La banalità del male e dell’indifferenza che conduce verso l’abisso

La banalità del male e dell’indifferenza che conduce verso l’abisso

di Francesco Bellanti

LA ZONA D’INTERESSE: UN GRANDE FILM

Io e mia moglie, un anno e mezzo fa, siamo andati a vedere La zona d’interesse, film di Jonathan Glazer, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis del 2014 sulla storia di Rudolf Höß, un cattolico che voleva diventare fattore e passò alla storia come uno dei più scellerati criminali della Seconda guerra mondiale. Fu il comandante del campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz-Birkenau dal 4 maggio 1940 al 18 gennaio 1945, tranne una breve interruzione nel 1944. 

Sono andato a vedere il film per varie ragioni, sicuramente non per capire qualcosa di più del Nazionalsocialismo, sul quale avevo scritto due libri e molti articoli. Ci sono andato per rivedere quegli stessi tragici luoghi che avevo visitato nel 2019 con la mia famiglia, ma soprattutto per comprendere il messaggio del film, che si concentrava sul contrasto tra le dinamiche famigliari di tutti i giorni degli Höß (il comandante di Auschwitz-Birkenau viveva in una casa attigua al campo di concentramento con la famiglia, composta dalla moglie e da cinque figli, e mettiamoci pure una sua amante austriaca prigioniera politica che mise peraltro incinta) e le tragiche vicende del campo di sterminio. 

Beh, devo dire che il regista è riuscito nel suo intento (penso anche lo scrittore Amis, anche se non ho letto il libro), e che il film è qualcosa che si avvicina a un capolavoro. Da un lato abbiamo una famiglia borghese con una bella casa curata nei minimi dettagli, una casa – che esiste ancora ed è proprietà privata –con un bellissimo giardino di cui andava fiera la moglie di Höß, Hedwig, che viveva lì come in un paradiso, la terra promessa dell’Est, il Lebensraum di Hitler, incurante di quello che accadeva a duecento metri di distanza nella cosiddetta Zona d’interesse. 

E quello che accadeva lì non era il vuoto, erano le camere a gas sempre in azione, e in sottofondo urla, spari, treni che portavano ebrei, il fuoco e i rumori dei forni crematori, la cenere dei forni che cadeva sulle fragole e sul fiume vicino. E ci sono cani che abbaiano, il sangue degli stivali del comandante, e questo terrificante sottofondo sonoro che fa da contrasto alla vita apparentemente serena della famiglia Höß e della servitù. Il dolore di Auschwitz, il Male assoluto di quell’immane tragedia storica in questo film diventa ancora più sconvolgente proprio perché il regista lo ha lasciato fuori campo.

Lo fa percepire in modo più nascosto ma più angosciante, perché vuole farci capire come è possibile che si realizzi quella che la storica e filosofa Hannah Arendt definì “banalità del male” a proposito del processo ad Adolf Eichmann. Rudolf Höß è uno dei migliori, cioè peggiori, esempi di questa banalità del male. Discute con fredda partecipazione a nuovi progetti di sterminio per Auschwitz, partecipa a riunioni sulla soluzione finale degli ebrei come se si trattasse di una normale riunione di condominio, degli ordini di Himmler. La narrazione, di per sé, non esiste in questo film, ma, anche attraverso le musiche inquietanti di Mica Levi, ci fa immaginare il raccapriccio e l’orrore di ciò che accade di là dal muro. 

La vita e la bella casa degli Höß e sullo sfondo le case e i simboli del campo di sterminio di Auschwitz sono ripresi con una macchina da presa ferma che appunto non vuole distrarre lo sguardo e la mente dello spettatore, la stessa recitazione è lasciata quasi libera, anche se ci sono momenti di sperimentazione tecnica, come qualche sequenza notturna, come ha detto un recensore, “in cui una domestica nasconde della frutta per i prigionieri nel campo, riprese con la camera termica. Immagini poi rielaborate dall’intelligenza artificiale e portate a una risoluzione in 4K”. Ci sono colori in dissolvenze, prevalentemente in bianco e rosso, i colori della bandiera polacca, ma è il nero che prevale, che ci riporta alla fine alla Auschwitz di oggi, mentre si fanno le pulizie di quello che è diventato un museo degli orrori, visitato ogni anno da milioni di persone, il nero che solo può rivelarci l’abisso. 

Il messaggio del film è proprio questo, il Male assoluto che si annida nella nostra quotidianità è l’indifferenza di fronte a un genocidio e alla morte, quello che può scoppiare all’improvviso anche in persone insignificanti, in un uomo nato e vissuto in una famiglia cattolica, che poteva diventare prete cattolico come voleva la famiglia, o anche fattore, che si convertì al cattolicesimo durante gli anni di prigionia, e da cattolico fu impiccato nella sua Auschwitz dopo un processo e dopo aver ricevuto i sacramenti della confessione e dell’eucaristia, dopo avere scritto una lettera di pentimento al figlio Klaus, il 16 aprile 1947. Questo è il male, quello che si nasconde dentro la normalità e ci conduce nell’indifferenza e nella banalità verso l’abisso.

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