di Matteo Castagna
–
IL VATICANO E GLI USA
Eletto perché la Chiesa si riconcili con Washington, Prevost è chiamato a inibire le tendenze costantiniane di Trump.
In questa analisi politica sul nuovo eletto vorremmo ripercorrere alcuni fatti e porre all’attenzione del lettore delle riflessioni. La mattina del Lunedì dell’Angelo si è aperto un fronte cruciale per la legittimazione domestica e internazionale dell’America trumpiana. La morte di Bergoglio ha schiuso nuovi scenari, proprio mentre l’amministrazione trumpiana stava concentrando gli sforzi su Pechino, Mosca e Teheran.
Eppure la sua dipartita rappresenta un’opportunità per provare a recuperare un rapporto logorato nell’ultimo decennio. Uno scadimento che non si limita alle relazioni istituzionali, ma che interessa anche il vincolo tra i credenti americani e chi siede sul Soglio che fu di San Pietro.
Di qui, risulta particolarmente interessante lo scritto di L.M. Ricci sulla rivista Domino (5/2025): Pensiamo che all’inizio Bergoglio era stato salutato come preludio di una nuova era all’insegna della collaborazione tra Washington e Santa Sede. La dimostrazione stava nel fatto che il voto degli statunitensi fu unanime nel sostenere l’argentino.
C’erano evidenti affinità di vedute fra l’ex arcivescovo di Buenos Aires e Barack Obama, all’epoca inquilino della Casa Bianca. Una concordia puramente personale, che trascurava le caratteristiche strutturali di due imperi culturalmente e storicamente agli antipodi.
“Da un lato, la Chiesa ufficiale di Roma, istituzione bimillenaria caratterizzata da una missione universale, con oltre 1,4 miliardi di fedeli. Dall’altro, gli Stati Uniti d’America, una collettività forgiata dal ripudio della società europea del XVII/XVIII secolo, convinta di redimere il mondo tramite ideali di ispirazione calvinista. In breve, due soggetti geopolitici intrinsecamente antagonisti” – osserva con acume Domino.
Solo l’espansione del marxismo poteva riuscire nell’impresa di avvicinare questi due attori globali. Nel secondo dopoguerra, le tensioni con l’Unione Sovietica favorirono una convergenza tattica tra la superpotenza e il Vaticano, con quest’ultimo nel ruolo di socio di minoranza.
Funzione ancillare che vide due massimi interpreti in Wojtyla e Ratzinger, non propriamente lieti della diffusione di correnti cristiano-marxiste (leggasi teologia della liberazione) in America Latina, per quanto tra alti e bassi, nella ricerca diplomatica di togliere dai piedi il principio di non contraddizione in funzione dell’unità nella diversità, a scapito dell’unità nella Verità, e la presa di distanze dalle degenerazioni di impatto dirompente.
Dopo la fine della guerra fredda, prima il polacco e poi il tedesco ebbero modo di attaccare e conciliare i costumi post-storici dell’Occidente. L.M. Ricci considera questo comportamento una “piccola anteprima del papato di Jorge Mario Bergoglio”.
Già nel 2015, il discorso del vescovo di Roma presso il Campidoglio d’oltreoceano doveva essere un indizio della svolta in fieri. Nonostante gli elogi di circostanza, Bergoglio non esitò a criticare il canone culturale della Quarta Roma, innanzi agli estasiati legislatori, incapaci di comprendere la portata dell’intervento. Era solo l’inizio. La prima vittoria elettorale di Trump costrinse il gesuita a confrontarsi con la rabbia e il massimalismo dell’America profonda. Sentimenti inconciliabili con la sua visione, in cui la misericordia ed il perdono avrebbero potuto prevalere sulla giustizia,
Di qui iniziò la dura battaglia lanciata dal Vaticano dell’ argentino contro la linea adottata dall’amministrazione Trump. Nel 2016 arrivò a definire il newyorkese «non cristiano» per il progetto di costruire un enorme muro lungo la frontiera con il Messico. “Mossa dettata dalla necessità di affermarsi come protettore delle masse latinoamericane, insidiate dalle sette evangeliche di provenienza statunitense” – scrive la rivista Domino.
Nello stesso periodo, Bergoglio ha chiuso in archivio la narrazione filoccidentale che aveva caratterizzato la Chiesa di Roma negli anni precedenti. Così si spiega l’apertura a Pechino, principale rivale degli Stati Uniti. Fu una manovra concepita per distendere le relazioni con la Repubblica Popolare, che venne premiata dall’accordo sulla nomina dei vescovi siglato con il regime comunista nel 2018, poi rinnovato fino al 2028, nonostante le molteplici violazioni, le persecuzioni, le ostilità commesse dal Dragone, cui quel Vaticano scelse di non rispondere.
Non meno sorprendente, fu la posizione assunta da Bergoglio in relazione al conflitto russo-ucraino. Pur condannando l’aggressione moscovita, il J.M. Bergoglio, si interrogava pubblicamente se «l’abbaiare della Nato alla porta della Russia» avesse provocato o facilitato una reazione così brutale. Si trattò di scelte controverse, con l’obiettivo di aprirsi al cosiddetto Mondo Contro (africani e asiatici in testa) per cercare nuovi fedeli, a fronte di un occidente secolarizzato, sostanzialmente ateo, che non dona più da decenni vocazioni religiose e ha svuotato le chiese.
Le piccate risposte del primo mandato di The Donald sono giunte in fretta. Nel 2020 Mike Pompeo, al tempo Segretario di Stato, disapprovò in un articolo l’operato della sua Chiesa per l’imminente rinnovo dell’accordo con la Cina. Un precedente che non fu dimenticato oltretevere, con Francesco che rifiutò di incontrare l’italo americano durante un suo viaggio a Roma.
“Il clivage tra Santa Sede e America non ha fatto che crescere anche con l’elezione del secondo presidente, a suo dire, cattolico del paese. La buona intesa tra Joe Biden e Jorge Mario Bergoglio non ha assicurato un ritorno all’idillio dei tempi di Wojtyła e Ratzinger. Sul finire del mandato bideniano, il porteño affermava, senza remore, che: «nel pensare alla Chiesa siamo ancora troppo eurocentrici, o, come si dice, ‘occidentali’. In realtà, la Chiesa è molto più grande di Roma, d’Europa, è molto più grande, e anche, mi permetto di dire, molto più viva»”- suggerisce Domino nell’approfondimento del mese di maggio 2025.
Di più, nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del novembre 2024, Bergoglio ha criticato entrambi i candidati per le loro posizioni «contro la vita»: uno per l’adesione all’aborto, l’altro per il trattamento degli immigrati irregolari.
Di fronte alle espulsioni di massa, perseguite dall’amministrazione Trump, Bergoglio ha denunciato il trattamento riservato agli immigrati e le motivazioni teologiche impiegate dal vicepresidente per giustificarlo. Le critiche bergogliane avevano, altresì, intenti dal profondo significato geopolitico, visto che più di un terzo dell’esecutivo si definisce cattolico, incluso J. D. Vance, ultimo rappresentante di un governo straniero a vedere in vita Bergoglio.
I moniti di Bergoglio non minarono in alcun modo le convinzioni degli alti funzionari governativi. “Il cattolico Tom Homan, direttore dell’agenzie delle Dogane, deputato alla sicurezza del confine nazionale, ha esortato il Bergoglio a occuparsi solo dei problemi della Chiesa, lasciando a loro la gestione della frontiera. Attivò un’ostilità nei confronti della linea progressista vaticana, che non si limitò ai vertici dello Stato, ma che crebbe in maniera esponenziale fra moltissimi fedeli cattolici d’Oltreoceano, che non vedevano in questo ostinato buonismo la vera carità evangelica.
Il conservatorismo del clero e dei credenti è una tendenza ormai consolidata in seno alla comunità cattolica americana. Si trattava di un segmento della popolazione un tempo ai margini della società americana, rinvigorita dall’opposizione alle posizioni progressiste degli ultimi dodici anni, che covavano già da decenni negli animi dei tradizionalisti statunitensi, sia consacrati che laici.
“Tuttavia, il contributo civilizzatore dell’impero iberico è stato volutamente trascurato dalla pedagogia nazionale, incentrata sulla storia delle colonie della monarchia britannica. Queste ultime erano abitate in maggioranza da ferventi puritani, in fuga dalle persecuzioni del Vecchio Continente” – scrive in una corretta e breve analisi storica, Domino.
L’idea statunitense è imperniata sulla certezza di rappresentare una società moralmente superiore al mondo europeo, corrotto dall’ immoralità di tanti esponenti della Curia e delle diocesi. La parabola del Maryland, unica colonia originariamente cattolica, offre un perfetto esempio dell’ indipendenza da Roma dei primi coloni. Malgrado la tolleranza religiosa vigente nel possedimento inglese, le violente rivolte dei calvinisti finirono per trasformare il cattolicesimo in una confessione minoritaria e perseguitata.
“Non stupisce che al momento della dichiarazione di indipendenza (1776) solo l’1% della popolazione si dichiarasse fedele al Papa. La componente cattolica crebbe leggermente con l’espansione verso ovest. Grazie all’acquisto di Louisiana e Florida (rispettivamente 1803 e 1819), nonché alla vittoria nella guerra messicano-statunitense (1846-1848), Washington entrò in possesso di regioni abitate da comunità francofone e ispanofone di credo cattolico. In particolare, furono i mexicoestadounidenses dell’attuale Sud-ovest a soffrire le vessazioni degli anglosassoni, che non esitarono a privarli delle loro proprietà e a distruggerne i luoghi di culto.
Altrettanto ostile fu l’accoglienza riservata ai milioni di immigrati europei che raggiunsero il Nord America a partire dalla metà del XIX secolo. Irlandesi e tedeschi fecero da apripista, anticipando italiani, polacchi e altri europei centrorientali. Una marea cattolica che scatenò la reazione xenofoba della maggioranza protestante. Già intorno al 1850, l’innato sentimento anticattolico degli statunitensi diede vita al movimento nativista, raccogliendo un notevole sostegno nel New England”.
Intolleranza che non si limitò all’arena politica, sfociando spesso in atti persecutori ai danni degli immigrati cattolici. A destare sospetti era anche l’influenza esercitata dalla Chiesa tramite i suoi istituti educativi, visti come quinte colonne capaci di sovvertire il puritanesimo della «città sulla collina».
Tale percezione collettiva rimase prevalente almeno fino alla prima metà del XX secolo. Il nativismo conobbe nuova linfa vitale tra il primo dopoguerra e la grande depressione, complice l’ingresso in massa di esuli messicani dal confine meridionale. A beneficiare della situazione fu il Ku Klux Klan, che si erse ad alfiere del movimento anticattolico. L’organizzazione era stata ricostituita nel 1915 per divenire un riferimento per l’intero territorio nazionale. Una diffusa avversione che giocò un ruolo fondamentale alle presidenziali del 1928. Il primo candidato cattolico della storia, Al Smith, subì una dura sconfitta anche a causa della propaganda nativista, che lo presentò come un agente “papista”.
L’atteggiamento di Washington verso il cattolicesimo mutò solo per il crescente peso demografico dei credenti e la loro graduale assimilazione, accelerata dal reclutamento per le due guerre mondiali.
Elementi non più aggirabili se si pensa che, nel secondo dopoguerra, il 25% dei cittadini statunitensi si identificava con la Chiesa di Roma. A vantaggio dei fedeli subentrò anche la narrazione anticomunista adottata per la rivalità con l’Unione Sovietica. Congiuntura che favorì l’allineamento con la Santa Sede e l’esaltazione delle comuni radici cristiane.
Eppure il pregiudizio anticattolico rimase fortemente radicato nella maggioranza protestante.È emblematico, su tale questione, l’intervento di John F. Kennedy dinanzi all’Associazione dei pastori luterani di Houston, nel settembre 1960. Consapevole dell’opinione maggioritaria tra i presenti, il candidato cattolico affrontò il tema di sua iniziativa, sottolineando che da presidente mai sarebbe stato influenzato da pressioni esterne di natura religiosa. La successiva vittoria del senatore di origine irlandese segnò un passaggio epocale, sancendo la sintesi di un processo storico. Di fatto, almeno a livello sociale, si creò la conciliazione del credo cattolico con i rigidi dettami della religione civile americana di stampo calvinista.
Un’apertura ai valori della società statunitense che, negli ultimi sessant’anni, ha portato la maggioranza dei cattolici ad avere un approccio più distaccato rispetto ai tradizionali precetti religiosi. “Al punto che – testimonia sempre Domino – i protestanti anglotedeschi non percepiscono più una netta distinzione tra la loro fede e il credo dei “papisti” “.
Unica eccezione è costituita dai mexicoestadounidenses, portatori di un cattolicesimo profondamente identitario, d’ispirazione tradizionale e attento ai 10 Comandamenti ed ai precetti della Chiesa. Si tratta di caratteristiche difficilmente amalgamabili con il canone dominante degli Stati Uniti. Perciò, questa è una minoranza invisa alle agenzie washingtoniane, tanto quanto esse lo sono per questi coraggiosi refrattari.
“Ad ogni modo, la convergenza tra la maggioranza protestante e i cattolici di origine europea ha agevolato la genesi di un fenomeno inatteso. La frangia più conservatrice della comunità cattolica si è fatta capofila del nazionalismo cristiano, tradizionalmente circoscritto al mondo protestante” – testimonia Domino. Così si spiega la grande attenzione di molte famiglie ai principi fondamentali ed al valore della bioetica.
Sebbene minoritario, tale gruppo è molto influente sia a livello istituzionale che all’interno dell’ufficiale gerarchia ecclesiastica. Ne è una testimonianza non solo l’attuale esecutivo, ma anche la composizione della Corte Suprema, dove cinque dei nove giudici si dichiarano cattolici e conservatori.
Stando agli ultimi sondaggi, più dell’80% dei sacerdoti ordinati dal 2020 si definisce tradizionalista. Una netta differenza rispetto al clero delle generazioni precedenti, generalmente liberale.
Malgrado la censura di Roma, l’ultra conservatorismo cattolico riscuote successo tra le giovani generazioni statunitensi. Un numero crescente e influente di fedeli ha individuato nella tradizione romano-cattolica il pilastro della cultura occidentale, messa in discussione dal secolarismo. Tale narrazione è stata abilmente intercettata dall’agenda del Make America Great Again.
Trump non vuole rinunciare al ruolo di guida dell’Occidente. Per questo vorrebbe un nuovo Vaticano allineato con l’America del Maga, presentandosi ai tradizionalisti cattolici come novello Costantino.
Perché la Chiesa ufficiale di Roma deve mantenersi diplomatica con Washington? Per non causare l’ulteriore indebolimento del vincolo con i credenti nordamericani, lasciandoli ad una gerarchia ecclesiastica molto vicina a Trump. Si potrebbe intravvedere in questo una premessa scismatica che vedrebbe Roma subire un netto ridimensionamento nell’emisfero occidentale, alla luce della concomitante offensiva protestante in America Latina. È qui che entra in gioco Robert Francis Prevost.
Prevost ha svolto gran parte della sua missione pastorale in Perù, un fronte caldo della guerra spirituale tra Stati Uniti e Santa Sede.
Come altri paesi dell’America Latina, lo Stato andino ha assistito a una crescita esponenziale delle denominazioni evangeliche, foraggiate direttamente da Washington. Secondo l’Instituto de Estudios Peruanos, il 22% della popolazione si dichiara di confessione protestante, quando nel 2000 gli evangelici si fermavano al 7,6%. Un dato allarmante che il Vaticano dimostra di non voler ignorare, mettendo le Americhe nuovamente al centro della sua azione.
Stando ai tweet pubblicati su un profilo X riconducibile a Prevost, egli ha sempre manifestato il proprio disappunto per le politiche condotte dall’amministrazione Trump.
Paradossalmente, o forse no, a guidare il Vaticano sarà proprio un figlio dell’Illinois, parte di quel Midwest che in cinquant’anni di delocalizzazioni ha smesso di credere nell’American way of life. Una mossa dal grande significato geopolitico per riconquistare il cuore della comunità cattolica nordamericana, riducendo l’influenza degli ultraconservatori.