la sanità? 

«La proposta sostiene che esisterebbe una competenza concorrente ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost. con riferimento alla “tutela della salute”; ma gli atti di disposizione del corpo, tra i quali non può non rientrare il suicidio assistito, incidono su aspetti essenziali dell’identità e dell’integrità della persona e riguardano, così, l’ordinamento civile, ossia materia riservata alla potestà esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione. In più c’è la questione dell’organo che deve verificare le condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio, ossia la Commissione medica multidisciplinare regionale prevista dalla proposta di legge».

Di che questione si tratta?

«Con la sentenza n. 242 del 2019 la Corte ha stabilito che la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio deve restare affidata a strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale, e tale compito è affidato ai comitati etici territorialmente competenti. I comitati etici territoriali sono organi del Servizio sanitario nazionale e sono disciplinati in modo unitario su tutto il territorio nazionale. Al contrario la proposta presentata al Consiglio della Valle d’Aosta, al pari di quelle presentate in altre Regioni, prevede una commissione composta in modo del tutto differente da regione a Regione, se non addirittura da Azienda sanitaria ad Azienda sanitaria».

E riguardo alla obiezione di coscienza?

«Su questo tema la proposta di legge regionale tace, ma la Corte Costituzionale ha statuito che l’aiuto al suicidio non può essere obbligatorio e ha menzionando il tema dell’obiezione di coscienza del personale sanitario».

Se sull’obiezione di coscienza la proposta di legge tace, significa che…

«Non solo i medici, ma anche gli infermieri, i direttori sanitari, i farmacisti degli ospedali, i portantini, il personale amministrativo delle strutture saranno obbligati a collaborare al gesto suicidario. Si obietterà: potranno astenersi se lo chiedono! Ma non è previsto e, soprattutto, la Regione non ha alcun titolo ad intervenire in materia di obiezione di coscienza. Quando la coscienza individuale è violata dallo Stato, o dalla Regione, siamo al totalitarismo».

E riguardo alle cure palliative, che attenuando la sofferenza del paziente hanno fatto sì che in molti desistessero dal desiderio di suicidarsi?

«Anche di questo la proposta di legge regionale non fa alcuna menzione. Si dirà: le cure palliative non sono elencate nelle quattro condizioni per cui l’aiuto al suicidio è depenalizzato. Certo che non lo sono: perché come dice chiaramente la sentenza della Consulta il coinvolgimento in esse è una “precondizione”. Il coinvolgimento in un percorso di cure palliative deve costituire infatti un prerequisito della scelta di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente. Ma se il suicidio assistito deve essere garantito entro 20 giorni – come prevede l’art. 4 della proposta -, come è possibile garantire questa precondizione? Attenzione: non è una dimenticanza! Accedere alle cure palliative significa prendere in carico davvero il paziente nella sua intera umanità, nella unicità della sua condizione; significa instaurare anche in questi momenti di sofferenza una vera alleanza terapeutica tra i medici e il paziente. Eliminarle o renderle irrilevanti – come fa invece questa proposta – mostra il disinteresse verso quell’umanità dolente; significa limitarsi a dire a chi chiede aiuto: vuoi morire? Ti aiuto! Significa affermare che chi si trova in quella condizione, in realtà, non è degno di restare nella società».

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