di Fratel Amato Maria*
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UNA TESTIMONIANZA
Ho pensato a lungo a cosa mi abbia avvicinato alla figura della Venerabile Genoveffa de Troia, foggiana, terziaria cappuccina.
Forse l’aver ascoltato la Santa Messa tante volte vicino alla sua tomba posta nella Chiesa dell’Immacolata Concezione del capoluogo dauno di cui sono originario, l’essermi forse chiesto tante volte cosa significasse quell’epiteto, a parer loro tanto importante da doverla distinguere dai comuni mortali: Terziaria cappuccina … appunto; oppure tanti altri motivi parimenti rilevanti.
La storia della Venerabile inizia nel 1887, stesso anno di nascita del ben più noto Francesco Forgione da Pietralcina (semplicemente Padre Pio per noi pugliesi), inizia come per molte anime prescelte in maniera rocambolesca e umanamente difficile: famiglia poverissima, lavoro precario quattro figli di cui tre moiono in tenera età a distanza di pochi anni di polmonite e Genoveffa appunto a cui i medici di Lucera, paese natio, diagnosticano 24 ore di vita. I valori cristiani solidi come i temperamenti del padre e la madre … la faranno battezzare il giorno dopo e cresimare al 50esimo viste le erronee previsioni dei sanitari.
Inizierà invece molto presto per l’anima ed il corpo della bimba quel calvario parallelo a quello di Gesù che, sebbene in maniera meno eclatante, forgierà la sua vita per alcuni versi in maniera simile a quella della patrona Caterina da Siena. Una prima piccola piaga sulla gambina, poi un’altra ed ancora un’altra con cure dolorose e senza efficacia: il prof De Capua, luminare foggiano dell’epoca, alla fine la diagnosticò come lipoidosi (una sindrome caratterizzata dall’accumolo anomalo di sostanza grasse in alcuni organi che nel tempo creano lesioni e piaghe diffuse).
E lei Genoveffa che, tra mille traversie sociali e familiari, inizia a sognare una consacrazione come Religiosa mentre la madre attraverso una Fede Disperata invoca la guarigione alla Madonnna dell’ Incoronata di Apricena, piccolo borghetto distante 30 chilometri da Lucera.
E qui inizia a parlare quel Dio invocato con i suoi amorevoli e difficilissimi NO da ascoltare :
No alla guarigione, NO all’ eta di 11 anni ad avere una vita normale, tanto da costringerla come sul suo Legno, a passare sul letto i seguenti 40 anni, NO alla canonica vita religiosa.
Morirà cosi nel 1949, dopo aver assistito anche alla perdita del padre, poi della madre dopo la II guerra mondiale, con poche consolazioni, tutte divine, come quella che dalla cima del Gargano Padre Pio la indicava ai fedeli che salivano da Foggia ad andare da Lei perché era un’ anima Eletta da Gesù, il Redentore.
In realtà, come medico (nello specifico odontoiatra) il mistero dell’attrazione nei confronti di questa figura potrebbe essere presto chiarita: il medico è chiamato a vivere tra i malati, negli orari lavorativi, ma anche delle malattie dei genitori, dei familiari, degli amici … si sa che poi spesso i discorsi cadono su quel problema di salute o un altro.
E allora come non raccomandarsi a Lei che più di altri conosce la malattia, il dolore, l’attaccamento alla vita di coloro che sono di fronte a me, lo specchio di me?
La pandemia ha portato a galla tante cose, ha costretto a gettare via la maschera a molti, ha scavato con tanta sofferenza i terreni sassosi di tanti cuori. Nel mio per esempio l’aver conosciuto e mai più abbandonata La Santa Messa di sempre (che si chiama per i più Vetus Ordo), senza alcun compromesso dico oggi, l’aver abbandonato l’ordine francescano secolare (OFS) dopo 25 anni e la Regola dicotomica di Paolo VI per rispondere ora pienamente alla chiamata al Terz’ordine francescano (TOF), lo stesso, con la stessa regola, che anche Genoveffa ha professato e vissuto.
Infatti nell’incontro e l’amorevole sostegno di Padre Angelico da Sarno, cappuccino, la sua vita spirituale prende una direzione definita, si lega a san Francesco nell’ordine dei fratelli e sorelle della penitenza vivendo il carattere di questa vocazione, la povertà: materiale fatta anche di tanta generosità nella distribuzione delle elemosine ricevute a coloro che Lei riteneva essere più indigenti e spirituale con l’accettazione sempre docile della malattia che nel suo “Viva Gesù, Tutto per Gesù” la immedesimava ai due Crocifissi: Il Cristo e il Serafico padre San Francesco di cui era testimone nelle piaghe della malattia e nella “perfetta letizia” delle prove più difficili.
Mettere Gesù al centro di tutto e lo stare con lui nella sofferenza era per lei il modo più sicuro di rimanerGli accanto, con la profonda e felice consapevolezza di rientrare nello stesso destino del Redentore e collaborando misticamente alla Sua azione salvifica in espiazione e a vantaggio di molti.
Per approfondire la figura della Venerabile Genoveffa (Lucera 21 dicembre 1887, Foggia 11 dicembre 1949):
“Dal silenzio in un mare di luce” di Padre Angelico da Sarno OFM.Cap.
“Su un letto per il mondo senza confini” di Padre Fernando da Riese Pio X OFM.Cap.
“Genoveffa de Troia, una sofferenza che si fa pedagogia d’ amore” di Fra Luigi M.Lavecchia OFM.Cap.
*Terziario cappuccino, fraternità Santo Curato d’Ars, Morgon.