Fra massoni, Gesuiti, aristocratici e briganti di Sicilia
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I VIAGGI DI PATRICK BRYDONE. QUANDO LA SICILIA FU INSERITA NEL GRAND TOUR D’ITALIA
Questo Patrick Brydone scozzese, (Coldingham, 6 gennaio 1736 – Lennel House, 19 giugno 1818), autore di una sola opera letteraria, Viaggio in Sicilia e a Malta, opera che ebbe un gran successo e fu pubblicata in tutta Europa e in tante lingue ed edizioni nei secoli successivi, in Italia nel 1901, 1968 e nel 2005, ufficiale dell’esercito inglese, curiosa e originale figura di scienziato, ma soprattutto grande viaggiatore, è tornato alla mia memoria dopo decenni di oblio leggendo un libro del 1989 su Leonardo Sciascia (Fuoco all’anima, Conversazioni con Domenico Porzio, Adelphi, Milano, 2021) pubblicato postumo. Fu lui che diede fama alla Sicilia nel Settecento e la fece inserire nel Grand Tour, e la sua opera, oltre a essere una delle più importanti scritte sul Grand Tour, in assoluto fu la prima che riguardava la Sicilia.
Come militare, arruolatosi nell’esercito britannico, partecipò alla Guerra dei sette anni, ma già nel 1763, col grado di capitano, chiuse la carriera militare in Portogallo, Paese che visitò per poi spostarsi in Francia e infine in Svizzera, non prima di aver fatto da guida in Europa ai giovani figli dei riccazzi inglesi.
Uomo dall’ingegno poliedrico, appartenente a una famiglia di religiosi (il padre era un ministro della Chiesa scozzese, come il nonno materno), dopo avere frequentato l’università fino ai diciannove anni senza diplomarsi, influenzato dai lavori di Benjamin Franklin, si occupò di studi sull’elettricità, e ne fece relazioni che furono pubblicate dalla Royal Society di Londra nelle Philosophical Transactions. Fu proprio la ricerca scientifica a indurlo, almeno nei primi anni, a compiere molti viaggi. Così visitò le Alpi, dove fece esperimenti, sempre sull’elettricità in alta quota, sulla temperatura e sull’aria. Infine, giunse a Napoli, dove studiò le esalazioni sulfuree, le colate laviche del Vesuvio, la meteorologia, affiancato dall’ambasciatore britannico nel regno napoletano William Hamilton che lo spinse anche a visitare la Sicilia, perché studiasse l’Etna.
Ma andiano con ordine. E soprattutto evitiamo di seguire il Brydone in tutti i suoi viaggi, che furono tantissimi e in tutti i Paesi d’Europa. Diciamo solamente che, dopo avere pubblicato il suo unico libro, Viaggio in Sicilia e a Malta, l’8 aprile 1773, visitò tutta l’Europa compresa la Russia, smise di viaggiare nel 1785, poi si sposò, ebbe tre figlie, e rimase per sempre in Gran Bretagna, ammirato dai più grandi intellettuali d’Europa, anche dal famoso Walter Scott, poeta e scrittore, autore di celebri romanzi storici (Ivanhoe, The Castle of Otranto, Tales of a Grandfather), suo conterraneo, che gli dedicò il poemetto Marmion.
Il Viaggio in Sicilia e a Malta, compiuto tra il 15 maggio e il 29 luglio 1770, è un romanzo epistolare composto da lettere immaginarie che il Brydone avrebbe inviato a William Beckford di Somerley. In realtà, è una rielaborazione dei suoi appunti del viaggio fatto, appunto, in Sicilia e a Malta.
Brydone, come dicevamo, giunse in Sicilia nel 1770 e ne fu subito affascinato, dall’Etna (su cui torneremo) a Taormina, a Bagheria – dove visitò Villa Palagonia, la “villa dei mostri”, pazzia innocua del principe Ferdinando Francesco I Gravina Cruyllas, principe di Palagonia, costruita dall’architetto Tommaso Maria Napoli, frate domenicano, che i viceré lasciavano fare (anche se correva voce che le donne incinte che andavano a vederla poi avevano aborti) -, da Siracusa a Palermo, dove – oltre ad osservare riti e feste (in particolare il Festino di Santa Rosalia) – osservò con sguardo acuto costumi e rapporti della nobiltà e i suoi rapporti col potere e con i malfattori.
Per quanto riguarda l’Etna, l’importanza dei suoi studi geologici e naturalistici sul vulcano è enorme. Scrive lo storico Antonio Patanè nel suo I viaggi della neve. Raccolta, commercio e consumo della neve dell’Etna nei secoli XVII-XX che il Brydone, “Giunto a Catania da Messina e deciso a visitare l’impareggiabile monte Etna, fece tappa a Nicolosi, dove ebbe modo di osservare la solerte attività legata alla raccolta, lo stoccaggio e al commercio della neve.” Affascinato dai “gelati” che con grande piacere poté assaggiare in quei giorni, Brydone approfondì lo studio dell’Etna seguendo i sentieri che allora ne permettevano l’esplorazione. Fu il primo studioso a creare una vera e propria mappa dei sentieri del vulcano, diffondendola poi in tutta Europa. Grazie al suo lavoro, infatti, i visitatori che giunsero poi in Sicilia poterono finalmente visitare il più grande vulcano d’Europa senza perdersi sul suo territorio. Insomma, possiamo senz’altro affermare che Brydone fu l’apripista del trekking etneo! Brydone permise perciò al mondo di scoprire l’Etna e, con il vulcano, le città di Nicolosi, Acireale, Catania, Siracusa. E naturalmente anche la cultura, le tradizioni e i prodotti gastronomici del posto. E il gelato. Non è un caso, infatti, che proprio in quel periodo la “cultura” del “gelato” si diffuse in tutta Europa.
E a questo punto, torniamo a Sciascia e alle conversazioni con Porzio. A proposito di Brydone, il giornalista e critico letterario pugliese Domenico Porzio osserva che al viaggiatore scozzese le fanciulle di Palermo appaiono disinvolte, affabili, senza affettazioni, mentre nel continente restavano attaccate alle sottane delle madri, che le accompagnavano in società non per farle divertire ma per offrirle in vendita, con la paura che qualcuno potesse rapirle. Sull’isola, invece, le madri dimostravano di avere fiducia nelle figlie e le lasciavano libere di formarsi il loro carattere. Sciascia precisa correttamente che il campo di osservazione di Brydone è l’aristocrazia siciliana, il cui comportamento era più libero perché influenzato dal Settecento francese, mentre la borghesia era più arretrata su questo aspetto. Porzio, dalla relazione dello scozzese, rileva che i viaggiatori stranieri, per visitare la Sicilia, avevano degli accompagnatori particolari, insomma dei malandrini prezzolati, diciamo brigantaggio allo stato puro, che, però, rileva Sciascia, aveva addentellati nei paesi, nella burocrazia, e perfino nella Chiesa. Libro attendibile, questo del Brydone, osserva il Racalmutese, perché trova riscontri nelle parole di altri viaggiatori, accomunati tutti dal fatto di essere massoni. E massone era lo stesso Brydone, protestante, come massoni erano tanti prelati siciliani. E chi veniva in Sicilia lo faceva con commendatizie massoniche. Brydone, infatti, fece da tramite tra la loggia di San Giovanni di Scozia di Palermo, che praticava il rito inglese, e le logge inglesi Perfect Union e Well Chosen Lodge, dalle quali, a quanto pare, dipendeva.
Dal libro di Brydone emerge – e su questo i due conversatori sono d’accordo – che Palermo era soffocante per lo scirocco e che Agrigento (allora Girgenti) agli occhi del viaggiatore scozzese apparve bruttissima, mentre lodò l’armonia topografica di Palermo, divisa da due vie perpendicolari cui corrispondevano quattro porte d’ingresso. Anche se lo schema era antico, puntualizza Sciascia, esso fu restaurato dai viceré spagnoli, che furono assistiti dai gesuiti, che avevano nozioni abbastanza avanzate in urbanistica e in architettura, come si può vedere anche nell’America spagnola e nei paesi siciliani distrutti dal devastante terremoto del 1693.
E comunque, l’importanza di Brydone – convengono Sciascia e Porzio – è nel fatto che egli inserì la Sicilia nel Grand Tour in Italia, il grande viaggio educativo che era l’iniziazione artistica degli aristocratici e degli intellettuali d’Oltralpe, che prima, dopo avere visitato Venezia, Firenze, Roma e le rovine antiche, non scendevano più in giù di Napoli. In genere, questi viaggi comprendevano l’Italia, ma solo nelle sue città storiche maggiori, come dicevamo sopra, poi si passava direttamente in Grecia. Dopo le relazioni del Brydone, la tappa siciliana divenne quasi un obbligo. Infine, grazie alle mappe tracciate dei sentieri dell’Etna, molti stranieri, più degli italiani, vennero in Sicilia, e ancor di più molti ne scrissero. Anche se cercavano sempre il mondo classico, come lo cercò subito dopo Brydone il più grande intellettuale d’Europa, Wolfgang Goethe. Ma questa è un’altra storia.