Il completamento della giustizia di Dio

Il completamento della giustizia di Dio

di Alvise Parolini

LA PANDICEA, OVVERO CIÒ PER CUI SIAMO NATI

“Figlia mia, tutto ciò ch’è stato fatto dalla nostra Divinità, tanto nella Creazione quanto nella Redenzione e Santificazione, non è stato tutto assorbito dalla creatura, ma stanno tutti nella mia Divina Volontà in atto aspettativo per darsi alle creature. Se tu potessi vedere tutto nel mio Fiat Divino, troveresti un esercito d’atti nostri uscito da Noi per darli alle creature, ma perché non regna il nostro Volere, non hanno né spazio dove metterli né capacità di riceverli. E questa milizia divina sta per ben venti secoli aspettando che si metta in uffizio d’esercizio, per portare alle creature i doni, gli abbigliamenti, le gioie e le arme divine che ciascun’atto nostro possiede, per fare insieme con loro un solo esercito divino, una milizia celeste. Ora, per fare che il regno del nostro Voler Divino regnasse in mezzo alle creature, è necessario che assorba in sé tutti questi atti della Divinità fatti per amor loro, e l’assorba tanto in sé stessa, da rinchiudere in sé tutto ciò che possiede il mio Fiat, inviscerandoli e consumandoli in sé stessa. Sicché la mia Divina Volontà consumata nella creatura, farà rientrare in essa tutto questo esercito divino, tutti gli atti nostri usciti da Noi nella Creazione, Redenzione e Santificazione per amor loro, rientreranno nelle creature e la mia Divina Volontà rientrata e consumata in loro, si sentirà trionfante e regnerà dominante insieme col nostro esercito divino” (Serva di Dio Luisa Piccarreta, Libro di Cielo, Volume 25, 28 ottobre 1928).

Col termine “pan” rimandiamo qui al significato di “completo”, mentre con “dicea” a “dike”, ovvero “giustizia”. La dottrina del completamento della giustizia di Dio nelle creature può essere embrionalmente còlta anche negli scritti di San Paolo: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Colossesi 1,24). Potremmo considerare quel “tei sarki mou” – “nella mia carne” – come l’affermazione di una necessità realmente e corporalmente esperita di patire ed in generale di vivere e sentire nella propria persona ciò che ancora deve essere compiuto in se stessi a bene di tutto il Corpo di Cristo.

Come ci rivela Gesù stesso in un celebre brano degli scritti di Luisa Piccarreta: “Figlia mia, quand’io stavo sulla terra le mie mani non si abbassavano a lavorare legne, a ribattere i chiodi, ad aiutare nei lavori fabbrili il mio padre putativo Giuseppe? E mentre ciò facevo, con quelle mani medesime, con quelle dita, creavo le anime e altre anime richiamavo all’altra vita, divinizzavo tutte le azioni umane, le santificavo dando a ciascuna un merito divino; nei movimenti delle mie dita chiamavo in rassegna tutti i movimenti delle tue dita e degli altri, e se vedevo che le facevano per me o perché io li volessi fare in loro, io continuavo la vita di Nazareth in loro e mi sentivo come rinfrancato da parte loro per i sacrifizi, le umiliazioni della mia vita nascosta, dando loro il merito della mia stessa vita” (Serva di Dio Luisa Piccarreta, Libro di Cielo, Volume 11, 14 agosto 1912).

Se “sub specie aeternitatis”, nella prospettiva dell’eternità o – altrimenti detto – “nella Divina Volontà” ogni Atto Divino va ad essere partecipato (in un incessante moto nei secoli dei secoli) dalla creatura, forse sarebbe il caso di andare a riprendere in mano le primissime intuizioni in ambito filosofico. Talete stesso, anticipatore del panpsichismo, affermò che “tutto è pieno di dèi” e che il principio vitale del mondo fosse l’acqua. Ora, al di là di implicazioni anche sul piano fisico alle quali tale asserzione conduce, in senso simbolico potremmo vedere Dio come l’acqua e la Sua Volontà come un oceano sconfinato, immagine per altro molto utilizzata presso il Padri della Chiesa ed i santi della nostra tradizione. Attribuire, però, capacità “acquee” o psichiche in senso stretto ad enti non intelligenti, risulterebbe un abuso nei confronti dell’ordinatio creationis, dell’ordinamento della creazione, dunque potremo affermare che ogni ente sia partecipato da esseri intelligenti fermo restando la distinzione tra l’ente in se stesso come recipiente e l’intelligenza che lo coordina in modo non unito (come l’anima per il corpo umano), ma separato. Ciò vale per enti coesi, porzioni di enti o enti collettivi, da quelli elementali, vegetali, animali, umani, fino ad angelici.

Se siamo per Dio, siamo anche chiamati a vivere della Sua Vita, a partecipare di tutti gli innumerevoli Atti che Lui ha posto eternamente in essere. Possiamo audacemente dire, a Gloria Sua, che siamo nati per questo: per riconoscerLo in eterno, in Sè e nelle Sue Opere.

 

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