Uccisi dai Partigiani in ”odium fidei”
di Graziano Pessina
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UN ANNO TRAGICO PER LE DIOCESI DI REGGIO EMILIA E GUASTALLA
I Vescovi emiliani, riuniti in convegno, qualche anno fa, relativamente ai sacerdoti martiri del periodo bellico e postbellico, emisero un pronunciamento che testualmente recita: “non è certo per ricordare la malvagità di chi ha ucciso, ma perché non vada dispersa la testimonianza di chi ha saputo rimanere fedele alla sua missione di pastore, soccorrendo caritativamente persone bisognose dell’una e dell’altra parte del conflitto, fino a rischiare la propria vita“.
Condividendo, indegnamente, quanto espresso dai porporati, con lo stresso fine di testimonianza ho redatto quanto segue e lo stesso fine sarà alla base di ulteriori interventi che mi propongo di effettuare con la speranza, più volte ed in varie forme pronunciata: che quanto è e sarà ricordato a distanza di ottanta anni da esecrandi fatti, sia di auspicio per atti di perdono, di riconciliazione, di riconoscenza, da chiunque interessato, non escludendo le unità pastorali e l’autorità civile coinvolte per nascita, per atti da vivi o per morte, in onore a nostri martiri deceduti in ”odium fidei”.
Già Don Carlo Fantini, parroco in San Martino Vescovo in Correggio, nell’invito alla funzione religiosa, del giugno 2024, in suffragio di Don Umberto Pessina, ha ricordato che per alcuni presbiteri martiri del periodo 1943/46 nell’anno corrente, ricorre l’ottantesimo anniversario della loro immolazione.
Sono otto su tredici dell’intero periodo bellico (compreso il seminarista Beato Rolando Rivi) i sacerdoti martirizzati dal gennaio al dicembre del 1944 che di seguito elenco in ordine cronologico del loro eccidio:
Don Pasquino Borghi, Don Battista Pigozzi, Don Giuseppe Donadelli, Don Luigi Ilariucci, Don Aldemiro Corsi, Don Sperindio Bolognesi, Don Luigi Manfredi, Don Pietro De Carli.
Mi soffermo al momento, senza togliere riverenza e senza perdere la memoria degli altri, sugli ultimi due perché entrambi uccisi nel mese di dicembre a due giorni di distanza l’uno dall’altro (14 e 16), seppure a oltre trecento chilometri di distanza; il primo a Budrio di Correggio, il secondo nella frazione di Torre Paponi, comune di Pietrabruna (IM).
Del primo, Don Manfredi, riporto alcune notizie che hanno sollevato la mia particolare attenzione; del secondo, Don Pietro, mi riservo un ulteriore intervento quando, dalla località dell’assassinio, avrò ricevuto notizie che spero mi siano fornite al più presto.
Don Luigi Manfredi, era nato a Castelnovo di sotto il 23 dicembre 1894, fu ordinato sacerdote il 21 settembre 1907, esercitò la sua missione pastorale in diverse località della diocesi, Cogruzzo di Castelnovo di Sotto, Praticello, Poviglio, non rifiutò il servizio militare in guerra. Nel 1920 fu parroco-vicario a Cerrè Marabino, successivamente a Villa Minozzo, e infine venne trasferito a Budrio di Correggio, dove il 14 dicembre 1944 sulla porta della canonica fu assassinato da una raffica di mitra; le sue spoglie riposano nella tomba di famiglia presso il cimitero di Castelnovo di Sotto davanti alla quale mi capita di passare spesso non dimenticando il suo sacrificio.
Di Don Luigi, delle sue qualità morali di seminarista prima e di sacerdote poi, della sua attività pastorale, del motivo del suo trasferimento da Villa Minozzo a Budrio di Correggio molto ne scrive la Congregazione Presbiteriale Diocesana di Felina nell’opuscolo ristampato nel settembre 2023 appositamente intitolato “I SACERDORTI REGGIANI VITTIME DELLA GUERRA – FEDELI AL LORO MINISTERO”.
Il Prof. Sandro Spreafico nel trattato “I Cattolici Reggiani dallo stato totalitario alla democrazia: la resistenza come problema” riporta ampiamente notizie di Don Luigi Manfredi nei volumi 3° e 5° (tomo 1° in particolare). Mi è rimasto impressa la corrispondenza del sacerdote intercorso con il Vescovo Mons. Edoardo Brettoni dalla quale si rileva l’amicizia e la stima verso il sacerdote Don Pasquino Borghi quale predicatore tanto da proporgli di tenere un triduo nella sua parrocchia di Villa Minozzo e la preoccupazione per la mancanza di notizie sulle condizioni del sacerdote dopo l’arresto da parte della milizia fascista, rattristato per non poter dare notizie ai richiedenti.
Mi ha sollecitato meditazione la lunga lettera di Don Luigi indirizzata alla cittadinanza di Budrio tesa al ringraziamento per la grande, festosa ed inaspettata manifestazione di accoglienza ricevuta e nella quale espone il suo programma di apostolo in parrocchia “io non vengo a Voi come impiegato,……..vengo a Voi come sacerdote, come ministro di Gesù Cristo pel bene spirituale delle anime.”; purtroppo il suo programma è stato espletato per poche mesi, dall’ingresso in parrocchia in settembre alla metà di dicembre.
Nel quindicesimo anniversario dell’ assassinio di Don Luigi il vescovo Mons. Beniamino Socche inaugurò e benedisse una targa a ricordo perenne del martire collocata nel pronao della chiesa parrocchiale. (ne viene data notizia anche sulla pagina reggiana dell’Avvenire d’Italia del 13/12/1959) Della targa, sulla quale si riportano succintamente (di quel tempo) le gravi condizioni vitali delle contrade reggiane e si ricordano le virtù morali e pastorali del martire, ho favorevolmente apprezzato il particolare posto nell’angolo alto a sinistra: poche parola altamente significative coprono interamente le due pagine di un vangelo aperto su un leggio “Io credo – STRONCARONO LA VITA MA NON LA FEDE”; è profonda espressione di fede che credo sia stato assunta a motto da Mons. Beniamino perché ritrovata su ricordi lapidei di altri sacerdoti martiri.
Mi permetto di fare un passo indietro ed andare a due atti compiuti dai sicari.
Il primo sulla soglia della porta della canonica quando, dopo aver chiesto al sacerdote accorso, forse in fretta per l’improvviso scampanellio, pensando alla necessità della sua presenza per qualche atto sacramentale, se fosse lui il Don Manfredi, alla risposta affermativa lo sfreddarono con una violenta raffica di mitra; ecco il secondo quando, sulla strada di ritorno in bicicletta nella più fitta nebbia padana, all’incontro con il curato di Budrio al quale chiesero se fisse lui Don Manfredi, alla risposta negativa affermarono compiaciuti ”allora non abbiamo sbagliato”.
Quanto incommensurabile ed incomparabile è il contrasto fra le parole di soddisfazione pronunciate dai due sicari per avere “compiuto bene il lavoretto” loro assegnato, a confronto con le poche parole pronunciate con l’unico fil di voce rimasto al sacerdote morente invocando Dio e bisbigliando (per loro il suo) “PERDONO”.