Giuseppe: il Santo del dolore contemplativo

Giuseppe: il Santo del dolore contemplativo

di Claudia Di Dio

UNA RIFLESSIONE A PARTIRE DAGLI SCRITTI DI PADRE DOLINDO RUOTOLO

La figura di San Giuseppe, oggi tanto dimenticata, riveste un ruolo centrale nella storia della Redenzione. La letteratura apocrifa, in netta contrapposizione con l’ortodossia cristiana, ci rimanda un’immagine del Santo errata. Secondo detta letteratura, il papà di Gesù al tempo del matrimonio con la Vergine Santissima avrebbe avuto una veneranda età e figli da un precedente Matrimonio. In realtà, la figura di San Giuseppe, ben più grande e complessa, viene realmente tratteggiata dagli Evangelisti.

I Vangeli ci danno poche ma incisive informazioni sul Santo più grande e degno di venerazione dopo la Santissima Vergine Maria. San Bernardo, non a caso, afferma che: “la Lode di San Giuseppe è nel Vangelo”. L’introduzione del Vangelo di Matteo chiarisce quanto affermato dal santo. L’Evangelista, infatti, nel capitolo primo sottolinea che, l’esser stato padre putativo di Gesù abbia consentito al Redentore di entrare nella genealogia della stirpe di Davide. Matteo, inoltre, giunge a definire San Giuseppe “uomo giusto”. Giuseppe fu indubbiamente un grande uomo e santo agli occhi dell’Evangelista.

Per comprendere la grandezza di San Giuseppe, a parere di Don Dolindo Ruotolo, è necessario tuttavia riflettere su un dato fondamentale che caratterizzò la sua vita: il dolore. Quel dolore che generò una profonda umiltà in Giuseppe, rendendo grande la sua anima. Il dolore, infatti, sforza l’anima a vivere nella volontà di Dio, ad avere un pensiero superiore, elevando l’anima stessa. Il Padre celeste dunque prova l’anima affinché quest’ultima esca dalla sua piccolezza e viva in Lui. Questo è dunque il mistero del dolore di un’anima che è chiamata da Dio ad una vita più alta. Il martire, in tal senso, è il più grande tra i Santi poiché abbraccia la volontà di Dio totalmente, unendosi anche ai dolori di Gesù.

San Giuseppe abbracciò perfettamente la volontà divina, unendosi anche ai dolori del suo figliolo. Giuseppe è l’esempio non solo dell’uomo giusto, ma anche del più grande dei Santi. Egli, infatti, si sottopose ai disegni di Dio senza esaminarli e ciò gli diede tantissime gioie ma anche tantissimi dolori.

Maria, incinta per virtù e opera dello Spirito Santo, fu un mistero tanto grande quanto incomprensibile per Giuseppe. Egli conosceva la purezza e santità della sua promessa sposa. La legge lo costringeva a denunciarla. Il suo tormento e angoscia erano grandi, non voleva esporre Maria alla lapidazione, così decise di ripudiarla in silenzio. In questa decisione si svela il suo animo giusto e tanto sofferente.

Dio Padre tuttavia non lo abbandonò, non lo provò al di sopra delle sue forze. Venne infatti l’Angelo e lo rassicurò. A quel punto Giuseppe volle solo obbedire senza chiedersi o chiedere nulla. Si abbandonò alla volontà del Padre, amando Maria come sua sposa e accogliendo un figlio che non era suo.

Tutta la vita di Giuseppe fu un martirio di umiltà e amore: la fuga in Egitto, la vita di sacrificio e lavoro nella casetta di Nazaret, l’essere a Capo della famiglia più Santa di tutte, il ruolo di custode della più santa fra tutte le donne e del figlio di Dio. Compiti indubbiamente non facili. La sofferenza di Giuseppe fu la percezione della sua insufficienza e piccolezza innanzi la Vergine Santissima e la grandezza di Gesù. Lo sguardo di Gesù era fuoco d’amore e quello di Maria incendio di carità, Giuseppe non poteva fare altro che amarli profondamente e consumarsi per loro, soli splendenti che Dio Padre si era degnato di affidare a lui. Ogni parola del figliolo suo era una fiamma che bruciava la sua anima. Ogni volta che Gesù lo chiamava Papà egli si inteneriva e sentiva l’Amore di Dio Padre che si dona alle sue creature.

La sua sposa era sublime sintesi di ogni grandezza ed ogni virtù. Egli taceva, contemplava, amava e soffriva perché avrebbe voluto un cuore più grande per accogliere i suoi grandi amori. Così il gran santo non poteva fare altro che  umiliarsi, rinunciare a tutto se stesso e donarsi al divino volere. Un volere di amore e donazione totale alle sue creature, un volere che era incendio vivo di amore e che aveva visto in Giuseppe l’umana e perfetta collaborazione alla volontà di Dio.

Giuseppe visse anche tantissime gioie. Egli amò tantissimo la sua sposa: fiore di cui sentiva il profumo della virtù. Il gran santo gioiva nel sapersi sposo di una creatura così grande e padre del Redentore, che tanti santi e profeti avrebbero voluto conoscere e guardare. Giuseppe poteva baciare e abbracciare il figlio di Dio, lo istruiva nel lavoro, lo serrava al suo cuore. La sua gioia gli faceva vibrare l’anima e il cuore. Lui, umile uomo, poteva solo ridonare a Dio il dono più grande e bello ricevuto: Gesù e Maria. San Giuseppe nel contemplare e amare i suoi soli, aveva raggiunto la perfezione dell’amore contemplativo poiché dopo Maria si era unito perfettamente a Gesù.

Giuseppe fu indubbiamente il più grande tra i martiri e i Santi.

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