I giovani non devono fare come gli ignavi di Dante
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DEGLI GLI IGNAVI, E DEI PAPI CELESTINO V E BONIFACIO VIII, E DEI GIOVANI DI OGGI
E io: “Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?”.
Rispuose: “Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d’ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch’i’ non averei creduto
che morte tanta n’avesse disfatta.
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d’i cattivi,
a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto.
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto III, vv. 43-69)
La stragrande maggioranza degli italiani è costituita da ignavi. Chi sono gli ignavi (ho riportato sopra sotto alcuni versi di un famoso canto dell’Inferno dantesco dedicato a loro)? Gli ignavi – e dico subito che questo è un articolo di natura politica, etica, ma anche, e forse soprattutto, religiosa – che Dante esclude dal Paradiso e dal Purgatorio, ma anche dall’Inferno, perché non sono nemmeno peccatori, sono quelli che non fanno né il bene né il male, non hanno nessuna idea propria, non scelgono di stare da nessuna parte, non si espongono, scelgono solo chi credono che possa vincere, hanno paura di parlare, e sono, insomma, in definitiva, i qualunquisti, i profittatori, quelli che si adeguano alla massa.
Gli ignavi sono i pigri, gli indolenti, i codardi. Sono gente così squallida da essere rifiutata perfino da Lucifero. Dante li condanna – secondo il famoso contrappasso dantesco, per contrasto – a inseguire nudi per l’eternità una bandiera velocissima che gira su sé stessa, mentre sono punti da vespe e mosconi che provocano ferite che fanno uscire sangue che, mescolato con le loro lacrime, poi viene succhiato da schifosi vermi. Una pena orribile, una delle peggiori dell’intero Inferno.
Né poteva essere diversamente, Dante, costretto ad andare in esilio per ragioni politiche, uomo del Medioevo profondamente impegnato nella vita politica e civile di Firenze, non poteva non avere simile accanimento e disprezzo per chi si sottrae ai suoi doveri verso la società. Chi sono gli ignavi di oggi? Gli ignavi di oggi sono quel cinquanta per cento o forse più di italiani che non votano, sono quelli che non si espongono, che non dicono né scrivono alcunché sui problemi della società, sono quelli che votano solo per proprio tornaconto personale, sono quelli che si rifiutano di costruirsi una propria visione del mondo o che non aderiscono a nessuna ideologia, che non si pronunciano sulle religioni e sui problemi del mondo moderno, sono le pecore che inseguono le mode, i vigliacchi.
Gli ignavi sono quelli che votano in modo umorale o secondo i loro interessi del momento. Sono anche intellettuali e giornalisti che dicono di essere di destra e di sinistra, esempio perfetto per gli analfabeti. Gli ignavi sono quelli che stanno portando alla rovina l’Italia, come al tempo di Dante avevano portato alla rovina Firenze e le altre città, gli altri stati d’Italia. In questo famoso canto terzo cdell’Inferno dantesco, ci sono alcune parole famosissime che si riferiscono a una persona “colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Chi è questa persona? I lettori di Dante, i critici, si sono divisi in due partiti, i sostenitori di Ponzio Pilato, il procuratore romano che rifiutò di esprimersi sulla condanna di Gesù Cristo, e il Papa Celestino V. Tuttavia, in considerazione dell’odio che Dante aveva per Papa Bonifacio VIII, successore di Papa Celestino V che rinunciò al Pontificato, oggi quasi tutti i critici sono orientati a ritenere che sotto quelle misteriose parole si nasconda il nome di Papa Celestino V.
A Bonifacio VIII, Dante riserva all’inferno un bel posticino, anche se il papa era ancora in vita. Egli viene citato nei canti XIX e XXVII dell’Inferno, nei quali viene addirittura predetta la sua futura condanna tra i simoniaci. Ricordiamo che la simonia era la compravendita di cariche ecclesiastiche, nella quale il cardinale Benedetto Caetani, che fu poi eletto Papa nella Basilica di San Pietro a Roma il 23 gennaio 1295 con il nome di Bonifacio VIII, pare si sia particolarmente distinto. I Caetani erano un’antica e nobile famiglia, originaria di Gaeta, erano spregiudicati, ambiziosi e niente affatto inclini al compromesso, furono protagonisti della storia del Ducato di Gaeta, della Repubblica di Pisa, dello Stato Pontificio e del Regno delle due Sicilie. Erano una potente famiglia spesso in conflitto con altre famiglie del tempo, tra le quali, in particolare, i Colonna. Perciò l’elezione di Bonifacio VIII fu vista malvolentieri da molti aristocratici suoi avversari, che inevitabilmente si scontrarono con il disegno teocratico della nuova politica ecclesiastica.
Celestino V pare sia stato raggirato dal cardinale Benedetto Caetani per rinunciare alla carica. Certamente il pontificato di Celestino V fu caratterizzato da una notevole ingenuità per quanto riguarda la gestione amministrativa della Chiesa. Celestino V, frate anziano che aveva sempre vissuto una vita monastica ed eremitica, non conosceva il latino, i suoi concistori si svolgevano in lingua volgare, perciò era facile per lui cadere in continui errori burocratici, come, per esempio, assegnare lo stesso beneficio a più di un richiedente. Questa gestione confusionaria, unita a una personalità debole e forse inidonea a ricoprire quel ruolo, stavano facendo cadere la Chiesa nel caos. Ma chi era questo Papa Celestino V?
Celestino V, al secolo Pietro Angelerio frate ed eremita benedettino, era nato in Molise, ed ebbe un’infanzia circondata da leggende che gli preannunciano una vita misteriosa e straordinaria che trova il suo compimento il 5 luglio 1294, quando, grazie alla fama di santità diffusa in tutta Italia, alla morte di papa Niccolò IV (4 aprile 1292) il conclave riunito a Perugia lo elegge a Pontefice il 5 luglio 1294, con l’intervento determinante del re di Napoli Carlo II d’Angiò, che, fatto trasferire il papa a Napoli, interferisce nella sua attività, richiedendo favori e facendogli nominare cardinali di nazionalità francese. Anche per questo, incoraggiato, anzi fortemente condizionato, dal cardinale Benedetto Caetani, che sarà eletto Papa col nome di Bonifacio VIII, come dicevamo, egli si dimette nel dicembre 1294, dopo neanche 4 mesi di pontificato. In questi quattro mesi, l’unico importante documento emanato da Celestino V, il 29 settembre 1294, fu la Bolla del Perdono, custodita nella cappella blindata della Torre civica del Palazzo Comunale dell’Aquila fino al terremoto del 2009, dalla quale deriva la Perdonanza celestiniana, la sua più importante (dal punto di vista spirituale) eredità, grazie al pellegrinaggio sulla sua tomba a Collemaggio (L’Aquila), realizzato da Papa Francesco, il 28 agosto del 2022.
Abbiamo narrato questa storia, e questo canto sull’ignavia, per dire – sempre secondo Dante, naturalmente – che spesso l’ignavia produce conseguenze devastanti per la società. Occorre anche dire che il Sommo, affascinato dal francescanesimo e dalla figura di Francesco d’Assisi, al quale dedicò nel Paradiso un canto memorabile, considerava Bonifacio VIII, come i frati minori, un antipapa, che non rappresentava i valori e la fede cattolica nella quale credeva il poeta. Inoltre, Bonifacio VIII era detestato da Dante, perché egli era il grande alleato dei guelfi neri fiorentini, gli avversari politici che costrinsero il poeta all’esilio nel 1302.
Dante, insomma, benché uomo del Medioevo, anzi, soprattutto per questo, essendo egli figlio di una terra litigiosa e fiera della propria appartenenza, vuole dirci che la partecipazione alla vita etica, religiosa, politica, è fondamentale per il progresso della stessa società. È un messaggio, il suo, rivolto in particolare ai giovani, che, per dirla con il fondatore della Apple, Steve Jobs, non devono vivere la vita degli altri. Nel suo “Discorso ai giovani del nostro tempo”, poco prima di morire, incarnando non solo il sogno americano ma anche quello dei giovani, disse: “Il nostro tempo è limitato per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario”. Prima di andare in pensione, da docente ritornavo spesso a queste parole di Steve Jobs. I giovani devono avere un progetto, partecipare alla vita della società, devono avere una via da seguire, maturare una coscienza critica per affrontare il mondo. I giovani devono leggere, studiare, il vero nemico è l’ignoranza, un uomo che vive nell’ignoranza non andrà da nessuna parte. Devono vivere la vita da protagonisti e non da pecore, fare delle scelte, essere coraggiosi, osare.
I giovani non devono fare come gli ignavi di Dante, altrimenti saranno puniti anche in vita, inseguiranno bandiere e insegne vane e illusorie e saranno punti nudi da mosconi e vespe, e il loro sangue, mischiato alle lacrime verrà succhiato ai loropiedi da fastidiosi vermi. Senza cultura saranno pure schiacciati come vermi sia dal potere politico che dalla delinquenza, che poi sono due aspetti della stessa medaglia. Abbiate sempre una meta, dice Seneca, ché la vita senza una meta è vagabondaggio, vita sine proposito vaga est. Certo, “il gran torto degli educatori è di voler che ai giovani piaccia quello che piace alla vecchiezza e alla maturità; che la vita giovanile non differisca dalla matura; di voler sopprimere la differenza dei gusti, dei desideri[…]; di voler che gli ammaestramenti, i comandi, e la forza della necessità suppliscano all’esperienza”. Così Leopardi. E con lui torniamo al principio: i giovani devono alla fine seguire le loro inclinazioni, governate però dall’educazione ricevuta. Non lascino costruire il mondo dagli altri, l’insegnamento di Dante, del cattolicesimo, è questo. Solo la cultura salva. Solo la partecipazione salva. La fede nei più alti valori etici, religiosi, politici. Solo con queste armi si sarà felici e si potrà camminare a testa alta, con orgoglio e fierezza, solo così davanti a noi anche lo spazio s’inchinerà, anche il tempo.