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ISRAELE E L’IRAN
Le sirene del pacifismo ideologico suonano sempre con maggior intensità quando a difendersi è Israele. È una costante nella narrazione pubblica, soprattutto in Europa, e ancor più nei salotti pseudo-intellettuali dominati da un’antica e mai sopita forma di antisemitismo travestita da “antisionismo”.
Ma oggi non è più tempo di ambiguità: tra l’Iran e Israele non è in corso un’“operazione” militare. È guerra. Guerra vera, dichiarata, combattuta e – come tutte le guerre – terribile. Ma è anche una guerra giusta. Perché Israele, in questo conflitto, non è l’aggressore: è l’aggredito.
Benjamin Netanyahu l’ha detto chiaramente: «Non si tratta di un’operazione, siamo in guerra». Non ci sono mezze misure, non ci sono frasi diplomatiche: Israele combatte per la propria sopravvivenza. E chi non lo vede – o finge di non vederlo – è in malafede o accecato dall’odio ideologico.
L’Iran ha fatto dell’annientamento dello Stato Ebraico la propria missione geopolitica. Non si tratta di un’interpretazione o di un’opinione. È un dato di fatto. Le dichiarazioni pubbliche dei leader storici iraniani, da Khomeini a Khamenei, sono inequivocabili. Ma soprattutto lo sono le azioni: Teheran ha costruito, finanziato, addestrato e armato un’intera costellazione di gruppi terroristici la cui unica ragion d’essere è la distruzione di Israele.
Hamas, Hezbollah, Jihad Islamica Palestinese e Houthi yemeniti: questi sono i pilastri dell’“asse della resistenza”, una resistenza che non ha nulla a che vedere con i diritti dei popoli o con la giustizia. Questa “resistenza” combatte per radere al suolo uno Stato sovrano, democratico, pluralista, e per sterminare un popolo. I loro statuti, i loro proclami, i loro atti sono lì a dimostrarlo, nero su bianco.
L’Iran, capofila e burattinaio di questo asse, è il principale responsabile del massacro del 7 ottobre 2023, un pogrom moderno, eseguito da Hamas ma concepito a Teheran. Le prove sono abbondanti: documenti, intercettazioni, confessioni. Di fronte a questo, chi parla ancora di “reazione sproporzionata” da parte di Israele o, peggio, chi dipinge Israele come “Stato terrorista”, mente consapevolmente o è complice di un’ignobile propaganda.
È forse Israele ad avere finanziato milizie sciite in Iraq e Siria per destabilizzare la regione? È forse Israele ad avere armato gruppi paramilitari in Libano, violando sistematicamente la sovranità di uno Stato confinante? È forse Israele ad avere costruito tunnel del terrore sotto ospedali e scuole per sferrare attacchi contro civili? No. È sempre l’Iran.
E se qualcuno ancora avesse dubbi sulle intenzioni ultime del regime iraniano, basti pensare al suo programma nucleare. Nonostante gli accordi internazionali, Teheran ha arricchito uranio in quantità e purezza tali da consentire la costruzione di almeno nove bombe atomiche. Per cosa, se non per finalità militari? Per quale altro scopo una teocrazia repressiva dovrebbe costruire armi nucleari, se non per garantirsi l’impunità e, infine, la possibilità di colpire Israele senza temere rappresaglie?
Dunque, torniamo alla domanda fondamentale: chi attacca chi? Non è una domanda retorica, è la chiave di lettura di tutto ciò che accade. Israele è stato, è e sarà bersaglio. Bersaglio di missili, di attentati, di campagne d’odio, di risoluzioni internazionali unilaterali. Ha provato la via della pace, con Oslo, con il ritiro da Gaza, con la normalizzazione dei rapporti con molti Paesi arabi. In cambio ha ricevuto il terrore.
Eppure, quando finalmente agisce per difendersi – e per impedire che una potenza apertamente genocida si doti di armi atomiche – viene accusato di essere l’aggressore. È l’ennesima perversione della morale contemporanea, dove il carnefice diventa vittima e la vittima diventa carnefice, se quest’ultima ha il torto di essere Israele.
Il vero peccato di Israele è non voler morire. È questa la colpa che l’Occidente imbelle, i giornali filoiraniani travestiti da “critici” e gli opinionisti sinistrorsi non possono perdonargli. Perché Israele rappresenta tutto ciò che essi disprezzano: il diritto a esistere, la forza morale e militare di difendersi, la volontà di vivere nonostante l’odio del mondo, la supremazia della ragione civico-naturale sulla barbarie.
E allora è giunto il momento di dirlo con forza: Israele non deve scusarsi. Ha il diritto – anzi, il dovere – di difendersi, con ogni mezzo necessario, da chi vuole distruggerlo. Nessun popolo può sopravvivere se rinuncia a combattere per la propria vita. Israele lo ha capito. E lo fa non solo per sé, ma per l’intero mondo libero, che oggi ancora dorme, mentre l’Iran si arma.
Il risveglio sarà brutale, se Israele dovesse perdere. Perché dopo di lui, toccherà a tutti noi.
La signora Angelica La Rosa la vedo meglio all’ufficio stampa del movimento sionista che in un contesto per il resto serio come informazonnecattolica
Resoconto eccellente, per quanto valga aggiungere sotto la rubrica “Israele rappresenta,” la supremazia della ragione civico-naturale sulla barbarie (se no si rischia di confondere le due).