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I COLORI, I RITI E IL SENTIMENTO CATTOLICO NEL NORD E NEL SUD
Bene, adesso che abbiamo il nuovo Papa, Leone XIV, annunciato quattro giorni prima della sua elezione, l’8 maggio, dal Direttore di Informazione Cattolica Matteo Orlando – novello Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele, se non Giovanni Battista (naturalmente scherzo, niente blasfemia) – con quello che io definisco un bellissimo e profondo pamphlet religioso utopico in forma di racconto, che sta avendo un meritato grande successo, “Il sigillo del Leone“, possiamo fermarci un po’ e riprendere il cammino di tutti i giorni.
Adesso che abbiamo letto centinaia di articoli su Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, statunitense con cittadinanza anche peruviana, e sappiamo praticamente tutto di lui, agostiniano, missionario, e le centinaia di incarichi pastorali, le sue lauree, la sua cultura, le sue frequentazioni, le sue abitudini, gli sport amati, le preferenze culinarie, carbonara, pasta col pomodoro, l’anatra all’arancia, i ristoranti preferiti, vicino alla Santa Sede; adesso possiamo tornare al nostro cattolicesimo più semplice ed evangelico.
Adesso che abbiamo letto le interviste a vaticanisti, esperti di diritto canonico, le accurate e puntuali, profonde, lezioni sul diritto canonico del professore Daniele Trabucco, che, a un certo punto, mi hanno fatto venire il mal di testa e inchiodato alla mia ignoranza in materia (ovviamente esagero, senza sminuire l’acutezza delle riflessioni del professore); adesso che abbiamo assistito a dibattiti ed enunciazioni di teologi confusi mentali e di eresiarchi, di denigratori di papi e di antipapi (definiti tali da loro), e abbiamo visto all’opera i più pericolosi demoni infernali, possiamo fermarci e riflettere un po’, riprendendo nel contempo il nostro umile cammino di salvezza. E in questo cammino c’è un’intelligente quanto banale riflessione del filosofo Rocco Buttiglione intervistato da Bruno Volpe per Informazione Cattolica, giornale col quale forse indegnamente collaboro: Chi sono io per giudicare il Papa? Da cattolico il Pontefice si ama e basta, lo Spirito Santo non sbaglia. E comunque, soggiungo io, attendiamo un po’ prima di giudicare Leone XIV.
Bene, e allora per non finire l’articolo qui, ché sarebbe troppo corto, vi racconto una mia esperienza non propriamente bella vissuta durante la Santa Pasqua di quest’anno, Pasqua trascorsa con mia moglie da mio figlio, mia nuora e dai miei nipotini, una Pasqua pregna di significati, che mi ha fatto riflettere, in un paese dell’Oltrepò Pavese che non nomino perché non voglio che la mia testimonianza appaia come un atto d’accusa verso questa generosa e laboriosa comunità. Allora, noi ci lamentiamo spesso dell’invasione di musulmani, della loro arroganza, della loro prepotenza in fatti di religione, perché i musulmani vogliono talvolta imporre le loro credenze, la loro fede, a noi, alla nostra civiltà, al nostro modo di essere e di vivere il cattolicesimo.
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Però, devo dire, che noi spesso facciamo poco per contrastare questa invasione musulmana nella nostra civiltà. Insomma, per farla breve, io, ogni volta che vado al nord, ma anche al centro, del nostro Paese, trovo sempre più evidenti i segni della scristianizzazione dell’Europa di cui tanto si parla. In questo paese di circa seimila abitanti dove ho trascorso le festività pasquali – ma ho avuto la stessa sensazione anche a Siena e in altri posti del centro e del nord – non ho affatto avvertito il senso della festa cattolica più importante insieme con il Natale. Tranne la messa della domenica di Pasqua, niente ha fatto percepire che eravamo nella settimana della Santa Pasqua. In tutti gli altri giorni vi era un’atmosfera, non dico banale, ma semplice, come quella di tutti gli altri giorni. Nessun rito, nessuna manifestazione, nessuna rappresentazione: niente.
Al sud, e in Sicilia in particolare, è tutta un’altra cosa. Nel paese dove vivo, Palma di Montechiaro, una cittadina di ventiduemila abitanti, in provincia di Agrigento, è un’esplosione di riti e di manifestazioni – che peraltro attirano tanti turisti – che inondano l’aria, penetrano dentro le case, fanno rinascere i cuori. Rappresentazioni teatrali del Mortorio, messe dalla mattina alla sera, processioni – la più importante quella del Venerdì Santo in cui si accompagna Gesù alla Croce – con migliaia di persone in preghiera, con tutte le confraternite e le associazioni cattoliche del paese, accompagnate dalle musiche della meravigliosa banda del paese, penitenti, e tutte le strade piene di fiori, le finestre e i balconi con coperte, arazzi e tappeti esposti. E la straordinaria bellezza della gioventù che, come dice il nostro lirico più amato “Tutta vestita a festa/La gioventù del loco/Lascia le case, e per le vie si spande;/E mira ed è mirata, e in cor s’allegra”.
Poi, la Domenica di Pasqua, c’è il culmine della festa, c’è quello che in siciliano chiamano “u scontru”, cioè l’incontro tra la Madre di Dio e Cristo Risorto, che viene fatto in tre punti diversi del paese, con la partecipazione dell’intero paese, tranne gli invalidi e i malati allettati. Anche in quest’altra celebrazione, il Sindaco e tutte le autorità civili e religiose in prima fila, e turisti che filmano ogni cosa, che vengono qui anche da molto lontano per vivere questi straordinari riti di origine spagnola. La stessa cosa avviene, forse anche con più intensità di sentimento e di partecipazione, nei paesi vicini, Licata, Naro, Favara e in tanti altri. Di questi riti, di queste manifestazioni religiose, io ho parlato in un paio di miei romanzi e in qualche studio antropologico giovanile.
Certo, qualcuno obietterà che la religiosità non è questa, o non è solo questa. Ma, a parte il fatto che, come diceva Blaise Pascal, è l’abitudine che fa il cristiano, posso garantire – per avere vissuto più di settant’anni in questo paese – che non c’è ipocrisia, né ostentazione, in queste manifestazioni. C’è una sincera partecipazione che fortifica la fede, perché anche nei giorni diciamo normali le chiese sono sempre piene, le associazioni religiose sono attive, ci sono presentazioni di libri di carattere religioso con discussioni frequenti e vivaci. Qualche anno fa, io pubblicai un libro su una famosa mistica del mio paese (Suor Maria Crocifissa della Concezione, la Beata Corbera del Gattopardo), Isabella Tomasi di Lampedusa – La più grande dei Gattopardi, e l’amministrazione comunale si preoccupò di comprarne decine di copie e di diffondere il libro.
E i musulmani? I musulmani, che non sono pochi, e i credenti di altre religioni, vivono tranquillamente e in serenità la loro religiosità, hanno i loro luoghi di culto, non disturbano affatto, sono gruppi minoritari che non fanno molti proseliti, non creano problemi nelle scuole (a me, come docente nel liceo del paese, in decenni di attività famiglie musulmane o di Testimoni di Geova o di altre fedi non hanno creato nessun problema, né su crocifissi da togliere, né su messe e su tante altre cose).
Con queste umili note, che avrei potuto scrivere con parole più forbite e sintassi ciceroniane, ma ho voluto deliberatamente attenermi all’umiltà evangelica, non ho voluto fare polemica fra nord e sud, ho semplicemente voluto descrivere la religiosità di mondi diversi, e forse, chissà, fare capire che il rafforzamento della fede cattolica può avvenire anche attraverso la partecipazione alla liturgia e ai riti. E che in questo modo una religione può essere rispettata meglio. Un cattolicesimo vissuto in modo umile e semplice.
“In quel tempo Gesù disse: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. (Mt, 11,25). Già, perché “un cristianesimo ridotto a formule, principi logico-giuridici, munera, ministeria, distinzioni sottili in termini di disputationes leguleie e logico-filosofiche mi pare l’esatto contrario dell’insegnamento lasciatoci dal Maestro”. Così lessi un social, e così trasmetto.