Mons. Seccia: “Il passaggio della Porta Santa richiede consapevolezza”
di Bruno Volpe
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INTERVISTA ALL’ARCIVESCOVO EMERITO DI LECCE
“Attraversare la Porta Santa è un passaggio di conversione, se fatto con fede”. Lo dice in questa intervista Monsignor Michele Seccia, aricivescovo emerito metropolitano di Lecce che spiega il senso dell’ormai imminente Giubileo.
Eccellenza Seccia, iniziamo dalla nozione. Che cosa è il GIubileo?
“Il Giubileo è un momento di grazia che ci offre la saggezza e la sapienza della Chiesa e va vissuto in comunione con essa, non solo individualmente, seguendo le indicazioni date dal Papa, dalla Santa Sede, dai vescovi diocesani e naturalmente dai parroci. Il Giubileo, che può essere sia ordinario, come l’ attuale, che straordinario, come fu il precedente Della Misericordia, è una occasione che la Chiesa ci offre e mette a disposizione. Non è come erroneamente si pensa, solo una opportunità per lucrare la indulgenza, ma l’essenza del Giubileo è il passaggio verso la vita nuova, la conversione, e in questa ottica si deve leggere il passaggio della Porta Santa”.
Il Giubileo affonda le sue radici nel passato…
“Del Giubileo si parla già nell’Antico Testamento, Libro del Levitico, e si teneva ogni 50 anni. In quella occasione tra i tanti benefici, vi era l’annullamento dei debiti pecuniari dei debitori che venivano liberati. Poi questo istituto è stato fatto proprio dalla Chiesa ed esattamente il primo giubileo risale al 1300, indetto da Papa Bonificacio VIII. I giubilei possono essere ordinari, di solito ogni 50 anni o anche venticinque anni, e straordinari se si vuole rimarcare un aspetto pastorale e prendo ad esempio quello più vicino nel tempo indetto da Papa Francesco sulla misericordia”.
Essendo giubileo ordinario in che cosa consiste?
“Che, rispetto all’ultimo straordinario, la Porta Santa è solo a Roma, a San Pietro o Laterano, Santa Maria Maggiore e San Poalo Fuori le mura e il Papa eccezionalmente ne ha voluta una in un carcere. Non ci saranno nelle diocesi proprio perchè ordinario, ma questo non significa che non bisogna seguire gli eventi locali e quello che avverrà nelle Chiese cattedrali diocesane. Dal punto di vista spirituale, il Giubileo ci aiuta nella crescita e nelle ricerca di una vita nuova, siamo invitati a cambiare atteggiamento e questa è una occasione proprizia. Non bisogna andare a Roma per passare sotto la Porta Santa come se si andasse a fare del turismo, è sbagliato. Il passaggio della Porta Santa richiede la consapevolezza di quello che facciamo e il proposito che vogliamo e dobbiamo cambiare stili di vita e atteggiamenti”.
Come vivere il GIubileo in modo corretto?
“Attraverso le opere di pietà e misericordia, in pace con Dio e i fratelli, narturalmente se possibile e si hanno i mezzi, col pellegrinaggio a Roma in quanto la nostra vita e la nostra fede non sono statiche, ma cammino verso una meta e con la mediazione della Chiesa. Ricordo che la fede che pure è un dono, deve essere sviluppata e vissuta non solo individualmente, ma in comunità, nei sacramenti, seguendo la mediazione della Chiesa. E in questo sbaglia chi sostiene sono credente, ma basto a me stesso. Il fedele vero vive e sviluppa la sua fede attraverso questi canali: Parola, vale a dire Rivelazione, Magistero della Chiesa, cioè Tradizione, Sacramenti, Catechismo della Chiesa”.
Che cosa intede dire?
“Che abbiamo il dovere e il Giubileo, se ben vissuto, è una straordinaria opportunità di crescere nella fede, essere maturi e consapevoli. Dovremmo farci più spesso il segno della croce, che non è un amuleto, ma l’adesione spontanea a Cristo. Con il segno della croce noi ci autobenediciamo e ne abbiamo tanto bisogno. Specie in un tempo come l’attuale dominato dall’individualismo, persino nella fede, dalla crisi del senso del sacro, da un modo di vivere non sempre coerente nelle scelte, anche tra chi si professa cristiano”.
Il Papa lo ha dedicato alla speranza…
“Noi dobbiamo essere pellegrini di speranza, cioè in cammino verso la speranza che è una delle tre virtù teologali assieme a fede e carità. La speranza cristiana, si badi, non è il vago ottimismo, la credenza che tutto andrà bene. Gesù e lo dice apertamente, non ci assicura la liberazione da sofferenze e problemi, il cristianesimo insomma non è un’ assicurazione dalle avversità, ma la fede ci aiuta a viverle meglio. La speranza è la certezza dell’incontro finale con Dio, la sicurezza che il nostro viaggio terreno non è la fine di tutto, ma l’inizio di una nuova vita e a quella dobbiamo prepararci. La speranza è la sicurezza che Dio non ci inganna e bisogna vivere orientati all’ incontro con Dio. E tutto questo richiede una preparazione nella nostra esistenza terrena, vivere come se Dio esistesse, perchè alla fine dei nostri giorni, piaccia o no, dovremo dare conto di che cosa avremo fatto o non fatto e con che spirito e su quello saremo giudicati. In poche parole sull’amore che comunque senza fede e senza sacramenti, diventa filantropia. La fede senza le opere è morta dice San Giacomo, ma anche le opere senza fede sono monche”.