Immigrazione, un problema che potrebbe diventare una risorsa
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PAOLO DIOP, RESPONSABILE IMMIGRAZIONE DI NOI MODERATI
Paolo Diop è originario del Senegal ed è arrivato in Italia con i suoi genitori nel 1987, quando aveva appena due mesi. Diventato cittadino italiano si è laureato in giurisprudenza e oggi lavora come libero professionista. Da alcuni anni è responsabile del dipartimento immigrazione del partito Noi moderati, dopo aver ricoperto lo stesso incarico per cinque anni in Fratelli d’Italia.
Dottor Diop, perché i suoi genitori hanno deciso di lasciare il Senegal?
«Il primo a partire è stato mio padre, in cerca di lavoro e dopo qualche mese siamo arrivati mia madre e io. Ci siamo stabiliti a Torino ma i miei genitori in estate andavano sulle spiagge a vendere oggetti. E’ proprio in spiaggia che hanno trovato una famiglia molto cattolica che mi teneva, io piccolissimo, con loro sotto l’ombrellone mentre mia madre lavorava e poi mi hanno quasi adottato, facendomi studiare. E’ grazie a loro, e anche grazie alle suore della scuola che ho frequentato, che sono diventato cattolico. I miei genitori erano mussulmani e lo sono rimasti, ma in Senegal le due religioni sono abituate a convivere; c’è molta tolleranza e per questo è anche uno dei paesi più pacifici dell’Africa. Comunque è grazie all’esempio di quella famiglia che ho voluto il battesimo. Credo che sia il modo di vivere delle persone veramente credenti, più che la dottrina o l’istituzione ecclesiastica, a fare scegliere di essere cristiani».
Cosa si aspettavano i suoi genitori venendo in Italia?
«L’immigrazione di quegli anni era molto diversa da quella di adesso. Si veniva qui per lavorare, in cerca di un futuro migliore, mentre gli immigrati di oggi vengono per fare altro. Allora in Africa c’era più fame e la gente era molto più semplice mentre chi arriva oggi ha molte pretese. Allora non c’era l’assistenzialismo di oggi e chi arriva, vedendo che le cooperative gli garantiscono vitto, alloggio, assistenza medica, da una parte pensa che l’Italia e l’Europa siano veramente il ricco Eldorado che immaginavano; dall’altra che tutto questo debba essere per loro un diritto. Ma l’integrazione e i diritti si conquistano con il lavoro e il sacrificio. Come hanno fatto i miei genitori e chi è arrivato in Italia assieme a loro».
Cosa pensa lei personalmente della politica delle porte aperte ai migranti, voluta dalla sinistra e a quanto pare anche dal Papa?
«Sono assolutamente contrario alla politica delle porte aperte. Si all’immigrazione ma con regole certe e severe; questo non per escludere ma per favorire l’integrazione evitando lo scontro sociale. Chi arriva in Italia non può avere gli stessi diritti e benefici di chi quei diritti e benefici se li è sudati e guadagnati costruendo generazione dopo generazione questa nazione. Purtroppo sta avvenendo che gli italiani vedono che gli stranieri hanno spesso più tutele di loro e questo fomenta il risentimento».
Una domanda di rito: secondo lei l’Italia è un paese razzista?
«In Italia non c’è razzismo ma sta montando la rabbia di sentirsi messi in secondo piano in casa propria. L’Italia è una penisola protesa nel Mediterraneo e ha sempre avuto a che fare con stranieri, talvolta invasori, talvolta in rapporti commerciali o culturali pertanto non è e non può essere razzista. Semmai gli italiani stanno diventando stufi e stanchi di essere “bullizzati” da una certa politica che pensa più agli immigrati che ai suoi cittadini e come talvolta accade a chi è troppo a lungo bullizzato, ad un certo punto reagisce».
Cosa pensano invece gli immigrati che in qualche modo si sono integrati in Italia, per quanto le è dato di sapere, di questi flussi continui di clandestini nel nostro Paese?
«Gli immigrati da lungo tempo in Italia hanno fatto grandi sacrifici per integrarsi e farsi accettare nelle loro comunità e il novata per cento di loro giudica molto male il flusso incontrollato di questi ultimi arrivati che rischia di rovinare tutto quello che hanno faticosamente costruito. Purtroppo di fronte al crescere di episodi di violenza, intolleranza, delinquenza si è portati inevitabilmente a fare di tutta l’erba un fascio. Questo è responsabilità dei precedenti governi che non hanno fatto nulla per regolamentare l’immigrazione. Occorre subito fermare i flussi incontrollati».
Cosa pensa della iniziativa del governo di portare gli immigrati irregolari in Albania?
«Non è altro che una delocalizzazione del problema che peraltro l’Albania si fa pagare a caro prezzo, Sarebbe stato meglio investire quei soldi per istruire personale in grado di capire velocemente se chi arriva ha veramente diritto all’asilo e all’accoglienza oppure no. Una cosa che oggi manca. Chi fa solo finta di fuggire da guerre e persecuzioni deve essere espulso, senza tergiversare».
Secondo lei è corretto pensare che tutti gli immigrati sono uguali e tutti devono poter restare in Italia?
«No, gli immigrati non sono tutti uguali. C’è chi si integra e chi no e occorre scremare le culture che possono vivere secondo i nostri usi e costumi e quali no. Purtroppo l’Italia non ha una lunga esperienza in fatto di migrazioni ma siamo ancora in tempo per evitare di diventare una specie di campo di battaglia culturale, come è avvenuto ormai in quasi tutto il Nord Europa, dove intere città sono uscite dal controllo dello Stato».
Secondo lei ha senso parlare di società multiculturale e in che modo potrebbero coesistere culture talvolta diametralmente diverse?
«Se una società è multiculturale significa che l’integrazione è fallita. Noi dobbiamo pensare piuttosto ad una società italiana con diverse sfaccettature. La cultura italiana è un qualcosa di prezioso che ha dato e continua a dare molto al mondo e deve essere preservata, per questo chi viene deve integrarsi. Io metterei tre o quattro famiglie straniere in ciascuno dei tanti paesi e borghi italiani che purtroppo stanno morendo per fargli conoscere e vivere quei valori che ancora animano questo nostro Paese. Purtroppo per troppi anni la politica non ha mostrato alcuna volontà di promuovere l’integrazione e solo adesso, sia pure goffamente, si cerca di muoversi in questo senso».
Come giudica le politiche attuate dai precedenti governi sia a livello nazionale che locale riguardo gli immigrati?
«Come ho già detto i governi precedenti non hanno adottato alcuna politica, anche perché il fenomeno immigratorio è stato la prateria su cui ancora pascolano cooperative, faccendieri, profittatori e malavitosi. Ricordiamoci delle intercettazioni telefoniche in cui Salvatore Buzzi, braccio destro di Massimo Carminati, diceva che gli immigrati facevano guadagnare più del traffico di droga. Oppure di come si è arricchita la famiglia Sumahoro, per non parlare delle cooperative nate come funghi».
Secondo lei quali politiche dovremmo adottare per far si che l’immigrazione passi dal diventare un problema oggettivo per il nostro Paese una risorsa per noi e per gli stessi migranti?
«Innanzitutto occorrono espulsioni veloci e certe per chi entra illegalmente in Italia. Chi vuole emigrare in Italia deve necessariamente ottenere un visto di ingresso. Se non si fa questo si danneggia innanzitutto chi cerca di venire per lavorare, costruirsi un futuro e fuggire da guerre e persecuzioni. Naturalmente bisogna impedire che le moderne navi negriere delle Ong continuino a raccogliere clandestini in mare per consegnarli nelle mani della criminalità organizzata o di chi cerca manovalanza a bassissimo costo. In secondo luogo si devono creare meccanismi per facilitare l’andata e il ritorno di lavoratori regolari; ad esempio in agricoltura, dove molti impieghi sono stagionali e dove molti stranieri vorrebbero poter tornare a casa loro terminato il lavoro. Oggi magari sono costretti a restare per il timore di non poter rientrare l’anno successivo. Io sto lavorando ad una proposta di legge per far si che chi è nei centri di accoglienza anziché star lì a far nulla impieghi il tempo ad imparare la lingua e la cultura italiana e in stage di formazione in aziende, anche artigianali, in modo che quando uscirà avrà gli strumenti per integrarsi e lavorare anziché essere lasciato a sé stesso per finire in mano alla criminalità o vivere di espedienti».
Lei ha avuto modo di dire che gli immigrati che fanno ritorno nel loro paese di origine possono essere una opportunità per l’Italia. Può spiegare come?
«Ci sono molti migranti che hanno raggiunto posizioni di rilievo in aziende italiane. Se a queste aziende fosse data la possibilità di allargare la loro attività su altri mercati grazie a queste loro risorse interne si aprirebbero per l’Italia nuove prospettive commerciali e dove si insedierebbero ci sarebbero più opportunità di lavoro per i locali che sceglierebbero di non emigrare. L’Africa ad esempio è in una fase di forte crescita e molte nostre aziende in crisi perché non riescono a stare dietro all’innovazione tecnologica potrebbero trovare lì degli sbocchi. Penso ad esempio alla Piaggio che ha aperto uno stabilimento in India dove produrrà motocicli che qui in Europa ormai non hanno più mercato».
E uno po’ quello che cerca di fare questo governo col Piano Mattei…
«Esatto. Se sono alquanto critico con il portare gli immigrati in Albania sono totalmente d’accordo con Giorgia Meloni che ha avuto la lungimiranza di capire che l’Italia non può restare tagliata fuori dalle risorse su cui stanno mettendo le mani Russia e Cina. L’Italia, al contrario di loro, che stanno attuando una politica di tipo coloniale, può invece concorrere allo sviluppo dei paesi di quel continente, anche frenando l’esodo di migranti con una maggiore offerta di lavoro».