15 Giugno 2025

Il genio delle lingue: Il Cardinale Mezzofanti

A cura della Redazione

IL POLIGLOTTA DI DIO

In un’epoca in cui il mondo iniziava appena ad affacciarsi ai concetti di globalizzazione e comunicazione interculturale, un uomo, un ecclesiastico bolognese, si impose come simbolo vivente della capacità umana di comprendere e abbracciare il diverso: Giuseppe Gasparo Mezzofanti (1774–1849), cardinale della Chiesa cattolica, linguista prodigioso, e figura quasi leggendaria per le sue straordinarie doti di poliglotta. Il suo nome, purtroppo, è oggi poco conosciuto fuori dagli ambienti accademici, eppure la sua storia e le sue capacità intellettuali dovrebbero brillare come esempio di ciò che l’uomo può realizzare quando il talento incontra la dedizione.

Nato a Bologna in un periodo di fermento culturale e politico, Mezzofanti mostrò sin dalla giovane età un’attrazione irresistibile per le lingue. Secondo le cronache, già da adolescente padroneggiava latino, greco ed ebraico con una disinvoltura stupefacente. Ma ciò che più colpiva era la sua fame insaziabile di conoscenza linguistica: imparava nuovi idiomi con la naturalezza con cui si respirava. Non si trattava, tuttavia, solo di memorizzare vocaboli e regole grammaticali; Mezzofanti interiorizzava le lingue, ne coglieva lo spirito, le inflessioni culturali, il ritmo del pensiero che esse veicolavano.

Le testimonianze dirette sui talenti linguistici di Mezzofanti sono numerose e provengono da fonti di tutto rispetto. Lord Byron, per esempio, lo definì “un miracolo della natura”; Charles William Russell, autore della sua più importante biografia, cercò di fare ordine nell’elenco delle lingue da lui conosciute. Si parla di almeno 50 lingue parlate fluentemente, e di una conoscenza, almeno passiva, di oltre un centinaio di idiomi e dialetti, inclusi lingue rare o marginali come il tibetano, il basco, il georgiano e numerosi idiomi africani e amerindi.

A differenza dei linguisti moderni, che spesso studiano le lingue in un contesto accademico, Mezzofanti apprendeva attraverso il contatto umano. Lavorando nella Biblioteca dell’Università di Bologna, e più tardi alla Congregazione di Propaganda Fide a Roma, ebbe modo di incontrare persone da tutto il mondo: pellegrini, studenti, missionari. Con ciascuno parlava nella loro lingua madre, e ne assimilava accenti, espressioni idiomatiche e forme colloquiali con rapidità disarmante. Non prendeva appunti, non faceva affidamento su grammatiche o dizionari: ascoltava, assorbiva, replicava.

Paradossalmente, Mezzofanti non lasciò quasi nulla di scritto. Non pubblicò opere linguistiche, né compilò grammatiche o dizionari. Questa apparente mancanza è stata spesso oggetto di critiche, ma è anche una chiave per comprendere la sua natura. Mezzofanti non era un teorico della linguistica, bensì un praticante, uno strumento vivente della comunicazione umana. Il suo interesse per le lingue era profondamente legato alla loro funzione: comunicare, capire, entrare in relazione con l’altro. Le sue competenze erano al servizio della sua missione spirituale e umana.

Nel suo lavoro alla Congregazione di Propaganda Fide, Mezzofanti si distinse per il sostegno dato ai missionari, spesso aiutandoli a prepararsi linguisticamente prima di partire per terre lontane. Credeva nella lingua come veicolo di evangelizzazione, certo, ma soprattutto come strumento di dialogo interculturale. In questo senso, può essere considerato un precursore del concetto moderno di interculturalità.

Le testimonianze che lo vedono parlare con disinvoltura con visitatori del Levante in arabo, poi rispondere in malese a un religioso delle Filippine, per poi rivolgersi in un impeccabile russo a un diplomatico ortodosso, sembrano racconti mitici. Eppure sono confermati da fonti credibili, da diplomatici, studiosi, viaggiatori che lo incontrarono personalmente.

Cosa rendeva Mezzofanti così straordinario? Certamente una memoria eccezionale, una mente analitica finissima, ma soprattutto una capacità empatica fuori dal comune. Parlare una lingua non significa semplicemente saperla tradurre: significa pensare nella lingua dell’altro, percepire il mondo attraverso il suo sistema simbolico. Questo Mezzofanti lo faceva in modo naturale. Alcuni studiosi moderni ipotizzano che potesse avere una forma di iperglossia o una forma avanzata di sinestesia linguistica, ma queste sono spiegazioni che, per quanto affascinanti, non riescono a catturare pienamente la grandezza della sua mente.

Oggi, in un mondo sempre più interconnesso ma spesso incapace di dialogo autentico, la figura di Mezzofanti assume un valore nuovo e urgente. Egli rappresenta l’antitesi dell’indifferenza culturale: un uomo che ha fatto dell’ascolto, dell’apprendimento continuo e della comprensione profonda dell’altro il fulcro della propria vita. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale traduce testi e approssima discorsi, Mezzofanti ci ricorda che le lingue sono molto più che codici da decifrare: sono anime da rispettare.

Il cardinale Mezzofanti morì a Roma nel 1849, lasciando dietro di sé non opere scritte, ma una leggenda fatta di incontri, parole, voci. Il suo nome è scolpito nella memoria di chi crede nella potenza del linguaggio come strumento di pace, curiosità e amore per il prossimo. Forse è tempo che anche il grande pubblico riscopra questo straordinario figlio dell’Italia, il poliglotta di Dio, come lo chiamarono alcuni, e ne tragga ispirazione per costruire ponti dove oggi vediamo solo confini.

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