Il Conclave delle ricomposizioni

Il Conclave delle ricomposizioni

di Roberto Frecentese

OCCORRE DIRIMERE UN NODO STRATEGICO PER IL FUTURO DELLA CHIESA

L’ultimo pontificato, a iniziare già dal momento elettivo, ha creato un susseguirsi di interrogativi, ai quali rispondere non è stato per nulla facile. Alcune domande sono rimaste senza risposta, alcune aspettative sono parse ben superiori alle reali possibilità di realizzazione nell’arco di poco più di un decennio.

E’ stato un pontificato, quello che si è chiuso, piuttosto complesso sia per quanto concerne le questioni più propriamente dottrinali sia quelle pastorali, che progressivamente hanno preso il sopravvento sulle prime.

La percezione di un tentativo di superamento della cosiddetta “dottrina” a favore di una pastorale della vicinanza alle persone e ad alcuni gruppi di esse si è fatta sempre più evidente nel cuore del papato di Francesco.

La misericordia come strumento di superamento della rigidità dottrinale ha messo in crisi lo schema consolidato per cui la pastorale era una conseguenza dell’impostazione dottrinale. Viceversa il primato della pastorale alimentata dalla misericordia doveva probabilmente consentire un cambiamento o un’attenuazione dottrinale.

Questo, per più motivi, non è avvenuto, poiché o occorreva portare entrambe sulla stessa linea con un procedere di pari passo o cancellare la verticalità di sequenza che ha sempre visto, nella storia della Chiesa, il primato della dottrina sul resto.

Il nuovo conclave è chiamato a dirimere quest’importante nodo, strategico per il futuro della Chiesa. Non si tratta soltanto di una questione strettamente teologica, ma ha ampi risvolti nei campi filosofico e culturale. Si tratta di porre in discussione secoli e consolidate scelte con una di pari misura capacità elaborativa di quei contenuti scelti già dai tempi dei Padri della Chiesa, passando per il Tomismo e arrivando fino al Concilio Vaticano II. Si è chiesta una rivoluzione quasi copernicana ma con strumenti tutt’altro che solidi e persone troppo lontane dalle figure statuarie e imponenti vissute nel corso di due millenni. Si è affrontata un’impresa colossale con una buona dose di inadeguatezza, e questo è apparso il grave limite del pontificato che si è concluso.
Può un conclave provare a bilanciare, ad attenuare la separazione tra dottrina e pastorale, in alcuni casi tra loro addirittura antitetiche nella loro coniugazione “francescana”?
E’ questa una delle prime questioni che potranno essere oggetto di discussione tra i cardinali elettori, alcuni dei quali seri teologi, filosofi e canonisti. Il pontefice che sarà eletto non potrà non essere un uomo di cultura, profondamente imbevuto di conoscenze e saggezza, ma nello stesso tempo, uomo della pastorale avveduta e vissuta nel concreto. In parte tale interrogativo era presente nei “dubia” posti da alcuni cardinali, a cui non poteva essere data risposta proprio perché chi ha sostenuto papa Francesco non aveva gli strumenti adeguati. Insomma si è assistito a un non parallelo avanzamento di dottrina e pastorale, il solo che avrebbe garantito la maggiore efficacia e il minor danno, evitando un senso di smarrimento nel popolo di Dio, impreparato alle “nuove” questioni. E qui si giuoca il tema della ricomposizione per dare nuovo slancio a una Chiesa che progredisce più equilibrata nella sua proposta.

C’è, però, un’altra problematica che il papato di Francesco ha lasciata irrisolta: l’elezione canonica, contestata a più riprese e in vari modi, da quelli più soft a quelli più virulenti, fino alla creazione di una sorta di scisma di fatto, fino alla scomunica di chi poneva il pontificato nell’alveo dell’anti papato e dell’anti Cristo. Al di là delle ragioni e delle argomentazioni poste in essere ci si è chiesti con sufficiente ragionevolezza se non era il caso di usare l’argomento della misericordia prima di giungere alle conseguenze estreme? La durezza non ha forse inasprito maggiormente gli animi? In questo passato pontificato si è assistito a un numero impressionante di scomuniche, rispetto ai precedenti, che stride con l’esaltazione della misericordia operata con tutti, ma proprio con ogni categoria di persone. Il problema in realtà è molto più serio e va ricomposto e orientato, per quanto possibile, verso i binari di più comprensione delle cause per recuperare il maggior numero di cristiani, che, disorientati, hanno fatto scelte emotive o di trascinamento da parte di leader. C’è, al di là dei casi estremi difficilissimi da recuperare, un mare di persone che potrebbero essere ancora una ricchezza per la Chiesa, perché animate da sincero desiderio di preghiera e disponibili al servizio ecclesiale. Come rimuovere lo scisma di fatto? C’è da operare secondo due direttrici. Sul versante dei cosiddetti progressisti il discorso si incentra sulla prima questione che ho provato a indicare riguardo al binomio dottrina-pastorale. Su quello dei cosiddetti conservatori o tradizionalisti il problema nasce da un’interpretazione giuridica, più o meno corretta. L’argomento dell’elezione invalida di papa Francesco e il conseguente annullamento delle sue scelte, si riverserà ancora come una mannaia sul prossimo pontefice da eleggere. I “contestatori” possono proseguire unicamente se venisse eletto un papa di nomina bergogliana, perché, a loro dire, illegittimo il primo illegittimo anche il nuovo eletto. Come superare e spuntare l’arma della contestazione dei “contestatori” e dei dubbiosi? Eleggere un cardinale nominato da Giovanni Paolo II: ne sono rimasti pochi e quasi tutti carichi di anni. Ritengo che tuttavia ci sia un candidato che abbia le carte in regola per operare in modo equilibrato e con conoscenza profonda della materia, tra l’altro un fine canonista, voluto fermamente da Giovanni Paolo II e mai contestatore esplicito di Francesco, conservatore ma capace di ascoltare e prendere il meglio dai suoi interlocutori. Un eletto giovanpaoleo spezzerebbe gli argomenti sull’invalidità di ogni elezione post Francesco con buona pace dei novelli sede vacantisti. E la diatriba su munus e ministerium si spegnerebbe così come si è accesa, in quanto eventualmente circoscritta al solo pontificato francescaneo.

Tra le tante questioni sul tappeto nel prossimo conclave, queste due non possono essere ignorate se non si desidera correre il rischio di alimentare ancor più confusione, di avere una traballante fondazione elettiva e un nuovo pontefice, messo nelle condizioni se non peggiori ma sicuramente non migliori per governare la Chiesa nei tempi più tempestosi di questo primo quarto del III millennio.

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