di Matteo Castagna
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ETTORE BEGGIATO “1797: LA SERENISSIMA E L’OCCUPAZIONE NAPOLEONICA”
Ettore Beggiato, classe 1954, nato a Campiglia dei Berici, in provincia di Vicenza, è stato Consigliere Regionale dal 1985 al 2000 e assessore dal 1993 al 1995. E’ appassionato cultore di storia veneta e autore di decine di pubblicazioni, particolarmente documentate, riguardanti i 1.100 anni della Repubblica Serenissima di Venezia.
Da tempo, è un punto di riferimento, per l’accuratezza dei suoi studi e le conclusioni oggettive, comprovate da una serie infinita di fonti, che rendono i suoi libri particolarmente rigorosi e completi, senza avere lo stile dello studioso. La sua originalità sta nel fatto, ammesso, che si tratta di atti di militanza politica di chi non si arrende davanti alla falsificazione della realtà scritta dai vincitori, o oppressori.
Beggiato non è uno storico, né un revisionista, ma un patriota veneto, che presenta Napoleone Bonaparte come un criminale liberticida, al contrario di docenti universitari, autorevoli storici, grandi intellettuali, che hanno scritto migliaia di libri per omaggiare l’invasore francese ed “il suo esercito di straccioni e di tagliagole”.
Nel testo “1797: la Serenissima e l’occupazione napoleonica” (Editrice Veneta, Vicenza, 2025, pgg. 334, Euro 20,00) l’autore si dichiara “di parte”. Sì, dalla parte della Repubblica Veneta, calpestata, umiliata e cancellata dalla faccia della terra dall’invasore più osannato della modernità. Ma non solo, egli racconta le gesta di coloro che cercarono di difendere le loro terre e la loro religione cattolica, apostolica, romana dalle razzie sanguinarie di Napoleone, che delle prime volle impossessarsi come un barbaro assassino e della seconda avrebbe voluto distruggere anche il ricordo, assieme ad ogni vestigia dell’ancien regime e ogni bene di proprietà del clero.
Il libro racconta la ribellione, detta “Insorgenza” contro l’occupazione napoleonica di quella nobiltà e del suo contado, che dalla Lombardia Veneta all’Istria, dalla Dalmazia alle Isole Ionie, cercò di tenere testa al nemico giacobino, usurpatore e tiranno, saccheggiatore e blasfemo malandrino, nel nome di San Marco.
Il tutto contiene ben dieci pagine di riferimenti bibliografici, altrettanti Documenti, il Catalogo degli oggetti d’Arte, di Antichità, codici e libri depredati e trasportati da Venezia e Province Venete in Francia (documento integrale sul sito Serenissima.news al link: www.serenissima.news/saccheggio1797), l’Elenco delle Opere d’Arte, Manoscritti, Incunaboli ed altri oggetti di pregio, che furono asportati da Verona nel 1797 dai rivoluzionari francesi (documento integrale QUI), oltre a quattordici pagine finali di fotografie.
L’incipit dell’occupazione napoleonica inizia con un episodio raccapricciante avvenuto a Crema, ove le donne di una parrocchia si rinchiusero in chiesa all’arrivo delle truppe francesi, che vi entrarono coi cavalli, portando via tutto, compresi gli arredi sacri, i calici e le pissidi, mentre le persone “vennero spogliate di tutto”. Il sacerdote don Antonio Ussoli, curato a Gardone, venne trucidato a Brescia in odio alla fede, mentre esclamava: “Viva la religione, viva San Marco, viva Venezia!” e altri vennero fucilati in Val Trompia. Era questa la Libertà di cui la propaganda rivoluzionaria si faceva portavoce, questa l’Uguaglianza, questa la Fratellanza?
Si parla delle Pasque Veronesi, della Basilica di Sant’Antonio da Padova, completamente saccheggiata, della requisizione arbitraria di tutta l’argenteria del clero di Treviso e Pieve di Cadore, della devastazione con altrettanti delitti a Rovigo. A Sebenico, in Dalmazia, coloro che si ribellarono, andarono a casa del console francese Nicolò Bertolini Zulatti e lo uccisero insieme alla consorte Cattarina Pinelli.
Nella sostanza, si trattò di uno scontro tra i relativamente pochi difensori della Tradizione e la nuova (per l’epoca) Sovversione di essa, vinta da quest’ultima, in poco tempo. Lo storico Enrico Bevilacqua scrive, riferendosi alle Pasque Veronesi, nella sua monografia stampata del 1897: ” A misura che cresceva il rimbombo delle artiglierie, uscivano gli abitanti dalle proprie case, correvano mal armati ad affrontare le pattuglie francesi, che con le baionette abbassate scorrevano la città, le quali si videro ben presto obbligate a cercare la loro sicurezza dandosi precipitosa fuga verso i castelli”. (“Le Pasque veronesi”, Verona, 1897, p. 99 – citato a pag. 42 e 43 del libro di Beggiato)
Mentre i francesi invadevano Verona, “nelle stesse ore, il 17 aprile, Napoleone firmava con l’Austria, a Leoben nella Stiria, un trattato contenente una serie di clausole segrete, con il quale gli Asburgo cedevano a Parigi i Paesi Bassi e la Lombardia in cambio dei territori della Serenissima”, che non andò in aiuto della città scaligera, nonostante il Provveditore Francesco Emilei si fosse recato di persona a chiederlo.
Ma lasciò Verona “in mano ai rappresentanti del governo veneto Bartolomeo Giuliari e Alvise Contarini, del tutto inadeguati a svolgere un ruolo così determinante”, quale dirigerne la difesa – scrive Beggiato a pag. 44. E ai veronesi, ai quali non manca certo l’ironia non rimase che cantare: “Viva, Viva la liberté, i Francesi ‘n carrozza e i Veronesi a pié” (Menin I, “Breve storico compendio della guerra d’Italia dell’anno 1796-1797”, Verona, 1997, p. 181). Infatti, le Pasque Veronesi durarono solo nove giorni (17-25 aprile 1797) prima che la città dichiarasse la resa, a fronte di undici mesi di occupazione francese.
E il prof. Franco Vecchiato scrisse su L’Arena del 24.04.2009 che “…nel giorno di San Marco, Verona issava su tutti i campanili della città bandiera bianca in segno di resa al termine di un breve ma intenso periodo di resistenza all’occupante francese, nel corso del quale decine di partigiani veronesi sacrificarono inutilmente la loro vita in difesa della patria…”.
L’Italia nata dal Risorgimento, che ha diviso gli italiani dalla loro religione e dai loro storici ordinamenti politici e culturali “si sente erede dell’invasore, lo onora in opere altisonanti, lo celebra nelle strade, ne restaura i monumenti, ne adotta e festeggia orgogliosa la massonica bandiera tricolore, ne giustifica i crimini, sminuisce le malefatte, perdona e dimentica le distruzioni compiute, non si cura di chiedere alla Francia la restituzione di quel mezzo Louvre rubato agli antichi Stati dell’Italia, né rivendica quanta parte delle riserve auree di Parigi, ancor oggi, vengono dalle rapine di Napoleone. Soprattutto, non rivendica e non difende la verità che questo prezioso libro ci racconta, perché non vada perduta” – scrive Alvise Fontanella, al termine della prefazione.
Sicuramente la storia raccontata da Beggiato ha fondamenta solide. E’ scritta da un innamorato del popolo cui sente di appartenere, con un senso di identità forte e pieno di fierezza, che intende riscattare la faziosa narrazione mainstream senza arrivare ai toni apologetici, che lascia ai virgolettati dei patrioti ribelli, protagonisti dell’epoca. Le Insorgenze antigiacobine furono un fenomeno che riguardò maggiormente il Regno delle due Sicilie e lo Stato Pontificio, in termini di portata storica, religiosa, politica e numerica. Ricordiamo la “Crociata della Santa Fede”, capeggiata dal cardinal Fabrizio Ruffo e sviluppatasi nel Regno di Napoli nel corso del 1799, quale una delle più importanti e partecipate rivolte controrivoluzionarie.
Quando, il 6 settembre 1860 Francesco II lasciò Napoli e l’8 settembre chiamò alla resistenza armata, risposero fino a 50.000 uomini, che negli anni, divennero 120.000.