Un esempio veramente “antagonista” della politica contemporanea
di Matteo Castagna
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IL PROFONDO MESSAGGIO CATTOLICO E PATRIOTTICO DI PRIMO DE RIVERA
«Governo di Spagna! In un lontano sette ottobre si vinse la battaglia di Lepanto che assicurò l’unità d’Europa. In questo sette ottobre voi ci avete ridato l’unità della Spagna. Noi, un gruppo di giovani, ora questa moltitudine, siamo voluti venire, anche in mezzo agli spari, a ringraziarvi». Così parlò José Antonio Primo de Rivera, il 7 ottobre 1934, nel discorso pronunciato presso il ministero dell’Interno alla Puerta del Sol.
Marchese di Estella e Grande di Spagna (1903-1936) fu un politico spagnolo, figlio del generale Miguel Primo de Rivera, Presidente della Spagna dal 1923 al 1930. Nel 1933 fondò la Falange Espanola, e allacciò i primi rapporti con il generalissimo Francisco Franco.
Il profondo messaggio cattolico e patriottico di Josè Antonio affondò le proprie radici in un forte riscontro sociale e le persecuzioni del governo liberale e marxista si intensificarono: sull’orlo della guerra civile, vennero assassinati decine di falangisti, durante le manifestazioni, ma ormai la Spagna era tutta con lui. fu incarcerato e fucilato dai repubblicani. E’ figura poco conosciuta, ma che potrebbe insegnare molto alla gioventù contemporanea.
Di lui, Franco dirà: “la sua morte segretamente offerta a Dio per la Patria ne fa un eroe nazionale, simbolo del sacrificio della giovinezza del nostro tempo”.
José Antonio fu l’equilibrio di pensiero ed azione, la perfetta armonia tra l’essere e il sembrare, esempio di tutte le più grandi virtù: la continuità nell’impegno, la coerenza, il coraggio, lo spirito di sacrificio, l’altruismo, la cristiana capacità di stare accanto agli umili e di saper sfidare i potenti.
La politica, nella concezione di José Antonio, divenne una funzione religiosa, rivelatrice dell’autentico destino di un popolo. Diceva infatti: “Ci troviamo di fronte ad una guerra che riveste, ogni giorno di più, il carattere di crociata, di grandiosità storica e di lotta trascendente di popoli e di civiltà”. Egli rappresentò l’eleganza, la raffinatezza e il fascino di un rampollo della nobiltà spagnola. La sua nobiltà d’armi è quella che è capace di cadere giustiziata dall’ odio nemico, a soli 33 anni, età che, fatalmente, segna la divinità di Gesù Cristo, i santi e gli eroi.
Dalla conoscenza dei nostri padri, percorre tutta l’Europa e si parafrasa con la penna di Dostoevskij, per cui «la Bellezza salverà il mondo», la stessa bellezza incarnata da un uomo pronto a sacrificarsi per la sua patria, guerriero e poeta, uomo d’azione e di fede, il cui stile e la cui compostezza lo rendevano trascinatore di uomini e spasimo di giovani donne, già avvocato a difesa dei degli umili e degli oppressi in terra spagnola.
Per comprenderne a pieno i messaggi è necessario leggere i suoi “Scritti e discorsi di battaglia”, raccolti da Primo Siena per le ed. Volpe nel 1967, pubblicati successivamente nel 1993 dalle Edizioni Settimo Sigillo, e “La Falange spagnola. Origine ed essenza di un movimento rivoluzionario” di Paolo Rizza per le Edizioni Solfanelli. Sul sito di Azione Tradizionale, troviamo un ottimo articolo redazionale del 23/11/2016:
«Primo de Rivera, con grande audacia delle parole, afferma ancora oggi una visione della patria, che la faccia finita con i nazionalismi di tipo ottocentesco: non sono per lui i confini di una nazione a definirla, ma la missione fatale che il destino le assegna e questa, con caparbietà, porta avanti.
Questi stessi confini sono, anzi, d’ostacolo, per lui, in un Impero: ha ben chiaro l’attacco che il mendace “ritorno alla Natura” ed il “contratto sociale” dell’illuminismo rousseauiano hanno sferrato all’”ordinatio ad unum” della più alta concezione imperiale, prima di Roma e poi del Medioevo, che rese Una l’Europa. Europa, la cui unità fu disgregata, come lui stesso afferma in maniera chiara e cosciente, dalla Riforma, dai “Diritti dell’uomo” e dalla Rivoluzione francese del ’79; così come la stessa Spagna «una», «grande» e «libre» oltre ogni particolarismo, era al suo tempo oggetto dell’attacco forsennato delle forze della sovversione atea, comunista e liberale».
L’uomo nuovo spagnolo, che egli voleva portatore di questa missione salvifica, è il testimone di uno «spirito del servizio e del sacrificio, [di un] sentimento ascetico e militare della vita», affinché «tutti i popoli di Spagna, per quanto diversi fra loro, si sentano armonizzati da una irrevocabile unità di destino».
La visione anti-ideologica della Falange affondava le sue radici nei condotti carsici colmi del sangue mai sopito della più nobile stirpe spagnola, fatta di guerrieri e cavalieri erranti, uomini santi e martiri della fede.
«Primo de Rivera fu portatore di una concezione aristocratica della vita e fatale del proprio destino, e che, forte del progetto di civiltà di cui si fece carico, si oppose strenuamente non solo alle nuove «invasioni barbariche» socialiste e bolsceviche, ma anche ai mestieranti della politica, di destra o sinistra, sempre al servizio del potere, ed ai «señoriti», quale detrito umano decadente e parassitario, “signorotti” facinorosi ed aizzatori, i primi a salutare romanamente, in maniera rozza e scomposta, il passaggio delle milizie in camicia azzurra, quanto gli ultimi a svegliarsi la mattina, sempre solerti al bancone del bar.
Dal momento in cui il nome “Falange” non fu altro più che un espediente burocratico del regime di Franco, sempre più impolverato doveva trovarsi il ricordo dei labari di Cristo Re, accanto a quelli Falangisti e Carlisti, delle Ostie consacrate che sorgevano al cielo prima degli assalti: acclamazione sul campo di Cristo, condottiero presente ma invisibile, a guidare quelle che si affermavano le sue schiere contro la barbarie.
Anni in cui, come rimedio alla violenza rossa, blasfema ed iconoclasta, veniva assunta quella di un’etica guerriera e d’azione, ma consacrata a Princìpi immutabili ed eterni, cosicché il fuoco divenisse purificazione del sacrilegio ed igiene del mondo. Le anime di questi guerrieri cadevano rivolte verso un cielo limpido e terso, così incontravano il loro massimo sacrificio, senza cercar vantaggi. Anime devote, la cui gioia era di «fare la guardia alle stelle», sentinelle di valori e virtù.
Riscopriamo così, con queste due opere, un movimento che affondava le sue radici, prima ancora che in concezioni economiche o politiche, nella tradizione cavalleresca e religiosa del proprio paese, il cui capo mise al totale servizio della lotta le sue conoscenze, le sue forze, la sua etica fatta di fede ardente ed azione eroica, lontana da vagheggiamenti romantico-idealistici e perseguita con costanza, ma anche pragmatismo, incarnando nel ‘900 la figura tipo dell’hidalgo, che fece grande la Spagna nei secoli addietro».
Questa è l’epopea, breve ma intensa, della Falange di José Antonio Primo de Rivera, che sia allora non più un vago riferimento storico-politico, ma un’esperienza da conoscere, portatrice di uno stile da vivificare, lo stesso stile della Legione di San Michele Arcangelo di Codreanu o della Scuola di Niccolò Giani: quelle schiere «di eroi e di santi che faranno la riconquista».