Visita alla miniera di sale di Wieliczka

Visita alla miniera di sale di Wieliczka

di Francesco Bellanti

NEL PROFONDO DELL’ABISSO ANGOSCIA E SALVEZZA

Viaggio nel profondo dell’abisso visitato dai più grandi della Terra, popolato dai fantasmi della storia, dove tutto ormai è fatto di sale e di ombre, un buco di trecento metri e di trecento chilometri di gallerie e di cunicoli distribuiti su nove livelli, paradigma del male e dell’inferno, ma anche della salvezza, mancava solo il fuoco e il ghiaccio, mi è parso di vivere l’inferno di Dante, la prima tappa del suo viaggio verso la salvezza. Da Niccolò Copernico a Johann Wolfgang Goethe, dai re di Polonia a Karol Wojtyła, ai Presidenti americani, dai nazisti ai santi, ai papi, altezze e bassure in un viaggio che, invece di sprofondare, contro le leggi della fisica, elèva, e alla fine conduce ai segreti, al mistero e alle meraviglie di Dio.

La miniera di Wieliczka, visitata con la mia famiglia nell’agosto del 2019, è stata una delle esperienze più straordinarie della mia vita. A Cracovia in quei giorni ho visto l’inferno della superficie, il campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz-Birkenau, e quello che per secoli dovette essere – così mi apparve appena entrato – l’inferno sottoterra. Non avevo mai camminato per ore e ore e per chilometri a duecento metri sottoterra, avevo, sì, visitato grotte e caverne, per esempio le grotte di Frasassi, ma queste non mi avevano dato il senso di oppressione e di liberazione, nello stesso tempo, che ho provato nella miniera di Wieliczka. Lì le grotte mi erano sembrate una proiezione della superficie, una continuazione incavata ancorché artistica dello spazio, qui l’ingresso e l’uscita mi sono presentati come punti remoti della dannazione e della salvezza.

Da piccolo avevo sempre immaginato mondi sotterranei con camminamenti e gallerie che portavano a tesori misteriosi o a musei della storia, e con un balzo potente della mente poi l’ho riproposto in qualche libro, in particolare ne Il Cardinale e il labirinto di Dedalo del 2020. Io sono stato sempre attratto dai mondi sotterranei, ho la sensazione che esprimano meglio il senso dell’esistenza più dei mondi confusi e frastagliati della superficie. Ho cercato nella letteratura i sogni e le rappresentazioni della mia mente. Il racconto incompiuto “La tana” di Franz Kafka, di cui ho parlato qui, esprime più di ogni altro l’angoscia umana del nemico invisibile, e molto si avvicina alla metafora perfetta dell’esistenza.

La miniera di sale di Wieliczka è qualcosa di diverso, e di più profondo. Con tante sale decorate, le sue cappelle, i laghi, le statue di sale a forma umana, le gallerie protette, i ristoranti, i negozi di souvenir, con tutte le figure storiche e religiose scolpite dai minatori, dà al principio la sensazione di qualcosa di rassicurante, ma è un momento passeggero e forse anche più angosciante, perché segna il confine precario tra il breve spazio pullulante di vita e l’abisso pieno di baratri, avvertito da una catenella o da un paletto, se si pensa che oltre quei tre-quattro chilometri di mondo illuminato si proiettano voragini di buio, profondità arcane, centinaia e centinaia di chilometri che portano nel nulla, nel vuoto, nella notte eterna dove sono stati per sempre sepolti misteri, morti, gioie, dolori, angosce, segreti, leggende.

La miniera di sale di Wieliczka è il luogo che meglio ha confermato quello che avevo immaginato nei miei sogni, il senso della lontananza e della pace, della distanza abissale dai problemi del mondo, del distacco con cui meglio si comprendono le tragedie dell’umanità. Ho pensato ai minatori che per secoli hanno vissuto in quelle profondità, alle loro sofferenze, alla confusione e al conflitto fra i loro due mondi. Forse allora doveva essere più stridente, o forse no, certo mai avrebbero immaginato che un giorno in quelle oscurità ci avrebbero fatto concerti o celebrate messe. Sono questi luoghi desolati metafora della vita, da cui dipartono gallerie e stretti corridoi, e camminamenti e cunicoli che piombano in misteriosi labirinti o in vicoli ciechi, in trincee o in grotte gigantesche, in tane smisurate, tane che si diramano in mille altre tane, buchi di ghiaccio o di sale, e non sai se è la fine, o il principio del nulla. Poi…

Poi all’improvviso si spalanca in tutto il suo splendore di luci e di ombre, di sale e di lampadari, di statue e di sculture, di altari, la cappella di santa Kinga di Polonia, o Cunegonda, (1224 – 24 luglio 1292), beatificata nel 1690 e proclamata santa da papa Giovanni Paolo II nel 1999, ricca per i poveri e casta, regina e Patrona di Polonia. Ed è una sosta di preghiera e di riflessione sulle profondità del male e sulle proiezioni della salvezza, che può scendere da altezze vertiginose e da profondità abissali.

Fisicamente qui ho provato, come nel mio labirinto mentale o letterario, di essere padrone di un tempo conosciuto solo da me, lontano dalla terrificante paura del nemico sempre in agguato che può violare il mio spazio e il mio tempo, lontano dalle immagini fugaci, illusorie, della vita di tutti i giorni. Ignorate le deboli luci o le immagini passeggere del nostro passaggio cunicolare, qui ho conosciuto il silenzio che a passi lenti mi avvolgeva e mi annientava, inghiottiva vorace i deboli sussurri, e poi mi risollevava, perché era un silenzio che giungeva dal profondo dei millenni, dal gorgo del tempo, un silenzio che vinceva anche l’angoscia, che non è più una trappola, che abbatte anche la minaccia terribile della vita, perché egli stesso è vita, una vita diversa, arcana, che non deriva di una solitudine che non darà mai pace.

Qui ho conosciuto anche una marcia trionfale di pareti e bassorilievi di santi e patroni d’Europa, di Ultime cene e di miracoli, di patriarchi biblici, di pareti e di magnificenza, della più grande chiesa costruita sotto terra, edificata con il sale che illumina tutti i luoghi bui e tenebrosi, luogo di preghiera e di contemplazione. Dove tutto è precario come il sale, ma tutto è più luminoso, di una culminazione di luce che divora anche il vuoto, il niente, il nulla, il puro incontaminato nulla.

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