Così Catania festeggia Sant’Agata

Così Catania festeggia Sant’Agata

di Matteo Orlando 

SANT’AGATA, TRA STORIA E IDENTITÀ MILLENARIA

Ogni anno, dal 3 al 5 febbraio, la città di Catania si trasforma in un palcoscenico straordinario di devozione e tradizione per celebrare Sant’Agata, la sua patrona.

Questa festa, considerata una delle celebrazioni religiose più importanti al mondo per numero di partecipanti e intensità emotiva, è un evento che affonda le radici nella storia, nella fede e nell’identità del popolo catanese.

La festa di Sant’Agata è molto più di una celebrazione religiosa: è un momento di identità collettiva, che unisce credenti e non credenti in un unico sentimento di appartenenza. Le nuove generazioni continuano a tramandare questa tradizione, mantenendo vivo il legame con la santa e con la storia di Catania.

Nonostante le sfide moderne, come la sicurezza delle processioni e l’equilibrio tra tradizione e innovazione, la devozione per Sant’Agata rimane intatta. Ogni anno, una marea di persone accorrono per rendere omaggio alla patrona, testimoniando che il suo spirito continua a proteggere la città e a infondere speranza nei cuori dei catanesi.

Sant’Agata non è solo una santa: è il cuore pulsante di Catania, il simbolo della sua storia, della sua fede e della sua indomabile forza.

Si stima che oltre un milione di persone, tra devoti e visitatori, prendano parte ai festeggiamenti, trasformando le strade della città in un fiume di fedeli vestiti con il tradizionale “sacco” bianco, che partecipano con fervore alle lunghe processioni, ai riti religiosi e alle manifestazioni popolari. Sant’Agata, martire cristiana vissuta nel III secolo, è molto più di una figura religiosa: è un simbolo di resistenza, di sacrificio e di speranza, che nei secoli ha protetto la città dalle calamità e ha mantenuto vivo lo spirito di un popolo fiero e devoto.

Ma per comprendere a fondo l’importanza di questa festa e il suo profondo legame con Catania, è necessario ripercorrere la storia della santa e le tappe di una celebrazione che, anno dopo anno, rinnova una tradizione millenaria.

Sant’Agata nacque a Catania nel III secolo d.C., in un’epoca in cui l’Impero Romano perseguitava ferocemente i cristiani. Secondo la tradizione, era una giovane donna di nobile famiglia, nota per la sua bellezza e la sua profonda fede. Decise di consacrare la sua vita a Dio, facendo voto di castità e rifiutando ogni proposta di matrimonio.

Questa scelta la portò a scontrarsi con il potente governatore Quinziano, un uomo ambizioso e crudele, che si invaghì di lei e cercò in ogni modo di conquistarla. Di fronte al rifiuto di Agata, Quinziano decise di vendicarsi e la fece arrestare con l’accusa di essere cristiana, un reato punibile con la tortura e la morte sotto il dominio dell’imperatore Decio.

La giovane subì un processo ingiusto e fu sottoposta a terribili supplizi: fu flagellata, imprigionata in una cella oscura e infine le furono strappati i seni con delle tenaglie, in una delle torture più crudeli della storia del martirio cristiano. Nonostante il dolore, Agata non rinnegò mai la sua fede e continuò a pregare con forza. Si racconta che la notte dopo la mutilazione, San Pietro apparve in carcere per guarire miracolosamente le sue ferite.

Ma la persecuzione non si fermò. Quinziano ordinò che fosse gettata sui carboni ardenti, ma proprio in quel momento un terremoto colpì Catania, terrorizzando la popolazione e costringendo il governatore a fermare la tortura. Tuttavia, la giovane morì poco dopo, il 5 febbraio del 251 d.C., lasciando dietro di sé un’eredità di fede e coraggio che sarebbe durata nei secoli.

Un anno dopo la sua morte, nel 252 d.C., la città fu minacciata da una terribile eruzione dell’Etna. I fedeli, disperati, presero il velo della santa e lo portarono in processione verso il fronte lavico. Miracolosamente, la lava si fermò, risparmiando Catania. Da quel momento, Sant’Agata divenne ufficialmente la protettrice della città e la sua figura si legò indissolubilmente alla storia del popolo catanese.

La festa di Sant’Agata è un evento che coinvolge tutta la città, con una partecipazione che va ben oltre il semplice aspetto religioso. Per tre giorni, Catania si ferma e si dedica interamente alla sua patrona, con un susseguirsi di riti, processioni e celebrazioni che seguono un rituale consolidato nei secoli.

3 Febbraio

Il 3 febbraio segna l’inizio ufficiale dei festeggiamenti. La giornata è dedicata all’”Offerta della Cera”, una processione solenne in cui i devoti portano in dono enormi ceri votivi, spesso decorati con simboli religiosi e artistici. Questi ceri rappresentano il sacrificio e la devozione dei fedeli e vengono utilizzati per illuminare il percorso della processione.

Un altro momento altamente simbolico è l’uscita del busto reliquiario della santa dalla “cammaredda”, la cappella in cui è custodito all’interno della Cattedrale di Catania. Durante la “Messa dell’Aurora”, celebrata alle prime luci del mattino, la folla attende con impazienza l’istante in cui il fercolo con il busto e lo scrigno contenente le reliquie viene portato fuori, tra le grida di gioia e le preghiere dei fedeli.

4 Febbraio

Il giorno successivo è quello della grande processione, che attraversa le principali vie di Catania. Il fercolo, adornato da fiori e illuminato dalle candele votive, viene trainato dai “devoti”, uomini vestiti con il tradizionale “sacco” bianco, simbolo di purezza e penitenza.

La processione percorre tappe fondamentali della città, tra cui Via Etnea, Piazza Università e il quartiere del Borgo. Uno dei momenti più emozionanti è la “Salita di San Giuliano”, un tratto in salita in cui i devoti corrono trascinando il fercolo, dimostrando il loro impegno e la loro fede.

5 Febbraio

L’ultimo giorno è quello del gran finale. Il fercolo attraversa i quartieri popolari e si dirige verso il cuore della città. Uno dei momenti più suggestivi è la “Salita dei Cappuccini” e il passaggio per Via Crociferi, dove il corteo avanza in un silenzio surreale, rotto solo dalle preghiere e dalle lacrime dei fedeli.

Il canto delle suore Benedettine si svolge nei momenti conclusivi della festa, quando la Vara imbocca via Crociferi dopo il momento clou della salita di Sangiuliano.

Ad intonarlo sono le Benedettine del Santissimo Sacramento, suore di clausura dell’omonimo monastero situato in via Crociferi.

In passato il fercolo raggiungeva via Crociferi e il monastero delle Benedettine nel corso della notte, quando ancora era buio. In quel caso, le suore di clausura cantavano senza mostrarsi alla folla che seguiva la festa e la Vara. Tuttavia, nel corso degli anni l’arrivo del fercolo in via Crociferi si è spostato sempre più verso le ore mattutine, situazione che ha portato le Benedettine a cantare in piena luce da dietro il cancello, dando luogo ad uno dei momenti più intensi e intrisi di fede della Festa di Sant’Agata.

Le Benedettine del Santissimo Sacramento omaggiano la Santa Patrona di Catania con un canto la cui musica sarebbe stata ideata alla fine dell’800 dal musicista Filippo Tarallo, di origini napoletane.

Il canto è eseguito in latino e riprende uno dei momenti chiave della storia di Agata: infatti, esso rappresenta la preghiera di donna ferita fisicamente che la Santa Patrona etnea ha rivolto a Dio in seguito all’amputazione delle mammelle, per poi essere curata dall’apparizione di San Pietro. Quindi, l’omaggio canoro è anche simbolo di fede e di orgoglio femminile da parte della giovane Agata.

Di seguito, la traduzione italiana del canto delle suore a Sant’Agata: “Stando la beata Agata in mezzo al carcere, elevate le mani pregava il Signore: Signore Gesù Cristo, Maestro buono, ti ringrazio perché mi hai fatto vincere i tormenti dei carnefici, esaudiscimi, o Signore, e fammi pervenire felicemente alla tua gloria infinita”.

Quando il busto della santa rientra nella cattedrale, il popolo saluta Sant’Agata con un misto di commozione e devozione, fino all’anno successivo.

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