di Francesco Bellanti
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¡ARRIBA ESPAÑA!
Dal catafalco che Cordova eresse in onore della regina Donna Margherita
Non di fino diamante o di rubino ardente,
l’uno che brilla l’altro che scintilla,
crespo volume vide in belle piume
nascer la gala più vistosamente,
quanto assai dolente tu oscuri il volo
della perla cattolica che chiudi
innalzata al bacio delle stelle,
malinconica guglia ma lucente.
Pompa sei di dolor, segno non vano
di nostra vanità. La dica il vento
che già d’aromi, già di luci tanto
fumo ti deve. Ahi, ambizione umana,
cauto pavone che con cento occhi
oggi distilli il pianto e il disinganno!
1611
Ho sempre amato la Spagna, prima ancora di averla conosciuta. L’ho amata perché in Sicilia ho vissuto e vivo una religiosità spagnola, un cattolicesimo appariscente ma vero, barocco ma sincero, gesuitico, francescano, eremitico.
L’ho amata nei suoi pittori, nei suoi scrittori, nei suoi poeti, come il poeta andaluso Luis de Góngora y Argote (Cordova, 11 luglio 1561 – Cordova, 23 maggio 1627), il più grande poeta spagnolo di tutti i tempi, uno dei più straordinari poeti d’Europa.
Góngora, religioso cattolico originale – ma diventò cappellano d’onore di Filippo III – e non facilmente inquadrabile, fu autore di opere altissime come i Sonetti funebri e Le solitudini, e fu anche drammaturgo, il più grande poeta spagnolo del Secolo d’oro (Siglo de Oro), oltre che il massimo esponente del gongorismo, che sarà imitato e studiato nei secoli successivi.
I Sonetti funebri di Góngora, per la forma sorvegliata e perfetta, per la suggestione delle metafore e il linguaggio colto, e per l’oscurità vertiginosa di una poesia immensa, rappresentano la perfezione del più sontuoso barocco.
Poesia sonora e piena di metafore, di sintassi ardite, di latinismi e di profondità oscure ma rivelatrici, di svolazzi, giochi e iperbole, di forme e ritmi nuovi e temi tradizionali, di pura musica, di sfumature sensoriali che emanano colore, suoni, vertiginose sinestesie racchiuse nella perfezione della canzone o del sonetto.
Nelle sue poesie, il poeta parla della brevità della vita terrena e dell’apparenza ingannevole delle cose, poeta che invita i giovani e le belle donne ad approfittare della vita finché la giovinezza lo consente e la morte non impedisca tutto. Il tono naturalmente barocco della sua arte non esclude mai il pessimismo rinascimentale che riguarda il passare del tempo e l’arrivo inevitabile della morte.
Uomo complesso come tutta la sua opera, artista sublime, praticamente inedito in vita (i suoi manoscritti cominciarono a circolare solo dopo la sua morte), inviso ai suoi superiori per le sue strane abitudini -assisteva alle corride, scriveva poesie (sic!), parlava durante le cerimonie – e fors’anche per la sua cultura eccelsa (studiò matematica, grammatica, filosofia, latino, greco, musica giurisprudenza anche se non si laureò mai, praticò scherma), Góngora è poeta che affascina e stupisce, anche chi, come me, non amò mai il superficiale barocco letterario italiano (barocco italiano che, invece, nelle altre arti, diede risultati di eccezionale bellezza).
Ho sempre amato la Spagna, ancor più dopo che l’ho conosciuta. La Spagna è uno dei Paesi che amo di più, per i suoi scrittori, i suoi pittori, la sua cultura, la sua storia, e infatti la Spagna è il Paese che ho visitato di più, ben cinque volte.
Amo la Spagna perché la mia Sicilia è un’estensione della Spagna, per ragioni storiche, coloniali, di costume e di tradizioni. Anche i miei umili libri sono pieni di Spagna. Ho amato sempre la Spagna perché, l’ho capito dopo, in realtà io cercavo la mia anima, che già era dentro di me. Buscar el levante por el poniente, pare dicesse Cristoforo Colombo, ma in realtà el levante ce l’aveva già dentro.
Dice il filosofo Seneca – che era uno di queste parti, romano di Cordova – che nessun luogo ci libererà dei problemi che abbiamo dentro, e che il primo viaggio che si deve fare è quello nei dintorni della nostra anima. Forse è anche per questo che la prima cosa che cerchiamo in un viaggio è qualcosa che dia un senso ai nostri sogni e al nostro passaggio planetario, qualcosa che faccia parte della nostra anima. Io questo senso l’ho trovato nella Spagna. Conobbi questa terra la prima volta con una scolaresca di Licata nel lontano 1997, e fu subito amore, ci ritornai, infatti, altre quattro volte. Dico Spagna ma dovrei dire Andalusia, perché sono stato ben tre volte in questa grande regione meridionale della Spagna, perché Barcellona e Palma di Maiorca, che ho visitato in altri viaggi, sono “altro”.
L’Andalusia per la Spagna è come la Sicilia per l’Italia, terra esotica e strana, misteriosa, io la ricordo e la vivo ancora come in un incanto nei miei sogni, con i suoi uliveti sterminati, le vigne, i colori, il profumo, il mare, le spiagge, le chiese barocche e le cattedrali gotiche, il sole, l’arte, la cultura. Le processioni e le manifestazioni religiose teatrali, appariscenti, come quelle che si vivono nella mia Sicilia. Terra estrema mi apparve l’Andalusia, con le sue meravigliose città, le sue grandi distese e le sue solitudini costellate di piccoli villaggi bianchi e tremolanti come in un miraggio lontano. Tra le città più belle che ho conosciuto sono Malaga con il bellissimo porto e l’Alcazaba, la Cattedrale, il Museo Picasso, poi Granada con la straordinaria Alhambra e la Cattedrale con le tombe di Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia, Giovanna la Pazza, Filippo il Bello, e Siviglia la capitale dell’Andalusia con la Giralda e la Cattedrale, la più grande di Spagna, con il Mausoleo di Cristoforo Colombo, e l’Alcàzar arabo meraviglioso, la Torre dell’Oro e il Quartiere di Santa Cruz, il centro bellissimo.
Cordova che fu capitale di Al-Andalus, della Spagna islamica, mi apparve sprofondata nella notte dei tempi con una delle meraviglie del mondo, la Mezquita, con le sue 856 colonne – furono un tempo 1293 – che avvolgono la Cattedrale dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima, museo vivente d’incroci e di scontri fra i popoli, e la Madinat al-Zahra’, l’Alcazar dei Re Cattolici, patrimoni Unesco, Cordova con i suoi filosofi e scienziati, Averroè, Seneca – grandissimo filosofo e scrittore che qui nacque da famiglia romana nel 5 a.C. – presente in ogni via e in ogni pittoresco cortile, in ogni albergo della città.
E poi Jerez, e Ronda, con la sua leggendaria Plaza de Toros e il ponte di pietra, città misteriosa e alta, come misteriosa è la Spagna andalusa, araba e musulmana, la Cattolicissima Spagna di re e imperatori con la sua immensa storia, con mille posti romani, barbari, musulmani, cattolici. E poi il cibo, la sangria, la paella, il buon pesce, la carne. La Spagna della grande letteratura, di Gòngora ho detto, e Cervantes, García Lorca, de Quevedo, Machado, Jiménez, Lope de Vega, i pittori, Goya, Velàzquez, El Greco, Picasso, la Spagna del flamenco e dell’allegria, dei pranzi alle quattro del pomeriggio, e la sonora e bellissima lingua che parli in siciliano e già ti capiscono, e quasi ti senti a casa, e la vita notturna, la noche spagnola e la grande ospitalità, e i musei, l’arte, le tradizioni, la corrida. Il cinema, il calcio.
In poche parole, la Spagna è uno di quei pochi Paesi dove ognuno può trovare ciò che cerca. Il siciliano ama la Spagna perché la Sicilia è l’ultima sua creatura, perché è pigra e sonnolenta, melodrammatica e romantica, patria di mille culture, perché è energica e godereccia, perché è felice dei suoi stessi errori. Il siciliano che va in Spagna, soprattutto in Andalusia, esce e conosce rimanendo a casa, perché si accorge subito di quanta cultura, lingua, modi di essere nel mondo deve ai difetti e agli errori, ma anche alla grande civiltà di Spagna. Che se ti siedi a contemplare al tramonto, dopo una festa popolare, davanti a una Chiesa e a una via piena di fiori, ti senti in Sicilia ma respiri un’aria universale, e ti rimbombano nella testa echi di viceré e di califfi, di legioni romane e di cavalieri arabi o crociati, di mistici, santi e conquistadores, sicché ti viene ancora in mente di pensare e di dire quel che disse Cristoforo Colombo quando partì il 3 agosto 1492 da Palos de la Frontera per le Indie, “buscar el levante por el poniente”. Perché ogni viaggio è, in fondo, un viaggio alla ricerca delle proprie origini, è il viaggio nella storia e nel tempo, nella solitudine e nel silenzio, il viaggio dell’amore e della follia, il viaggio dell’angoscia e della giovinezza, il viaggio della vita e della morte. Il viaggio delle estreme lontananze e della solitudine, il viaggio possente della mente. Il viaggio per capire il senso della nostra vita e del nostro passaggio sulla Terra.