Hitler Cancelliere, genesi di una tragedia
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L’INIZIO DELL’APOCALISSE
Quando nacque da una costola del Partito Tedesco dei Lavoratori a Monaco di Baviera, il 24 febbraio 1920, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che in poco più di dieci anni, il 30 gennaio 1933, il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei in tedesco, cioè NSDAP, o Partito Nazista), con alla guida Adolf Hitler (20 aprile 1889 – 30 aprile 1945) avrebbe conquistato il potere in Germania seppellendo la decrepita Repubblica di Weimar e trascinando dopo appena sei anni la Germania e il mondo intero nella più devastante guerra della storia.
Era uno dei tanti partiti marginali della destra bavarese che trovavano proseliti nelle birrerie di Monaco, e che scomparivano dopo quattro o cinque mesi, e che avevano più o meno lo stesso programma, nazionalismo, totalitarismo, disprezzo per le istituzioni democratiche e per il Parlamento, militarismo, antisemitismo, superiorità razziale, espansione territoriale verso Est a svantaggio delle popolazioni slave.
Perché allora la NSDAP ebbe tanto successo? Quando scrissi il mio libro su Hitler (“Dialogo con il Führer – Giorni d’estate a Berchtesgaden”) andai oltre la prima risposta che tutti davano, e cioè l’incontro che questo partito ebbe con un uomo dall’oratoria possente, e ne trovai altre, individuate soprattutto dai più grandi storici di Hitler, come Fest e Kershaw, che spiegavano come uno sbandato, un emarginato austriaco, un caporale che faceva la spia per il Governo, un fallito ancora a 30 anni, in pochi anni dal nulla potesse conquistare il potere.
Hitler non aveva solo un’oratoria possente, aveva anche un’energia sovrumana, un’intelligenza politica e un intuito eccezionali, soprattutto nella conoscenza degli uomini. È vero che mentre investigava sulle attività del partito che avrebbe cambiato la storia, nel corso di una riunione il caporale austriaco goffo e malvestito si accorse di sapere parlare e convincere. E che così cominciò la sua carriera politica.
Ma questo non bastava, occorrevano anche altre doti per avere successo, e queste furono altre capacità innate che aveva Hitler, quelle politiche e organizzative. Hitler diede all’inizio al partito un orientamento statalista e anticapitalista, e per sottrarre gli operai e i piccoli borghesi alle sinistre elaborò un programma economico socialista – certo di un socialismo calato dall’alto, appunto nazionale – che fu sempre presente nel partito fino alla fine. Accusò di “pugnalata alle spalle” nella guerra i liberaldemocratici interni e i socialisti, e gli ebrei ma solo per ragioni elettorali.
Se non si capisce questo, l’interesse del Nazismo per la classe operaia e gli agricoltori (una legge degli anni Trenta impose il possesso di terra a tutti i tedeschi), non si capisce a fondo il fenomeno nazista, che tanti confondono con le classi aristocratiche e conservatrici.
Un’altra intuizione di Hitler fu la immediata costituzione della Hitler-Jugend, la Gioventù hitleriana, simile ma più organizzata della gioventù fascista, e i riti e i raduni del partito a Norimberga che davano grande coesione e idealità agli iscritti. Così il Nazionalsocialismo poté conquistare operai, agricoltori, commercianti, impiegati, professori, e conquistare – dopo la Grande Depressione del 1929, che fu decisiva – il 18,3 per cento dei voti nel 1930, il 30 per cento dei voti nelle elezioni presidenziali del 1932, nelle quali Hitler si candidò contro un monumento nazionale come Hindenburg, che salì al 38 per cento nel ballottaggio, e infine il 37,4 per cento dei voti alle elezioni per il Reichstag del luglio 1932, conquistando 230 seggi e diventando il primo partito di Germania.
Poi, nell’inverno 1932-’33, gli intrighi di potere con l’ex Cancelliere Franz von Papen e il figlio del Presidente Hindenburg, Oskar, portarono il 30 gennaio 1933 la NSDAP e Hitler al potere. In modo legale. Perché quel giorno l’intero universo cospirò alla tragedia: un partito, un uomo dalle capacità demoniache e dall’oratoria possente, un piccolo uomo rancoroso come von Papen, un Presidente ormai rimbambito, intrighi di palazzo, una democrazia debole.
Così ne parlavo in alcune pagine del mio libro del 2019.
CAPITOLO XIX
Come si conquista il potere. 30 gennaio 1933. Storia e intrighi.
(Su una panchina davanti al Nido dell’Aquila, guardando il Watzmann e il Königssee, la vallata di Berchtesgaden)
“Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini” (LOUIS-FERDINAND CÉLIN)
– Adolf Hitler non era una necessità della storia. L’unica sua virtù, chiamiamola così in senso machiavelliano, è stata quella di aver saputo sfruttare l’occasione, cioè le debolezze degli uomini e la fortunata concatenazione de- gli eventi che il caso, cioè la fortuna, gli ha messo davanti. Nulla era deciso in quel momento.
– E ti sembra poco? Il tempo aspettava me, io ero l’uomo voluto dalla Provvidenza, la storia di Germania e d’Europa conduceva a me. Tutto questo io l’ho capito.
– Comprendere come si conquista il potere, Adolf, vuol dire capire tutto di un’epoca, una nazione, un uomo: dare senso alla storia e anche alla stessa scienza politica che la dipana. Ecco la mia verità sul tuo tempo.
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– La Repubblica di Weimar era finita, e tu lo avevi capito. Questo essenzialmente il tuo genio. Il governo parlamentare già nel 1930 aveva finito di funzionare, quando i partiti politici moderati ebbero scontri sul modo di come finanziare i sussidi di disoccupazione per milioni di tedeschi senza lavoro. Il potere politico si spostò dal Parlamento alla presidenza.
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– Il Presidente Paul von Hindenburg vide concentrarsi su di sé un enorme potere. Poteva nominare il cancelliere e i ministri, che naturalmente dovevano avere l’appoggio nel Reichstag, ma egli poteva in qualsiasi momento destituire il cancelliere e il Consiglio dei ministri. Poteva anche sciogliere il Parla- mento prima della conclusione del normale mandato di quattro anni e indire nuove elezioni. Egli dunque poteva esercitare un’influenza decisiva sul corso degli eventi. La cosa preoccupante era che il grande Junker, l’eroe nazionale che aveva sconfitto i russi nel territorio tedesco, era però spesso indeciso, non aveva una volontà forte e autonoma, nonostante le apparenze, e si lasciava andare a crolli emotivi. Era insofferente nei confronti delle ricorrenti macchinazioni fra i partiti, era di sentimenti monarchici, antimarxista e i circoli militari lo convinsero a rompere col sistema parlamentare.
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– A partire dal 1930, praticamente tutte le leggi nazionali vennero promul- gate non con l’azione parlamentare ma con decreti presidenziali emessi su richiesta del cancelliere e del consiglio dei ministri. E questo poi giocò a tuo favore, anche se egli rimase lucido fino alla morte, e fu l’ultimo a cedere di fronte a te.
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– Infatti, gli altri erano ben poca cosa, rispetto a te. Prendiamo questo Brüning, Heinrich Brüning, definito il “cancelliere della fame”. Lui cattolico soste- nuto solo dai socialdemocratici che temono una deriva a destra, che con le sue politiche deflazionistiche portò disoccupazione e fame. Si dette da fare per la rielezione di Hindenburg, ma il vecchio feldmaresciallo lo scaricò nel maggio 1932 perché Brüning non voleva lasciare i socialdemocratici per la destra. Un indeciso, un debole, un inconcludente. Non prese mai, nonostante il suo prestigio, la direzione del suo Partito cattolico di centro. Dopo le dimissioni rifiutò la leadership dello Zentrum e si oppose alla politica del suo successore e compagno di partito, Karl von Papen, di ristabilire contatti con i nazisti, negoziando con Gregor Strasser, il tuo oppositore nel partito.
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– Che ambiguo comportamento, quello di Brüning! Si oppone ai nazisti, anche quando Hitler diventa cancelliere. Poi definisce il Decreto dei pieni poteri, dopo l’incendio al Reichstag, la “risoluzione più mostruosa mai domandata ad un parlamento”, però vota a favore, spinto da disciplina di partito e con l’assicurazione che lo Zentrum non sarebbe stato sciolto. Ma lo Zentrum sarà sciolto un mese dopo che lui fu eletto presidente, il 5 giugno 1933, su pressioni naziste.
Nel 1934, temendo di essere arrestato, in seguito a una soffiata, se ne andò nei Paesi Bassi, poi in Inghilterra, quindi nel 1935 negli Stati Uniti, dove divenne professore di Scienze politiche ad Harvard nel 1939, tentando di mettere in guardia l’opinione pubblica americana dei piani di espansione di Hitler e del rischio sovietico. Tornò nel 1951 in Germania Ovest ma, insoddisfatto di Konrad Adenauer, ritornò negli Stati Uniti e scrisse le sue controverse memorie. Morì nel 1970 a Norwich (Vermont), fu sepolto nella sua città natale di Münster.
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– Certo ebbe un ruolo decisivo il generale Kurt von Schleicher. Questi, che apparteneva alla piccola nobiltà della Germania occidentale, aveva fatto una rapida ascesa come ufficiale di carriera. Dopo la guerra ottenne un ruolo di considerevole rilevanza diventando, per il ministero della Difesa, l’uomo che teneva i rapporti dell’esercito con il governo repubblicano. Presiedeva uno speciale Ufficio affari politici subordinato solo al ministro della Difesa ed entrò nella cerchia dei capi militari come consigliere di Hindenburg.
Fu lui che incoraggiò Hindenburg a rompere col sistema parlamentare e a nominare Brüning cancelliere, e fu lui che lo fece allontanare. Su sua esortazione, Hindenburg nominò Karl von Papen cancelliere, un uomo politicamente oscuro, un aristocratico cinquantaduenne, allineato con l’estrema destra del Partito cattolico di centro.
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– All’inizio del giugno del 1932 von Papen assunse la guida di quello che fu chiamato il “governo dei baroni” a causa della prevalenza di conservatori aristocratici fra i suoi ministri. Papen era un deputato del Centro cattolico all’assemblea legislativa della Prussia che non aveva quasi preso mai la parola, che aveva partecipato alle sedute in modo saltuario. Era però un vecchio amico di Schleicher – erano stati entrambi giovani ufficiali dell’esercito. Schleicher voleva farne “un uomo di paglia” che si sarebbe affidato a lui, che era ministro della Difesa – e si era dimesso da ufficiale per potere esserlo.
Anche se come Brüning era stato nominato cancelliere presidenziale, e perciò pote- va governare con decreti straordinari emanati da Hindenburg, doveva avere una maggioranza parlamentare ma ciò non fu affatto facile. Infatti, il partito cattolico lo scaricò subito perché lo ritenne coinvolto nell’estromissione di Brüning che era un esponente di prestigio del partito, e lui non aveva chiesto il consenso del partito per accettare la nomina. Non fu espulso dal Centro cattolico perché si dimise lui. Secondo il volere di Hindenburg, egli cercò di sostituire l’appoggio dei socialdemocratici con quello di destra.
– Io lo capivo, Herr Doktor, per questo volevo giocarmi il tutto per tutto. Noi, privi di responsabilità di governo, scaricavamo sui repubblicani la colpa di tutti mali del Paese, non avevamo obbligo di mantenere le promesse, perciò facevamo balenare la prospettiva di rimedi radicali. Conquistavamo l’appoggio degli antisemiti con una sfrenata campagna diffamatoria nei confronti della minoranza ebrea, anche utilizzando nelle strade le nostre squadre ausiliarie, le SA, e nell’estate del 1932 ero il politico tedesco di maggior successo.
Inizialmente, feci capire a von Papen di essere disponibile a una collaborazione in cambio del ritiro del bando delle mie camicie brune emanato dal governo Bruning e dello scioglimento del Reichstag eletto nel 1930, e ottenni entrambe le richieste, naturalmente con il consenso del presidente Hindenburg. Chiedo scusa per l’interruzione. Prego, continua.
– Grazie. Nel luglio 1932 il tuo partito arrivò al 37,4 per cento dei voti e 230 seggi. Ci fu una catastrofe per i partiti moderati. E Papen già ti aveva fatto un favore deponendo con poteri straordinari il governo di Prussia a te ostile. E tu ti rimangiasti a promessa, rivendicavi la cancelleria per te. Papen ti offrì alcuni ministeri e la vice-cancelleria, ma questa in effetti era una carica vuota. Ma Hindenburg non si fidava di me, si opponeva, continuava a chiamarti “il caporale”.
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– Evidentemente sapeva con chi avesse a che fare, e lo diceva anche, con uno che avrebbe distrutto ogni struttura democratica. Papen era in grosse difficoltà, senza maggioranza, aveva dalla sua solo il 10 per cento alla Camera. Su una mozione di sfiducia dei comunisti, Göring lasciò che si votasse nonostante Papen volesse impedire il voto, e il risultato fu che ben 512 deputati votassero contro il governo e solo 42 a favore.
Anche se Hindenburg disse che il voto era inutile, perché Papen aveva già sciolto il Parlamento sempre con decreto eccezionale concesso da lui, la frittata era fatta. Alle elezioni novembre hai avuto una sonora sconfitta, e tutto cospirava contro di te, l’economia si stava riprendendo, chi ti aveva votato era deluso perché rifiutavi di andare in qualche modo al governo, molti ti voltarono le spalle perché non riconoscevano più il partito che voleva abbattere la repubblica e ora invocava principi democratici, alcuni erano spaventati dalla crescente violenza delle camicie brune naziste. Insomma, eri finito.
– È vero, tutto cospirava contro di me, Hindenburg voleva impastoiarmi, mi disse che se anche avessi avuto una maggioranza avrebbe dovuto essere lui a nominare i ministri di Difesa ed Esteri, ma io volevo giocarmi il tutto per tutto, e rifiutai. Papen era ormai finito, era impopolare, il suo governo aveva ulteriormente impoverito la popolazione riducendo i sussidi di disoccupazione…
– Ed entra in gioco Schleicher, deluso perché von Papen si era reso troppo indipendente da lui. Scava il terreno sotto i piedi del suo ex protetto che sei mesi prima aveva fatto diventare cancelliere, e convince Hindenburg, con la scusa che secondo uno studio del ministero della Difesa il governo non avrebbe potuto fronteggiare una guerra civile contro comunisti e nazisti, ad accettare le dimissioni di Papen presentate il 2 dicembre del 1932. Il giorno dopo Kurt von Schleicher presta giuramento come cancelliere.