16 Giugno 2025

Leone XIII, la profezia e la sottomissione culturale di alcuni commentatori cattolici

di Vincenzo Silvestrelli

LA RINNOVATA ATTENZIONE ALL’OPERA DI LEONE XIII

La rinnovata attenzione all’opera di Leone XIII, nata dalla assunzione del nome da parte del nuovo Papa e alla esplicita e richiamata continuità, induce ad alcune riflessioni.

La nuova attualità data a Leone XIII dalla assunzione, non casuale, del nome da parte del nuovo Papa, porta, come conseguenza all’approfondimento del magistero di Gioacchino Pecci, sapendo che esso sarà di ispirazione al nuovo Papa.

La dottrina sociale cristiana fu affrontata e raccolta nel magistero pontificio a partire dall’enciclica “Rerum novarum” del 15 maggio 1891, che invitava all’azione i cattolici e che criticava alcune realtà che si stavano sviluppando per affrontare i problemi nati dallo sviluppo industriale di quegli anni.

Parlando del socialismo ad esempio l’enciclica affermava: «Ed oltre l’ingiustizia, troppo chiaro appare quale confusione e scompiglio ne seguirebbe in tutti gli ordini della cittadinanza, e quale dura e odiosa schiavitù nei cittadini. Si aprirebbe la via agli asti, alle recriminazioni, alle discordie: le fonti stesse della ricchezza, inaridirebbero, tolto ogni stimolo all’ingegno e all’industria individuale: e la sognata uguaglianza non sarebbe di fatto che una condizione universale di abiezione e di miseria. Tutte queste ragioni danno diritto a concludere che la comunanza dei beni proposta dal socialismo va del tutto rigettata, perché nuoce a quei medesimi a cui si deve recar soccorso, offende i diritti naturali di ciascuno, altera gli uffici dello Stato e turba la pace comune. Resti fermo adunque, che nell’opera di migliorare le sorti delle classi operaie, deve porsi come fondamento inconcusso il diritto di proprietà privata. Presupposto ciò, esporremo donde si abbia a trarre il rimedio. »

Possiamo oggi dire che il Papa nel 1891 aveva già anticipato, sulla base della conoscenza del cuore dell’uomo che nasceva dalla dottrina cristiana, il fallimento del marxismo reale.

Pensiamo quante tragedie sarebbero state risparmiate se questo insegnamento fosse stato meditato e ascoltato con attenzione dai cattolici e da tutti gli uomini di buona volontà!

In un convegno tenutosi a Perugia nel 1991 sul tema della Rerum Novarum (Vangelo e società – Atti del convegno di studi per il centenario della Rerum Novarum – Perugia 27-28 aprile 1991- a Cura di Maria Lupi e Luciano Tosi), si trova un capitolo che indica quelli che furono, a giudizio dei curatori, i limiti dell’enciclica.

Essi furono principalmente indicati in quel convegno in questi punti:

– La relativa debolezza delle soluzioni proposte dall’enciclica. Secondo i commentatori gli schemi corporativistici indicati dal Papa sarebbero inadeguati perché la conflittualità sociale era un dato strutturale. È evidente in questa valutazione una sottomissione al concetto marxista di lotta di classe come motore della economia e della società. Storicamente   però vediamo come modelli conciliativi siano stati coronati dal successo. Oggi in Italia la legge sulla partecipazione, proposta dalla CISL, è stata accolta.

– Mancata attenzione ai benefici della economia di mercato. Secondo questi critici di Leone XIII, l’economia di mercato è un valore in sé perché migliora l’efficienza della produzione. Anche in questo caso si tratta di una sottomissione al liberalismo che assolutizza il mercato, senza valutare che esso nasce dalle norme e non dalla “natura”. Certamente l’economia è cambiata ed è evidente che, per orientare questa scienza sociale a realizzare la “pubblica felicità”, è necessario, oggi come ieri, un quadro normativo che lo consenta.

– Condanna senza appello del socialismo. Il movimento socialista è imploso. Rimangono valide alcune analisi di Marx ma la creazione di una ideologia-religione come quella marxista, è stata molto negativa anche se, almeno per alcuni, motivata da esigenze legittime di riscatto delle classi sociali più povere.

La sapienza sull’uomo che nasce dalla Rivelazione ci riporta a S. Anselmo d’Aosta e alla filosofia medievale «Fides quaerens intellectum (la fede che ricerca l’intelletto)». È una variante della affermazione agostiniana «Credo ut intelligam (credo per capire)». Nella Tradizione cattolica è sempre stato chiaro che l’apertura a Dio aiuta la ragione a capire meglio la realtà che da Dio deriva.

L’insegnamento dei Papi parte dunque dalla conoscenza dell’uomo alla luce della Rivelazione e, per questo, assicura luci che le scienze umane non possono dare perché non hanno la stessa solida base di appoggio.

Questa sapienza cristiana, e anche umana, è un patrimonio da difendere perché permette di avere orientamento sicuro anche nelle scienze sociali. Naturalmente essa va verificata nella realtà come è nella tradizione della filosofia tomista, anche essa promossa da Leone XIII.  In questo senso la dottrina sociale della Chiesa si è evoluta negli anni tendendo sempre presenti le mutate circostanze, ma partendo dai valori “non negoziabili” che riguardano l’uomo. È in certo senso la garanzia per una “egemonia culturale” cristiana rivolta al bene dell’uomo e della società che spesso non ha trovato, negli stessi pensatori cristiani, una adeguata valorizzazione.

In un articolo Marcello Veneziani traccia la storia del concetto di egemonia culturale, elaborato da Gramsci, ma già applicato da Gentile nel periodo fascista. Al di là della paternità di questo concetto, essa è diventata una condizione necessaria per l’assunzione del potere che si è realizzata attraverso la progressiva occupazione “manu militari” di spazi nella Università, nei media e nell’industria dell’intrattenimento. La sua caratteristica è di prescindere dal giudizio della realtà, perché vuole, essenzialmente, imporre una narrazione ideologica per modificare la società nel modo gradito alle élites. Dobbiamo perciò tornare, senza sottomissioni, alla egemonia culturale cristiana basata sulla realtà e sulla conoscenza dell’uomo e non sulle macchine per la manipolazione del consenso che caratterizzano la nostra epoca.

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Alcune considerazioni:

  • bellissimo articolo, giusto, vero, lo condivido!
  • magari avessi conosciuto (mi fosse stata esposta, spiegata …) da ragazzo il contenuto della Rerum Novarum, probabilmente non avrei creduto alla pretesa di giustizia sociale propagandata nei collettivi e nelle assemblee delle scuole negli anni ’70 e mi sarei risparmiato un sacco di stupidaggini, ma i miei genitori avevano si e no la quinta elementare e non sapevono spiegarmi/oppormi delle argomentazioni.
  • Alla fine, la soluzione non è cercare di attuare un sistema sociale “migliore”, ma dal continuo miglioramento dei meccanismi e delle relazioni sociali purché sempre subordinate alla onestà, alla comprensione e al rispetto di ogni persona umana qualora fosse necessario anche contro un proprio interesse (=amore al prossimo).

Lo Stato già è un istituto naturale che nasce per il bene comune e ha i suoi mezzi a favore del bene comune , non ha bisogno di sequestrare la proprietà privata che distruggerebbe il bene comune che deve difendere e per cui è nato . Una grande deviazione in questa opera di confusione ci è venuta proprio da GPII e dal Concilio Vaticano II Dai dieci comandamenti si ricava tutta la politica sociale e personale come guida alla politica e al diritto dei singoli . Ma chi ci crede ancora ?