di Angelica La Rosa
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LA CHIESA SIRIANI PERSEGUITATA NEL TEMPO DELL’INDIFFERENZA
Damasco, Chiesa di Sant’Elia, quartiere di Dwelaa. Un nome, una memoria, un’ecatombe. Ancora una volta, mentre si celebrava il Santo Sacrificio dell’Altare, il sangue dei fedeli è stato versato, non per caso, ma per odio. Odio contro Cristo. Odio contro la Sua Chiesa. Odio contro la Messa. E tutto questo avviene nel silenzio assordante del mondo cosiddetto civile.
La notizia dell’attentato suicida avvenuto durante la Santa Messa di ieri nella chiesa di Sant’Elia ci raggiunge come una ferita lacerante, un grido soffocato che ci chiama al dovere della memoria, della giustizia, della verità.
Un uomo, armato di una cintura esplosiva e del suo fanatismo cieco, si è introdotto nella casa di Dio mentre si celebrava il mistero più alto e santo, quello dell’Eucaristia, e ha fatto strage, causando decine di morti e feriti.
Le immagini sono strazianti: sangue tra i banchi della chiesa, corpi a terra, bambini, madri, anziani. Non una semplice “tragedia” come amano ripetere i media laicisti, ma un martirio. Un crimine sacrilego. Un’offesa diretta a Cristo stesso.
Non è un caso isolato. È l’ennesimo episodio di una lunga scia di sangue che accompagna la Chiesa fin dalle sue origini. «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome» (Mt 10,22), disse il Signore. E così è stato. Così è oggi. Mentre si proclama la libertà religiosa in Occidente, mentre si ergono statue alla tolleranza e si predica l’inclusività, migliaia di cristiani nel mondo vengono uccisi, bruciati, decapitati, torturati o – come a Damasco – fatti saltare in aria, per il solo fatto di essere cristiani. E tra questi martiri ci sono uomini, donne, bambini. I piccoli innocenti, vittime di un odio che ha il volto dell’Anticristo.
Eppure, quanta indifferenza! I potenti della terra tacciono. Le grandi istituzioni internazionali voltano lo sguardo. Le cronache occidentali trattano la notizia come una curiosità esotica, una “notizia di colore” da archiviare presto. E, forse ancor più doloroso, anche da parte di molti pastori della Chiesa si leva un linguaggio pallido, diplomatico, privo della forza profetica dei martiri. Si condanna genericamente la “violenza”, si invoca il “dialogo”, si evita accuratamente di parlare di odio contro la fede, di persecuzione religiosa, di martirio cristiano.
L’attentato di Sant’Elia non è casuale. L’attentatore ha colpito durante la Messa. Il cuore pulsante della fede cattolica. Non un’assemblea qualunque, non un discorso, non una processione. Ma la Santa Messa. Il momento in cui Cristo si rende presente realmente sull’Altare. Non possiamo non leggere questo come un segno eloquente: l’inferno teme la Messa. L’odio del mondo e del maligno si abbatte con furia proprio là dove il cielo tocca la terra. E noi, nel mondo cosiddetto libero, cosa facciamo? Profaniamo la liturgia, la rendiamo banale, la deformiamo con abusi e creatività mondane. Dimentichiamo che la Messa è sacrificio, è offerta, è Calvario reso presente. I nostri fratelli in Oriente versano il sangue per poterla celebrare; noi, in Occidente, la svuotiamo del suo significato.
Tuttavia, la verità non muore. La fede non si spegne. Il sangue dei martiri – anche quelli di Sant’Elia – è seme di nuovi cristiani. Lo insegna la storia. Quando l’odio si fa più feroce, la grazia sovrabbonda. Là dove la Chiesa è crocifissa, là Cristo è più vicino. I fedeli trucidati a Damasco sono stati uniti, in modo mistico ma reale, al sacrificio di Cristo. Sono entrati nella gloria proprio mentre partecipavano alla Sua Passione. Non è una consolazione retorica, ma la verità soprannaturale che sostiene la speranza della Chiesa.
Cosa possiamo fare noi, qui? Innanzitutto, pregare. Offrire Messe per le anime dei caduti, per i feriti, per i familiari. Poi, gridare la verità. Non possiamo tacere. Non possiamo accettare l’ipocrisia di un mondo che piange per la distruzione di una biblioteca e ignora la distruzione di una chiesa con i suoi fedeli. Non possiamo nasconderci dietro un pacifismo vuoto, un umanitarismo che dimentica Cristo. Dobbiamo riscoprire il valore del martirio, della testimonianza eroica, della fedeltà fino alla fine.
E, soprattutto, dobbiamo riscoprire la Messa. Tornare a viverla come i primi cristiani: non come un rito da assistere, ma come il sacrificio da offrire. I martiri di Sant’Elia ci ricordano che la Messa è questione di vita o di morte. Non un’abitudine, ma un mistero santo per cui vale la pena morire. E vivere.
Che i martiri della Chiesa di Sant’Elia intercedano per noi. Che il loro sangue svegli le coscienze sopite. Che la loro testimonianza ci renda degni di professare, anche noi, la fede cattolica in tutta la sua verità, bellezza e potenza. Anche quando costa. Anche quando brucia. Anche quando il mondo ci odia.
Perché “il sangue dei martiri è il seme dei cristiani” (Tertulliano). E questo seme, anche a Damasco, porterà frutto.