–
ALASDAIR MACINTYRE E IL RITORNO DELLA VIRTÙ NELLA FILOSOFIA MORALE CONTEMPORANEA
In un tempo segnato dal relativismo etico, dall’individualismo esasperato e dalla perdita di fiducia nelle grandi narrazioni morali, la figura di Alasdair MacIntyre (morto lo scorso 21 maggio 2025 all’età di 96 anni) si staglia come una delle più luminose e incisive del pensiero filosofico contemporaneo.
Autore prolifico, pensatore rigoroso, uomo di profonda coscienza storica e morale, MacIntyre ha compiuto una vera e propria rivoluzione silenziosa nel panorama della filosofia morale del XX e XXI secolo, riconsegnando dignità e forza alla tradizione aristotelico-tomista in un contesto che sembrava ormai ostile a ogni pretesa di verità oggettiva e bene comune.
Alasdair MacIntyre è, a tutti gli effetti, uno dei più grandi filosofi morali del nostro tempo. Il suo contributo va ben oltre la filosofia accademica: tocca le fibre più profonde della cultura, della vita civile, dell’educazione e della fede. In un mondo alla ricerca di senso, la sua opera rappresenta un faro che guida con fermezza e umiltà verso una rinnovata antropologia, fondata sulla verità della natura umana e sul primato della virtù. Rileggere MacIntyre oggi non significa soltanto studiare un autore importante: significa confrontarsi con le grandi domande della vita morale, significa rimettere in discussione i presupposti spesso inconsci della nostra epoca e, soprattutto, significa riscoprire la bellezza e la forza di una vita ordinata alla verità, al bene e al fine ultimo dell’uomo. E in questo, MacIntyre è non solo un maestro, ma anche un profeta del nostro tempo.
Nato a Glasgow nel 1929, MacIntyre ha attraversato, nel corso della sua lunga vita intellettuale, molteplici fasi e approcci, passando dall’analisi marxista a un rinnovato tomismo, in un itinerario che testimonia non solo una rara onestà intellettuale, ma anche una sete instancabile di verità. La sua celebre opera “After Virtue” (1981) segna un punto di svolta nella filosofia morale del nostro tempo: in essa, MacIntyre individua nella dissoluzione della razionalità morale moderna e nell’abbandono della teleologia aristotelica le radici della confusione etica contemporanea.
Il libro si apre con una riflessione profetica: se, come in uno scenario apocalittico, il linguaggio morale fosse andato in frantumi, sopravviverebbero solo i frammenti di un’antica struttura etica, privi di coerenza e fondamento. È precisamente questo, sostiene MacIntyre, il nostro tempo: un’epoca in cui si dibatte incessantemente su valori e diritti, ma si è dimenticato l’orizzonte teleologico che può dare senso a tali nozioni. Il recupero delle virtù classiche, radicate in una comunità storica e in una narrazione condivisa, diventa per MacIntyre la via per uscire dal nichilismo morale.
Ciò che rende MacIntyre straordinariamente attuale è la sua capacità di fondere rigore teorico e spirito critico con una proposta costruttiva che osa guardare al passato senza nostalgia, ma con lucidità. Per lui, la tradizione non è un cumulo di detriti da superare, bensì un “processo di disputa razionale e di trasmissione di significato”, in cui la verità si cerca attraverso il dialogo e il radicamento storico.
In tal senso, il suo ritorno a Tommaso d’Aquino non è un gesto puramente accademico, ma una scelta profondamente filosofica e antropologica. Tommaso, infatti, rappresenta per MacIntyre il vertice di una tradizione in cui la razionalità pratica è intrinsecamente ordinata al fine ultimo dell’essere umano, che è la beatitudine, la contemplazione di Dio. In un mondo che ha separato la razionalità dalla vita buona, MacIntyre invita a riconnettere l’intelletto e la virtù, la conoscenza e la prassi, la verità e l’amore.
Uno degli aspetti più fecondi del pensiero macintyriano è l’insistenza sul ruolo della comunità nella formazione morale dell’individuo. In contrasto con l’individualismo moderno, egli afferma che le virtù non possono esistere se non all’interno di pratiche condivise e comunità vive, dove la tradizione può essere trasmessa e interrogata. In questa prospettiva, la famiglia, la scuola, l’università, ma anche le comunità religiose e civili, assumono un ruolo fondamentale nella crescita morale della persona.
Questa visione relazionale della moralità ha avuto un profondo impatto in molti ambiti: dalla filosofia politica all’educazione, dall’etica medica alla teologia. MacIntyre ha contribuito in modo decisivo a rimettere al centro del dibattito il concetto di bene comune, inteso non come somma di interessi individuali, ma come quel fine che può essere perseguito solo insieme e che rende veramente umana la vita sociale.
Il pensiero di MacIntyre è tutto meno che un esercizio accademico o una riproposizione antiquaria. Al contrario, egli lancia una sfida radicale alla modernità: o si recupera il senso della vita buona, radicato in una narrazione teleologica e comunitaria, oppure si scivola verso un’etica puramente procedurale, incapace di distinguere il giusto dall’ingiusto, il virtuoso dal vizioso, il bene dal male.
In una società sempre più frammentata, dove le istituzioni educative e politiche sembrano spesso incapaci di offrire orientamenti chiari, l’invito-testamento di MacIntyre a riscoprire le virtù come cardini dell’esistenza personale e sociale appare di un’attualità bruciante. Il suo pensiero, tuttavia, non è solo un grido di allarme: è anche una speranza, una proposta, un cammino. Ci chiama a formare nuovi “Benedetti”, come scrive nella suggestiva chiusa di “After Virtue”, uomini e donne capaci di custodire e rinnovare la tradizione in tempi di decadenza.