Benedetto XVI e la continuità della Tradizione

Benedetto XVI e la continuità della Tradizione

di Paolo Gulisano

INTERVISTA A LUIGI COPERTINO SU JOSEPH RATZINGER, TEOLOGO E PAPA

Sono passati due anni da quel 31/12/2022 in cui il Papa Benedetto XVI lasciava questo mondo. Era stato un grande teologo, un pastore gentile, un umile servitore nella vigna del Signore, come ebbe a definirsi. Contro di lui si accanito un tale odio che aveva visto uguale solo nel XIX Secolo con Pio IX.

Gli scritti di Benedetto XVI richiamano sempre i grandi maestri, prima di tutti Agostino e i padri della Chiesa. Richiamano un atteggiamento di servizio di tutta una vita per la Chiesa dei piccoli, dei semplici, che non comprende le acrobazie ideologiche praticate dalla neochiesa modernista che si getta nell’abbraccio mortale del mondo. Richiamano anche – all’interno della vita ecclesiale –l’amicizia e la fraternità. Il papa venuto dalla Germania coltivò sempre la beatitudine della mitezza, forse anche quando sarebbe stato necessario correggere gli errori all’interno della Chiesa con più determinazione.

Di Benedetto XVI parliamo nell’intervista che segue con Luigi Copertino, intellettuale cattolico di sensibilità tradizionale, che fu tra i primi in Italia anni orsono a segnalare non solo le pecche del neomodernismo, ma soprattutto di un certo conservatorismo – il fenomeno dei “Teocon” che veniva dagli Stati Uniti –impregnato di atlantismo e liberismo, con l’opera Spaghetticons, e con molti interventi e articoli.  L’ultima sua fatica, da poco in libreria, è Occidente. Il bene che non abbiamo fatto. Una prospettiva religiosa. 

Dottor Copertino, papa Benedetto XVI ci ha lasciato una importante eredità di pensiero. Può tracciarne una sintesi? 

Il filo rosso del pensiero ratzingeriano è stato quello del recupero della Tradizione nel solco della patristica, di Agostino e di Bonaventura. Ratzinger, in un’epoca nella quale la neoscolastica, troppo oscurando la radice trascendente della ragione umana, aveva ridotto la fede ad un sillogismo razionalista, cercò le fonti più antiche dello spirito cristiano. Tuttavia, il grande teologo bavarese non era alieno dal prendere in considerare il vero Tommaso che in quegli stessi anni del post-concilio veniva riscoperto da Cornelio Fabro. Il Tommaso dipendente innanzitutto da Agostino, Boezio e da Dionigi Pseudo-Areopagita, prima che da Aristotele. Infatti, ci si dimentica troppo spesso che l’Aquinate non è stato un mero aristotelico ma un reinterprete cristiano dello Stagirita. Se l’Aquinate ha potuto superare il rischio del tendenziale naturalismo di Aristotele è stato grazie all’apporto del platonismo mediato e corretto dall’Ipponate, da Boezio e dallo Pseudo-Areopagita. In particolare grazie all’apporto della categoria, appunto platonica, della “partecipazione” che mentre rende possibile affermare, contro ogni panteismo, l’autonomia naturale delle creature evita, al tempo stesso, la loro emancipazione ontologica dal Creatore. Non a caso, i predetti autori cristiani di impronta platonica sono frequentemente da lui citati nelle sue opere. Se Tommaso d’Aquino fosse stato soltanto un commentatore di Aristotele sarebbe rimasto inviluppato nelle stesse difficoltà nelle quali sono incorsi i grandi studiosi islamici del filosofo greco, come Averroè, che furono costretti a ricorrere al criterio, ambiguo, della “doppia verità” – quella di fede e quelle scientifica/filosofica – per giustificare la reintroduzione di Aristotele nella cultura del tempo.

Ratzinger e il Concilio. Una questione dibattuta…

Alla luce di quanto detto in precedenza, non si può parlare di un Ratzinger prima del Concilio, progressista, e di un Ratzinger dopo il Concilio, conservatore. In realtà fu la sua una linea di coerenza nella continuità della Tradizione. Come disse lui stesso: “non sono cambiato io, sono cambiati loro” riferendosi ai suoi primi compagni di strada, Rahner Kûng Congar e gli altri esponenti del progressismo più radicale, che lo avevano scambiato per uno di loro. La vicenda di Ratzinger si intreccia, fino a quasi confondersi, con quella del Vaticano II, che doveva essere il Concilio del ritorno alla Tradizione patristica e prescolastica ma nel quale invece presero sopravvento le spinte moderniste più distruttive. Da Papa, sulla scia del predecessore, Ratzinger tentò la linea della continuità del Concilio con la Tradizione secondo la prospettiva detta appunto della “ermeneutica della continuità”. Ma inutilmente dato che il progressismo teologico, il relativismo di cui Ratzinger lamentava la dittatura, aveva messo radici forti nella Chiesa e nella mentalità della maggior parte dei cattolici. 

Si può dire che il suo tentativo di raddrizzare la rotta della barca di Pietro sia fallito, alla luce anche di quanto si è visto negli ultimi anni? 

Il suo pontificato si è risolto in un fallimento dal punto di vista “katechontico”, ossia sotto il profilo del trattenimento delle forze della dissoluzione. Tuttavia, come accade a coloro che la Provvidenza chiama in extremis all’ultima testimonianza, il pontificato di Benedetto XVI ha lasciato l’immagine di una possibilità, di qualcosa che poteva essere e che sarà di nuovo, allorché il Padrone Vero della Chiesa verrà a riprendere il timone della Barca ecclesiale ora senza un nocchiere capace di tenere la barra dritta, a riprenderesaldamente nelle sue mani, secondo un’altra metafora,le redini della biga ora senza un forte auriga a condurla. 

A suo giudizio oltre alle luci ci sono anche delle ombre nella figura e nell’opera di Benedetto XI? 

Del pensiero di Ratzinger bisogna anche sottolineare alcuni punti discutibili. Uomo di un’epoca nel quale il marxismo sembrava trionfare ha opposto ad esso la critica che ne svelava il carattere di mondanizzazione, quindi manipolazione e corruzione, della speranza escatologica ma solo tardi si è accorto che la stessa critica può e deve essere rivolta al liberalismo, non solo al liberismo come pure Ratzinger ha fatto. Non ha compreso l’islam quale fede culturalmente cugina con la quale ci sono senza dubbio in ballo questioni teologiche cruciali, e umanamente insormontabili, ma che resta comunque nell’alveo abramitico, sicché con esso, almeno quello sciita, l’Europa potrebbe trovare sotto il profilo politico una forma di convivenza, come del resto ha fatto nei secoli medioevali la Cristianità, senza invece allinearsi agli interessi geopolitici americani e sionisti. In tema, invece, Papa Ratzinger è rimasto troppo schiacciato in una prospettiva ecumenica aperta al mondo protestante, in particolare a quello dell’anglosfera, assumendo una posizione verso il problema islamico analoga a quella di Oriana Fallaci e Magdi Allam senza rendersi conto che così si accostava agli atei devoti come Marcello Pera, con il quale dialogava, alfieri di quell’Occidente relativista che da Papa e teologo combatteva. In questo ha giocato in lui anche un eccesso di vicinanza all’ebraismo che egli intendeva giustamente riaffermare come radice del Cristianesimo – cosa verissima e sacrosanta– ma troppo perdendo di vista la realtà di un giudaismo postbiblico, diverso dall’ebraismo radice del Cristianesimo, che nei suoi percorsi storici si è rivelato, alla fine, essenzialmente a-cristiano, per non dire peggio, e che rincorre ancora oggi sogni di realizzazione intrastorica e mondana del regno messianico. Con tutte le tragiche conseguenze che un tale sogno poi, trasposto sul piano politico e geopolitico, comporta. Come stiamo constatando proprio in questi anni nelle vicende, cruciali per il mondo intero, della Terra Santa. Al di là di questi punti discutibili, il suo pensiero resta comunque incardinato nella migliore Tradizione cristiana. Nel segno della nobiltà della sconfitta perché il tempo è dei negatori di Dio ma l’eternità è di chi lo cerca. 

 

Le risposte dell’intervistato non necessariamente sono condivise dalla Redazione di Informazione Cattolica

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