All’Ovest niente di nuovo

All’Ovest niente di nuovo

di Pietro Licciardi

LA GUERRA PROSEGUE MA ZELENSKY SEMBRA NON SAPER PIU’ PER COSA L’UCRAINA DEVE COMBATTERE 

Prosegue l’evidente stato di difficoltà dell’Ucraina la quale non ha affatto lanciato una offensiva nel saliente di Kursk, come erroneamente hanno annunciato i media ma ha semplicemente tentato di prevenire, utilizzando tre sole brigate neppure al completo degli effettivi, un attacco russo e alleggerire la pressione sui fianchi, nell’evidente intento di conservare ancora la propria presenza in territorio russo grazie a qualche limitato successo tattico.

Come apprendiamo dal canale Parabellum, che sta analizzando in maniera puntuale l’andamento del conflitto, si tratta di un’ azione che ha anche un obiettivo politico, ovvero ricordare a Putin che la questione a Kursk non è ancora chiusa e che a cinque mesi dalla penetrazione in territorio russo questo resta ancora una moneta di scambio nel caso di ipotetiche trattative.

Purtroppo l’eventualità di potersi sedere ad un tavolo sembrano al momento ancora assai remote, nonostante le promesse di Donald Trump, dal momento che le pretese del leader russo sono assolutamente inaccettabili per Kiev e in definitiva anche per la Nato. Putin infatti ancora chiede di ottenere tutti gli oblast del Donbass oltre ovviamente alla Crimea, e tenere fuori l’Ucraina da ogni alleanza militare con l’occidente, che non deve né armare e né addestrare gli ucraini.

Tuttavia al momento sembra che il problema più grave con il quale si deve confrontare l’esercito ucraino sia la mancanza di chiari obiettivi politici – a parte sopravvivere – a questo punto della guerra. Banalmente: cosa vuole ottenere il governo di Kiev con l’utilizzo del proprio esercito?

Mentre nel 2022, sostanzialmente fallita l’invasione russa, scopo degli ucraini era resistere, per poi sfruttare le difficoltà russe e cercare di riconquistare il proprio territorio – il che porterà alla doppia offensiva a nord, verso Kupiansk e Lyman, e a sud – il 2023, dopo la battaglia di Bakhmut, per gli ucraini doveva essere l’anno della riscossa, con una offensiva, grazie al massiccio afflusso di forniture occidentali, che avrebbe dovuto infliggere una sconfitta strategica ai russi. 

Già allora però si è notata una debolezza sul piano politico, infatti costatato il fallimento delle operazioni sul campo non si è visto un “pano B” ucraino e infatti il 2024 ha visto la ripresa dell’iniziativa russa, a parte l’incursione di Agosto su Kursk. Per tutto l’anno appena concluso non si è vista una chiara linea da parte di Zelensky, che prima dice di voler riconquistare tutti i territorio invasi per poi lasciare intendere che sarebbe disposto a cedere qualcosa. 

Insomma, il non riuscire a vedere cosa vuole ottenere l’attuale sforzo bellico e il dispendio di vite sta minando la coesione e il morale dei soldati; un fatto confermato anche dall’aumento delle diserzioni e dei renitenti. Tra l’altro è di appena qualche giorno fa la notizia della diserzione di 1700 soldati su 2300 di una unità addestrata in Francia appena arrivata sulla linea del fronte. 

A tutto questo si aggiungono le difficoltà organizzative dell’esercito, il quale non riesce ad attuare una difesa elastica difendendo ad oltranza le posizioni, il che comporta un notevole dispendio di uomini. Inoltre non vi è un comando unico delle unità e questo implica difficoltà di coordinamento operativo e logistico in un quadro generale di scarse risorse per non parlare del ben noto problema delle decine di sistemi d’arma diversi forniti dalla Nato: un autentico incubo per chi deve provvedere all’approvvigionamento logistico e alla manutenzione delle armi.

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Zelenski ha chiarissimo che cosa deve fare il suo esercito: resistere. Lo ha fatto finora fin troppo bene con i pochi mezzi a disposizione. Sono gli alleati che non hanno chiaro che devono fornire l’Ucraina di armamenti adeguati per quantità e qualità perché Putin si renda conto di non poter vincere e trattare in maniera realistica.