“Tutti fuggivano dall’Italia”: dallo sbarco in Sicilia in poi…

“Tutti fuggivano dall’Italia”: dallo sbarco in Sicilia in poi…

di Andrea Rossi

«TUTTI CORREVANO INCONTRO ALLA SPERANZA DELLA FAME FINITA, DELLA PAURA FINITA, DELLA GUERRA FINITA, INCONTRO ALLA MISERABILE E MERAVIGLIOSA SPERANZA DELLA GUERRA PERDUTA. TUTTI FUGGIVANO L’ITALIA, ANDAVANO INCONTRO ALL’ITALIA» [CURZIO MALAPARTE (1898-1957)]

Che si direbbe di una città in cui in poco più di due anni morirono investite quasi ottocento persone da militari, spesso ubriachi, al volante di camionette che sfrecciavano, incuranti di tutto, su vie e marciapiedi?

Che si direbbe, oggi, di una città che venne rasa al suolo, con quasi tre quarti del centro storico distrutto in bombardamenti, prima angloamericani e poi tedeschi? Questa la Napoli degli “sciuscià e segnorine” citate fin nel titolo del volume appena uscito a cura di due giornalisti e storici come Mario Avagliano e Marco Palmieri (Paisà, sciuscià e segnorine. Il Sud e Roma dallo sbarco in Sicilia al 25 aprile, Il Mulino, Bologna 2021, pp. 504, € 26).

Quella partenopea è stata nell’ultimo conflitto mondiale una tra le metropoli più colpite del Mezzogiorno, le cui sofferenze umane, morali e materiali vengono narrate probabilmente per la prima volta in modo esaustivo nel lavoro di Avagliano e Palmieri, che inquadra la storia di Napoli nel biennio 1943-45.

Il saggio, con rigore storico e assieme partecipazione umana, narra il dolore di un popolo brutalizzato dai tedeschi in ritirata dopo l’armistizio (non si contano le stragi poco o nulla conosciute avvenute in Campania e in Abruzzo). Un popolo trattato, almeno inizialmente, in modo sprezzante da americani e (soprattutto) inglesi e oggetto delle violenze di massa delle truppe nordafricane al comando dei francesi, le quali si macchiarono di crimini di guerra su cui si stese, anche troppo velocemente, un muro di omertà istituzionale. Popolazioni che, senza altra scelta, dovettero imparare ad arrangiarsi nei modi più diversi, dal mercato nero alla prostituzione, passando dalle mansioni più umili e meno retribuite dagli “occupanti-liberatori”.

Certo, è vero che quella stagione vide anche la rinascita delle Istituzioni democratiche, un principio confuso e talvolta anarchico di pulsioni politiche di ogni segno, una nuova vitalità nella stampa e nella radio. Ma fu anche un periodo di privazioni terribili, sulle quali poco è stato detto e scritto, almeno fino a tempi recenti. Cosa sapeva il Settentrione, diviso fra guerra civile e movimento di liberazione, di questa situazione? Poco o nulla, tanto è vero che emerge con chiarezza il pregiudizio verso una parte della nazione che non conobbe la resistenza, e che anzi si ribellava alla coscrizione obbligatoria, soprattutto in Sicilia e in Calabria, senza comprendere le ragioni profonde del disagio del Mezzogiorno. La Chiesa cattolica, più di altre istituzioni, fece quel che poté per lenire le sofferenze del popolo, così come le autorità alleate (ma solo dopo diversi mesi) intervennero massicciamente dal punto di vista economico e sociale, anche al fine di sostenere lo sforzo di una traballante classe politica, non all’altezza della situazione.

Gli autori riescono così nell’intento di offrire al lettore un affresco fatto di chiaroscuri, nel quale la vitalità e il coraggio civile di una parte del paese convisse con fame, degrado, umiliazioni e vessazioni di ogni tipo. Occorre essere grati a Mario Avagliano e Marco Palmieri per il loro lavoro, che finalmente rende giustizia al dolore del Meridione, un dolore trascurato, o spesso, volutamente ignorato.

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