Non è vero che si uccide senza motivo

Non è vero che si uccide senza motivo

di Antonella Paniccia

“EDUCA TUO FIGLIO E PRENDITI CURA DI LUI, COSI’ NON DOVRAI SOPPORTARE LA SUA INSOLENZA”

Non è vero. Non è vero che si uccide senza motivo. Il motivo c’è, c’è sempre, ma siamo noi che non vogliamo vederlo o dichiararlo. Perché ci fa comodo così, perché ci permette di scaricare le nostre responsabilità, quelle di tutti e di ognuno singolarmente. Fingiamo, semplicemente. Per anni abbiamo finto – e ancora continuiamo impunemente – a fingere di non vedere, di non sapere, di non capire in quale baratro stia precipitando oggi la gioventù. Non vediamo la dissoluzione dei rapporti familiari, l’isolamento dei giovani quando si rifugiano – attraverso i social – in una vita virtuale che azzera i rapporti autentici fra compagni, la loro smania di divertimento a tutti i costi (una fuga dalla vita reale con i suoi problemi e le difficoltà); non vediamo (non vogliamo vedere) il flagello che operano le sostanze stupefacenti e il consumo dell’alcool sulle loro menti, né la loro ricerca ossessiva delle emozioni forti e dello sballo. Non vediamo. 

Quando poi, con impietose immagini, la televisione ci inchioda e ci costringe ad assistere coi nostri occhi alle tragedie che talvolta accadono nelle famiglie, a sentire con le nostre orecchie il racconto di fatti terribili, allora annaspiamo, ci manca il respiro e ci arrampichiamo sugli specchi. Dunque, desiderando risposte che in realtà nessuno potrà mai fornirci, corriamo ad investigare, ad intervistare gli esperti: sacerdoti, psicologi, medici, pedagogisti, vicini di casa, e vorremmo che costoro ci spiegassero le cause della violenza che attanaglia la società odierna, che rispondessero agli interrogativi e alle paure che martellano nella nostra mente…Perché, perché, perché?   

Ipocriti che siamo tutti! Cominciamo con l’interrogare noi stessi. Partiamo dalle nostre vite. 

Quante volte avremmo voluto – o potuto – urlare al mondo ciò che non ci sembrava giusto nel comportamento dei figli, o nell’educazione degli alunni, ma non l’abbiamo fatto ed abbiamo invece taciuto per il cosiddetto rispetto umano? E quante volte, come docenti, abbiamo preferito ricorrere ad un ingegnoso compromesso per giustificare le arroganze di alunni insolenti o violenti solo per il timore di essere giudicati autoritari e antiquati dai colleghi più tolleranti o falsamente generosi? Oppure da quei dirigenti preoccupati solo di mantenere alto l’audience o di incentivare il numero degli alunni della loro scuola-azienda? 

Quante volte abbiamo omesso di esercitare in famiglia quella sana, esigente ma necessaria, ginnastica educativa (auctoritas) che si usava un tempo – neanche troppo lontano – per istruire i figli sulle regole di convivenza e di rispetto dell’altro? Magari, invece, saremo stati smisuratamente bravi nell’educarli al rispetto delle fedi altrui (cosa giusta e doverosa), sino a privarci però dei nostri atavici segni e simboli religiosi: via il Crocifisso, niente preghiera, no alle benedizioni e via dicendo, fino a smantellare – tassello dopo tassello – tutta l’impalcatura che costituiva il nostro supporto spirituale. Senza accorgercene, siamo rimasti nudi dinanzi al Nemico perché abbiamo omesso di trasmettere la fede cristiana ai figli, di pregare con loro – e per loro – sin da bambini, privandoli delle più elementari armi di difesa per la loro anima. E il Male, anzi, il maligno, ha trovato facile terreno per la vittoria perché, in un mondo che ne nega l’esistenza, egli c’è, esiste ed opera incessantemente. È scritto, infatti: “Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede…” (1Pietro 5).

Sappiamo dunque che il diavolo si aggira come leone ruggente per cercare le sue vittime, ed i giovani sono i soggetti più esposti e indifesi dinanzi ai suoi spietati e insidiosi attacchi, soprattutto se li trova sprovvisti delle armi che sono la corazza della fede in Dio, lo scudo della preghiera costante e l’osservanza dei Dieci Comandamenti. Ma come mai non se ne parla più in famiglia e talvolta neanche negli ambienti religiosi? Come possono crescere le nuove generazioni nella completa dimenticanza di Dio? Eppure, quando accadono le tragedie, diventiamo tutti giudici implacabili del nostro Creatore, straordinariamente pronti nell’asserire che, se Dio esiste, di sicuro non è un Dio buono perché quale Dio avrebbe potuto permettere che un ragazzo di 17 anni, pur definito bravo da tutti, potesse sterminare con tremenda determinazione e lucida crudeltà la propria famiglia?

Allora bisognerebbe chiedere a tanti: ma di quale Dio state parlando? E quello stesso Dio che avete cacciato, escluso dalle vostre vite, perché mai ora lo chiamate in causa? Avete vissuto come se Egli non fosse, non l’avete onorato nei giorni sacri, l’avete deriso, ignorato, bestemmiato, profanato con atti sacrileghi e vandalizzato nelle chiese, avete perseguitato nei luoghi di lavoro chi semplicemente cercava di vivere secondo le regole cristiane, avete sghignazzato alle spalle di quanti ritenete cristiani bigotti perché la domenica vanno a messa o perché si segnano con la croce prima dei pasti… Ora voi interrogate Dio?

Dunque, ancora non avete capito che senza Dio viene meno la ragione stessa dell’esistere, quella che ci spinge ad amare e ci dà gioia nell’essere amati? Senza Dio manca la bellezza, il senso della vita vissuta come un dono prezioso, inestimabile, da rispettare e custodire. Dove manca Dio c’è spazio solo per il diavolo e per le sue opere nefaste. 

Forse, meriteremmo davvero che Egli volgesse lo sguardo altrove, lontano da noi, disgustato dalla nostra indifferenza e stoltezza! Ma Dio non è così…basterebbe leggere il Vangelo della scorsa domenica, per capire che Dio non usa il nostro misero metro di giudizio, non ci abbandona nella sofferenza, ha pietà delle nostre lacrime e ci soccorre se lo invochiamo perché è un Dio misericordioso, pronto a sostenerci nonostante la miseria dei nostri peccati e malgrado l’ostinata chiusura dei nostri orecchi che non hanno voluto ascoltarlo. 

Così, infatti, è scritto nel Vangelo di Marco (7,31-37):” Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”. 

Effatà! Apriti! Basta il soffio delle Sue labbra e il tocco delle Sue dita per guarirci interamente…ma dobbiamo chiederglielo! Il Signore è lì, pronto per aprirci non solo le orecchie e le labbra, ma per riaprire le porte del nostro cuore indurito dalle cattiverie e atrofizzato dal peccato; è lì, dove noi lo cerchiamo, pronto a perdonarci perché è desideroso di entrare nel nostro cuore e di guarirci. 

Domenica mattina, in una bella Basilica gremita di ragazzi accompagnati dai propri genitori, si è vissuto un momento molto emozionante quando, al termine della celebrazione, il sacerdote ha fatto avvicinare all’altare tutti i giovani studenti per benedire i loro zaini: erano tantissimi e anche parecchio commossi. Non benedico solo gli zaini – ha esclamato con potenza il sacerdote – ma, insieme ad essi, benedico il vostro lavoro, il vostro studio, il vostro comportamento e il lavoro di tutti gli insegnanti. Ed ha ammonito i genitori perché vigilassero attentamente, con amore, sul comportamento dei figli. Un forte richiamo alla loro grande responsabilità educativa. 

Per capire quanto grande possa essere questa responsabilità, basterebbe tornare a sfogliare alcune preziose pagine della Bibbia per scoprire che sono molto più di un trattato di pedagogia. Nel libro del Siracide (30, 7-13) infatti è scritto: “Chi accarezza un figlio ne fascerà poi le ferite, a ogni grido il suo cuore sarà sconvolto. Un cavallo non domato diventa caparbio, un figlio lasciato a se stesso diventa testardo. Vezzeggia il figlio ed egli ti riserverà delle sorprese, scherza con lui, ti procurerà dispiaceri. Non ridere con lui per non doverti rattristare, e non debba alla fine digrignare i denti. Non concedergli libertà in gioventù, non prendere alla leggera i suoi errori. Piegagli il collo quando è giovane, e battigli i fianchi finché è fanciullo, perché poi intestardito non ti disobbedisca e tu ne abbia un profondo dolore. Educa tuo figlio e prenditi cura di lui, così non dovrai sopportare la sua insolenza”. 

 

Foto da Pixabay

 

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