Un sistema politico-spirituale “cristocratico”
–
APPROFONDIMENTO DELLA TRIPARTIZIONE SOCIALE NELL’UTOPIA CRISTOCRATICA
In un precedente articolo ventilavamo un nuovo tipo di articolazione dei poteri politici. Oggi vorremmo andare un poco più a fondo nel dimostrare la bontà, la desiderabilità e la positiva utopicità di un sistema spiritualmente teocratico o, meglio, “cristocratico”, capeggiato dunque dalla gerarchia della Chiesa Cattolica per quanto concerne l’ambito legislativo, costituito da una confederazione municipalistica per quanto riguarda quello esecutivo e sorretto infine da un unico apparato di difesa e di giudizio di stampo monarchico e aristocratico.
In Gesù viene a situarsi “l’Esemplare del mondo”, felice espressione del Beato Antonio Rosmini indicante il complesso ordinato e armonico delle essenze intelligibili di tutte le cose finite, che sono viste nella Divina Intelligenza o Verbo. In Lui possiamo dunque rispettivamente cogliere il Suo Divino Sommo Sacerdozio, la Sua Santissima Umanità e la Sua Regalità Salvatrice.
Si potrà a questo punto, con spirito revanchista o controrivoluzionario, domandare: perché una teocrazia/cristocrazia piuttosto che un ritorno alla monarchia, al limite costituzionale? Perché delegare la sovranità delle decisioni amministrative al locale, col rischio di ritornare nell’incubo democratico, piuttosto che affidarsi a funzionari regali rettamente formati? Perché infine una sorta di stato parallelo poliziesco, che suona molto di totalitarismo? Andiamo con ordine.
La cristocrazia in questione, ad essere onesti, si presenta anche come una ierocrazia – diciamo – “legislativa”, possibilmente con poteri anche costituzionali. La prospettiva, dal punto di vista giuridico, si dimostra non dissimile a quella dello Stato Pontificio, in particolare durante il travagliato pontificato del Beato Pio IX, quando l’idea di una costituzione veniva caldeggiata al papa dallo stesso Rosmini. In tal caso, la distinzione tra diritto ecclesiastico e diritto canonico andrebbe rivisitata. Il diritto canonico, infatti, andrebbe a normare anche tutti quegli ambiti che oggi sono di competenza della società civile, sebbene – tranne che per questioni strettamente canoniche – solitamente deleghi alla società aristocratica il potere giudiziario.
In tal modo, l’autorità governante il legislativo non potrebbe essere messa in discussione qualora il funzionamento della società si trovasse in difficoltà. E se il sistema assolutistico monarchico prerivoluzionario assommava in sè i tre poteri dando facile occasione alla corruzione, nondimeno la tripartizione di stampo illuminista – prima affermatasi nelle monarchie costituzionali e poi in tutte le democrazie, fino alle contemporanee – presta il fianco ad una governance del sospetto, e dunque dispone all’esistenza di poteri-ombra oligarchici per evitare eccesso di ostruzionismo, generando però sofisticati ricatti.
Se pensiamo all’organo esecutivo, del governo, come il mosaico dei bisogni e delle risoluzioni “dal basso” per il buon funzionamento di ognuna di quelle basi popolari, comprendiamo quanto non abbia senso temere il pericolo dell’anarchia, magari in una forma strutturalmente difficile da contestare nella praxis come l’anarchismo libertario post-marxista di Murray Bookchin (1921-2006): nel nostro caso, invece, le municipalità non pongono in essere leggi universali o costituzioni, ma si amministrano concretamente secondo le reali necessità di ogni circoscrizione. Garanti della corretta interpretazione delle leggi canoniche dovrebbero essere infatti i nobili locali, svolgendo contemporaneamente il ruolo di ufficiali pubblici nelle forze dell’ordine che di giudici o avvocati, affiancati dall’ausilio del custode della legislazione, ovvero il clero.
I tre poteri, in questo modo, si trovano a coimplicarsi e non a bloccare le possibili derive degli altri organi. Ognuno già compie in se stesso una seria ascesi deontologica, impegnandosi continuamente a dare luogo al miracolo del gioco d’incastro sociale.
Il ruolo dell’aristocrazia è ordinario, in quanto il re potrebbe dare emendamenti particolari per quanto riguarda la casistica oppure le responsabilità in tribunale. Se si pensassero fuse vigilanza e magistratura secondo quanto appena affermato, a causa dell’impostazione cristologica dell’intera proposta sociale, si avrebbe un’autoreferenzialità di ordine funzionale e non sostanziale. Infatti, il compito del corpo aristocratico assume dei contorni parenetici, di continua esortazione alla santità; esperimento, questo, mal riuscito sotto Teodosio il Grande, soprattutto a causa di uno scarso radicamento del concetto di imperium nella logica del servizio. Noi dovremmo sapere che “servire è regnare”.
Facendo un esempio concreto, qualora dovesse essere arrestato e portato qualcuno in tribunale, ciò viene fatto con spirito di fratellanza, con spirito pedagogico e non purgativo o correttivo come nei totalitarismi comunistici, dimostrando, in modo trasparente, che il nobile è “aristos” – migliore nell’eseguire quel compito affidatogli – ogni giorno. Ogni giorno egli è “servo inutile” e merita il ruolo che sto svolgendo, mentre invece chi è condotto in giudizio – parafrasando il Vangelo – è chiamato a essere sincero, collaborativo e conciliante già con il presunto avversario, il giudice e la guardia. Ciò ripaga tutto. Il tribunale può diventare persino un luogo di epifania teologica, e da un errore può scaturire una rivelazione.
Concludiamo invitandoci tutti a osare e sperare nel Trionfo della Regalità Sociale di Cristo. E se, protesi verso la visita del Re di Gloria, dovessimo sentire dentro di noi risuonare la frase: “Vi sistemo tutti per le feste!”, non abbattiamoci in alcun modo e cerchiamo invece di cogliere in questo scherzo dello Spirito Santo, una reale promessa di ordinamento sociale degno dell’inizio del tempo della Consolazione, il tempo delle Feste dello spirito. Amen!