15 Giugno 2025

La stampa italiana non informa ma plasma all’ideologia

di Daniele Trabucco

VERITÀ BANDITA: LA STAMPA COME “GNOSI SECOLARE”

Nella condizione presente della civiltà occidentale, buona parte dell’apparato informativo (non tutto) nella sua configurazione più visibile che è la stampa, appare sempre meno come veicolo di verità e sempre più come uno degli strumenti di una nuova gnosi secolare, che plasma le coscienze attraverso il dominio del discorso e, dunque, del pensabile.

Lungi dall’essere un’arena aperta alla libera emersione delle opinioni, essa si configura come un dispositivo di normazione simbolica, che produce ciò che può essere detto e insieme reprime ciò che deve essere escluso.

Siamo, in effetti, dinanzi alla manifestazione compiuta di quella che Platone avrebbe definito “doxa” senza “aletheia”, opinione svincolata dalla verità, e, pertanto, capace di generare non libertà, ma simulacro della libertà.

In una società fondata sull’idea di autodeterminazione assoluta del soggetto, la stampa non può che ridursi a funzione riflessa di tale principio, diventando un apparato ordinato non alla ricerca dell’essere, ma alla produzione del desiderabile secondo le logiche della massa indistinta.

Questo slittamento ontologico ha radici profonde: nasce con la modernità filosofica, quando la verità cessa di essere l’adeguazione dell’intelletto alla realtà (“adaequatio rei et intellectus”) e viene ridotta a costruzione consensuale, esito di una volontà collettiva che decide ciò che è reale in base a ciò che conviene.

Da Cartesio a Rousseau, da Kant a Hegel, si afferma progressivamente un primato della coscienza sulla realtà, dell’Io sul mondo, del pensiero sul dato.

In questo orizzonte, l’informazione non può più essere contemplazione ordinata del vero, bensí diventa strumento della volontà di potenza sotto forma di egemonia culturale. La stampa occidentale, in questo senso, non è semplicemente “intollerante” verso il pensiero divergente.

Essa non può che esserlo strutturalmente, in quanto parte integrante di un sistema epistemologico che non tollera la presenza del “principium alteritatis”, cioè del principio dell’altro come ciò che eccede e resiste all’egemonia della narrazione dominante.

Il pensiero divergente non è perseguitato in quanto tale, ma in quanto mina l’ordine simbolico su cui si fonda il potere culturale vigente: l’ordine che nega l’essere oggettivo, la natura, la finalità e, con esse, ogni fondamento non negoziabile del vivere comune.

In questo ordine, la verità diventa scandalo, poiché afferma un criterio che non si piega alla dialettica della convenienza, né al consenso dei molti.

La tolleranza proclamata dai grandi media, nella sua forma attuale, si rivela come una struttura paradossale: è una tolleranza che si nega a tutto ciò che richiama un ordine ontologico, un fondamento trascendente, una legge naturale che è accessibile alla ragione e non ricavabile per fede.

Come ha magistralmente messo in evidenza Cornelio Fabro (1911-1995), il cuore pulsante della modernità è il passaggio dalla metafisica dell’essere alla metafisica del nulla, cioè alla volontà assoluta del soggetto di determinare ogni significato.

In questa prospettiva, l’informazione non è più radicata nell’essere, ma diventa funzione del “ego cogito”, che si fa misura ultima di ciò che è.

E là dove l’essere è negato, la verità è sospetta, il dissenso è deviante e la stampa diventa strumento di un’ideologia che pretende di costruire il reale a partire dal desiderio o dall’opinione diffusa secondo un criterio quantitativo e non certamente veritativo.

A livello più profondo, ciò che viene rifiutato non è la tesi del pensiero divergente, quanto la sua stessa pretesa di accedere alla verità.

La verità, infatti, è ciò che oggi risulta più intollerabile: essa implica un vincolo, una misura, una realtà che precede il soggetto e lo giudica.

Tuttavia, in una civiltà costruita sull’autonomizzazione assoluta del soggetto e sul primato del desiderio, il vincolo è percepito come violenza e la verità come oppressione. Da qui gli epiteti “no vax”, “no pass”, “putiniano” etc.

La stampa, allora, si fa araldo di un nuovo dogma: non vi è verità, se non quella che consente l’autorealizzazione dell’individuo sradicato.

Di qui l’accanimento contro ogni voce che richiami un ordine oggettivo delle cose, una struttura razionale dell’essere, una “lex naturalis”.

Tutto questo segna anche la fine della libertà come categoria propriamente umana. Se la libertà non è più relazione all’essere, bensí mera affermazione della soggettività, allora l’informazione non ha più il compito di orientare l’uomo verso il vero, ma solo di amplificare il rumore del desiderio e di ció che é diffuso nella societá. Il giornalismo, in questa chiave, non è più “ministerium veritatis”: si riduce a “praecones voluntatis”.

In questa prospettiva, la stampa non informa, ma forma nel senso tecnico del termine: plasma, modella, educa all’adesione emotiva più che alla riflessione razionale.

La verità, in questa dinamica, non può, allora, che apparire come scandalo o follia. Eppure, è questa “pazzia” la via per ricomprendere “l’irruzione dell’essere”, del reale, di ció che é e non e possibile e pensabile sia altro da sè.

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