Addio al globalismo progressista?

Addio al globalismo progressista?

di Diego Torre

ADDIO AL GLOBALISMO PROGRESSISTA

La bella addormentata nel bosco del globalismo progressista si è svegliata.

Ci voleva un caffè caldo alla Trump. Ha scoperto così di dipendere dagli USA per la difesa militare e di essere ininfluente nelle scelte che contano; di avere un’economia fragile basata anche sulla benevolenza americana nel farsi invadere dai prodotti europei.

Tre anni fa si era accorta che senza il gas russo non poteva neanche accendere la luce di casa. Ora scopre che USA e Russia se ne stanno altamente fregando dell’opinione e degli interessi europei, che snobbano i suoi governi (più o meno moribondi come quello francese e tedesco) e tirano dritti alla ricerca dei loro comuni interessi. E la colpa non è di Trump.

Biden sosteneva la guerra per logorare la Russia (buttandola così fra le braccia della Cina); certamente non per amore dell’Ucraina, interessi di famiglia a parte. Trump va più all’utile immediato: risparmiare dollari, sganciarsi dall’abbraccio parassitario dell’Europa, suonandole così la sveglia. Tutto questo si chiama rude realismo, e per la bella addormentata può essere la grande occasione di prendere coscienza della propria fragilità ma anche delle proprie potenzialità.

Non sarà la sua pallida ed emaciata presidente a fare tutto ciò; al massimo può blaterare di Cina. La presa di coscienza deve partire dai popoli (e già sta avvenendo) posti davanti al grande interrogativo: ma quest’ Europa cos’è? Un insieme di interessi diversi, a volte contrapposti? Un cumulo di paure? Un mercato di prodotti cinesi? Un laboratorio per le ideologie gender, woke e green, come quello a cui Biden stava riducendo gli Stati Uniti?

Non si inventa una patria, ma l’Europa lo può essere e lo fu: “Ci fu un tempo in cui la filosofia dell’Evangelo governava gli stati: quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e apparati dello stato, quando la religione di Gesù Cristo, posta solidamente in quell’onorevole grado che le spettava, andava fiorendo all’ombra del favore dei prìncipi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il sacerdozio e l’impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocità di servigi.

Ordinata in tal modo la società, apportò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata a innumerevoli monumenti storici, che nessun artificio di nemici potrà falsare od oscurare”(Leone XIII, Immortale Dei).

E’ il tema delle radici cristiane del vecchio continente, che unificarono i popoli culturalmente, civilmente e spiritualmente aldilà delle specificità dei regnanti e delle nazioni. Essa fu una battaglia perduta da San Giovanni Paolo II, dalla quale ripartire per trovare la visione della persona e della società che unì e ancora può unire i popoli europei. Forse pensava a questo il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, nel suo intervento alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera: “La minaccia che mi preoccupa di più nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno; ciò che mi preoccupa è la minaccia dall’interno, l’allontanamento dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America”.

O la bella addormentata prende coscienza di ciò o la sua condizione sarà sempre più povera e marginale. Ci ha messo 80 anni a svegliarsi per scoprire che a Yalta era stata lottizzata e aveva perso la sua dignità. Ci voleva il galletto americano dalla cresta bionda per farle scoprire che il re è nudo.

 

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