Nietzsche e il viaggio della follia

Nietzsche e il viaggio della follia

di Francesco Bellanti

I TEDESCHI E LA SICILIA /3

Quando in Sicilia nacque Così parlò Zarathustra

E raccontiamola questa storia, che per il grandissimo filosofo tedesco è un viaggio non alla fine, ma all’origine del mondo. Friedrich Nietzsche, il grande filosofo di Così parlò Zarathustra, come (quasi) tutti i tedeschi amò disperatamente l’Italia, ma ebbe un rapporto un po’ controverso con la Sicilia. L’Italia. Egli, per gran tempo, credette che l’Italia fosse l’ultimo viaggio della follia. Era la sfida, il confine ultimo della follia. Era la meta dei destini tragici, dei geni in lotta con il mondo, il viaggio fatale. Lui, che cantava la vitalità bacchica, la natura.

Il clima tedesco e quello di Basilea non facevano per lui, in inverno prediligeva l’aria e le terre del sud, in estate si rifugiava a Sils-Maria, in Engadina. Ma era sempre un’atmosfera tragica, un perenne fuggire alla ricerca del clima migliore che lenisse i suoi mali e gli consentisse di scrivere. Gli giovarono molto gli inverni di Nizza – il mare blu, i chiari di luna, i giorni luminosi e limpidi, sereni. Gli piacque molto Torino, una città non molto amata dagli italiani. Era una città – disse – che divorava la storia, c’erano librerie, c’era cultura, e c’era il clima secco, energico, stimolante dell’Engadina. Torino l’affascinava. Lo affascinavano i grandi portici con i suoi caffè, le larghe piazze, i selciati, l’aristocratica calma, la quiete dei brillanti viali alberati oltre i quali si potevano intravedere le vette innevate delle Alpi.

Naturalmente, come tutti i grandi tedeschi, non poteva non venire in Sicilia. Della Sicilia, però, non ebbe un buon ricordo. Egli era convinto, come Goethe, che solo lì, in quella che fu la Magna Grecia, ci fosse la coerente verità al di là delle apparenze, cosa di cui ancora oggi è privo l’uomo-maschera come il mondo intero. Con un mercantile da Genova, il 31 marzo 1882 giunse a Messina, città allora fiorente di commerci e di attività mercantili. Vi giunse stanco, provato da una notte insonne, dal mal di mare, e dai soliti, violenti, attacchi di emicrania.

Che cosa cercava Nietzsche? Cercava come Goethe la verità, la bellezza, ma anche una cura per il suo corpo e la sua anima. Erano i prodromi di una devastante malattia neurologica che aveva già distrutto suo padre, morto ad appena 36 anni, e suo nonno. Egli era già in ansia perché aveva superato da poco i 36 anni, aveva 38 anni e temeva il crollo mentale, che sarebbe effettivamente avvenuto sette anni dopo. Sotto questo profilo, fu molto fragile, anche se il percorso che conduceva alla follia si accompagnava coi più profondi fermenti della sua filosofia. I suoi frequenti viaggi, anche per ragioni termali, erano – così pensava – una cura. Cercava il sud, soprattutto d’inverno, cercava la Sicilia. Qui scrisse gli Idilli di Messina, qui fu – più che in ogni altro luogo – poeta. Era rimasto suggestionato dalla Sicilia descritta da Goethe. No, non cercava Wagner, l’amico, il grande musicista del suo sogno, la musica di Wagner espressione del dionisiaco, dei miti fondativi germanici. Wagner, ormai, secondo lui, lo aveva tradito con la conversione al Cristianesimo. Un vero tedesco, poi, non cerca un altro tedesco fuori dalla Germania. Aveva scritto al suo amico e discepolo compositore Heinrich Köselitz, cioè Peter Gast, come lo chiamava, che andava alla fine del mondo. In realtà, egli andava all’origine del mondo, riconobbe in seguito.

Inizialmente, a Messina, la sua salute ne ebbe giovamento. La Sicilia per Nietzsche era una terra meravigliosa: voleva restarvi fin dopo l’estate. Visitò Taormina, la parte orientale dell’isola, vide paesaggi incantevoli che la povertà degli abitanti se non esaltava nemmeno offendeva. Ma il 23 aprile di quel 1882, abbattuto dal caldo e dallo scirocco, partì da Messina per ricongiungersi, a Roma, col suo amico Paul Rée. Rimase nella sua mente travagliata il ricordo di una terra incomparabile, fatta di aurore rosa e di crepuscoli dorati, e di una luce folgorante che gli fece sigillare la prima parola di Così parlò Zarathustra, il libro dell’eterno ritorno e della morte di Dio, il libro del Superuomo, il più profondo che sia mai stato scritto. La Bibbia dell’eternità. In Sicilia fu baciato dal genio, e nacque Zarathustra. Solo in Sicilia poteva nascere Zarathustra. Lui, il genio precoce, visse il suo tempo più fecondo. Il suo tempo lui lo viveva in solitudine.

La solitudine aveva accompagnato sempre la sua vita, dalla nascita alla morte. Lui era orgoglioso, aveva un furore demoniaco, era il filosofo e il poeta, il cantore del tempo, il fuggiasco e l’esule, l’uccello raro nel cielo, l’animale rinchiuso nella sua tana, non ascoltava altro che la sua voce. Insomma, era un genio, e un genio non può che essere solo. La solitudine fu una sua creazione. Sì, anche la solitudine fu una costruzione del suo genio. Aveva bisogno di una solitudine estrema per scrivere le sue opere e trasformare la sua vita in un destino, solo che alla fine di questo percorso incontrò la lacerazione della sua mente e la follia. Nella follia incontrò quello che era sempre stato nella sua mente, quello che sognava di essere. E sognò di essere Alessandro Magno e Cesare, Napoleone, Voltaire, Shakespeare, Buddha, Dioniso, Gesù. Sogno, follia e vita erano per lui i tre aspetti della stessa sostanza. Forse, per la prima volta, li vide insieme in Sicilia. Forse, per la prima volta, non obbedì alla solitudine, ma a qualcos’altro: alla Sicilia. E nacque Così parlò Zarathustra.

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