A cura della Redazione
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LE ATTIVITA’ APOSTOLICHE DI LEONE XVI
Il Santo Padre ha ricevuto ieri mattina in Udienza i seminaristi delle Diocesi del Triveneto e ha rivolto loro il discorso che riportiamo di seguito.
Sono contento di potervi incontrare in occasione del pellegrinaggio giubilare. Penso che tutti erano presenti anche ieri, quindi questa è la seconda opportunità. La vostra terra vanta profonde radici cristiane, che ci riconducono all’antica Chiesa di Aquileia. In questa memoria di fede, spirituale, splende la testimonianza di molti Martiri e di santi Pastori. Ricordiamo il vescovo Cromazio; ricordiamo Girolamo e Rufino, esemplari nello studio e nella vita ascetica; come pure i beati Tullio Maruzzo e Giovanni Schiavo, missionari che irradiarono il Vangelo in diversi popoli, lingue e culture.
Oggi tocca a noi continuare quest’opera appassionante. In particolare, voi seminaristi siete chiamati a inserirvi in questa ricca storia di grazia, per custodirla e rinnovarla nella sequela del Signore. Non scoraggiatevi se a volte il cammino che vi sta davanti si fa duro. Come ebbe a dire al clero di Roma il beato Giovanni Paolo I, allenatevi alla disciplina di uno «sforzo continuato, lungo, non facile. Perfino gli angeli visti in sogno da Giacobbe non volavano, ma facevano uno scalino per volta; figuriamoci noi, che siamo poveri uomini privi di ali» (Discorso al clero romano, 7 settembre 1978). Parlava così un Pastore in cui sono brillate le migliori virtù della vostra gente: in lui avete un vero modello di vita sacerdotale.
Vorrei anche richiamare un passaggio della conversione di Sant’Agostino, come ci è riferita da lui stesso nelle sue Confessioni. Da una parte egli era desideroso di decidersi per Cristo, dall’altra era trattenuto da scrupoli e tentazioni. Profondamente turbato, un giorno si ritirò a riflettere nel giardino di casa; e lì gli apparve personificata la virtù della Continenza, che gli disse: «Perché ti reggi – e non ti reggi – su di te? Gettati in Dio senza timore. Non si tirerà indietro per farti cadere. Gettati tranquillo, egli ti accoglierà e ti guarirà» (Conf. VIII, 27).
Come un padre ripeto a voi queste stesse parole, che fecero tanto bene al cuore inquieto di Agostino: esse non valgono soltanto in riferimento al celibato, che è un carisma da riconoscere, custodire ed educare, ma possono orientare tutto il vostro percorso di discernimento e di formazione al ministero ordinato. In particolare, queste parole vi invitano ad avere una sconfinata fiducia nel Signore, il Signore che vi ha chiamato, rinunciando alla pretesa di bastare a voi stessi o di potercela fare da soli. E ciò vale non solo per gli anni di Seminario, ma per tutta la vita: in ogni momento, tanto più in quelli di desolazione o addirittura di peccato, ripetete a voi stessi le parole del salmista: «Mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e sempre» (Sal 51,10). La Parola di Dio e i Sacramenti sono fonti perenni, da cui potrete sempre attingere nuova linfa per la vita spirituale e anche per l’impegno pastorale.
Non pensatevi quindi soli, e nemmeno pensatevi da soli. Senza dubbio – come afferma la Ratio fundamentalis – ognuno di voi «è il protagonista della propria formazione ed è chiamato a un cammino di costante crescita nell’ambito umano, spirituale, intellettuale e pastorale» (Congr. per il Clero, Il dono della vocazione presbiterale, 130); ma protagonisti non significa solisti! Perciò vi invito a coltivare sempre la comunione, anzitutto con i vostri compagni di Seminario. Abbiate piena fiducia nei vostri formatori, senza ritrosie o doppiezze. E voi, formatori, siate buoni compagni di strada dei seminaristi che vi sono affidati: offrite loro l’umile testimonianza della vostra vita e della vostra fede; accompagnateli con affetto sincero. Sappiatevi tutti sostenuti dalla Chiesa, anzitutto nella persona del Vescovo.
Infine, la cosa più importante: tenete fisso lo sguardo su Gesù (cfr Eb 12,2), coltivando la relazione di amicizia con Lui. A questo proposito, così scrisse il presbitero inglese Robert Hugh Benson (1871-1914) dopo la sua conversione al cattolicesimo: «Se c’è una cosa che non lascia dubbi nel Vangelo è proprio questa: Gesù Cristo desidera essere nostro amico. […] Il segreto che ha costituito i santi è tutto qui: la consapevolezza dell’amicizia di Gesù Cristo» (L’amicizia di Cristo, Milano 2024, 17). Egli chiede, come scriveva Papa Francesco nell’Enciclica Dilexit nos, «di non vergognarti di riconoscere la tua amicizia con il Signore. Ti chiede di avere il coraggio di raccontare agli altri che è un bene per te averlo incontrato» (n. 211). Incontrare Gesù, infatti, salva la nostra vita e ci dona la forza e la gioia di comunicare il Vangelo a tutti.
Carissimi, grazie di questa visita. Buon cammino! Vi accompagni sempre la Madonna, e anche la mia benedizione. Grazie!
L’Udienza Generale, invece, si è tenuta ieri mattina alle ore 9.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Leone XIV ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nel discorso in lingua italiana, il Papa – riprendendo il ciclo di catechesi che si svolge lungo l’intero Anno Giubilare, “Gesù Cristo nostra speranza” – ha incentrato la sua meditazione sul tema La donna emorroissa e la figlia di Giairo. «Non temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5,33-36).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi nelle diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai fedeli presenti. Quindi, ha assicurato la sua preghiera per le vittime dell’attentato terroristico contro la comunità greco-ortodossa nella Chiesa di Mar Elias a Damasco, avvenuto domenica scorsa, invitando la comunità internazionale a non distogliere lo sguardo dalla Siria. Infine, ha rivolto un nuovo appello alla pace, facendo riferimento ai conflitti in corso in Iran, Israele e Palestina. L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Questo è il testo dell’Udienza:
Anche oggi meditiamo sulle guarigioni di Gesù come segno di speranza. In Lui c’è una forza che anche noi possiamo sperimentare quando entriamo in relazione con la sua Persona. Una malattia molto diffusa nel nostro tempo è la fatica di vivere: la realtà ci sembra troppo complessa, pesante, difficile da affrontare. E allora ci spegniamo, ci addormentiamo, nell’illusione che al risveglio le cose saranno diverse. Ma la realtà va affrontata, e insieme con Gesù possiamo farlo bene. A volte poi ci sentiamo bloccati dal giudizio di coloro che pretendono di mettere etichette sugli altri. Mi sembra che queste situazioni possano trovare riscontro in un passo del Vangelo di Marco, dove si intrecciano due storie: quella di una ragazza di dodici anni, che è a letto malata e sta per morire; e quella di una donna, che, proprio da dodici anni, ha perdite di sangue e cerca Gesù per poter guarire (cfr Mc 5,21-43). Tra queste due figure femminili, l’Evangelista colloca il personaggio del padre della ragazza: egli non rimane in casa a lamentarsi per la malattia della figlia, ma esce e chiede aiuto. Benché sia il capo della sinagoga, non avanza pretese in ragione della sua posizione sociale. Quando c’è da attendere non perde la pazienza e aspetta. E quando vengono a dirgli che sua figlia è morta ed è inutile disturbare il Maestro, lui continua ad avere fede e a sperare. Il colloquio di questo padre con Gesù è interrotto dalla donna emorroissa, che riesce ad avvicinarsi a Gesù e a toccare il suo mantello (v. 27). Questa donna con grande coraggio ha preso la decisione che cambia la sua vita: tutti continuavano a dirle di rimanere a distanza, di non farsi vedere. L’avevano condannata a rimanere nascosta e isolata. A volte anche noi possiamo essere vittime del giudizio degli altri, che pretendono di metterci addosso un abito che non è il nostro. E allora stiamo male e non riusciamo a venirne fuori.
Quella donna imbocca la via della salvezza quando germoglia in lei la fede che Gesù può guarirla: allora trova la forza di uscire e di andare a cercarlo. Vuole arrivare a toccare almeno la sua veste. Intorno a Gesù c’era tanta folla, e dunque tante persone lo toccavano, eppure a loro non succede niente. Quando invece questa donna tocca Gesù, viene guarita. Dove sta la differenza? Commentando questo punto del testo, Sant’Agostino dice – a nome di Gesù –: «La folla mi si accalca intorno, ma la fede mi tocca» (Discorso 243, 2, 2). È così: ogni volta che facciamo un atto di fede indirizzato a Gesù, si stabilisce un contatto con Lui e immediatamente esce da Lui la sua grazia. A volte noi non ce ne accorgiamo, ma in modo segreto e reale la grazia ci raggiunge e da dentro pian piano trasforma la vita. Forse anche oggi tante persone si accostano a Gesù in modo superficiale, senza credere veramente nella sua potenza. Calpestiamo la superficie delle nostre chiese, ma forse il cuore è altrove! Questa donna, silenziosa e anonima, vince le sue paure, toccando il cuore di Gesù con le sue mani considerate impure a causa della malattia. Ed ecco che subito si sente guarita. Gesù le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace» (Mc 5,34).
Nel frattempo, portano a quel padre la notizia che sua figlia è morta. Gesù gli dice: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36). Poi va a casa sua e, vedendo che tutti piangono e gridano, dice: «La bambina non è morta, ma dorme» (v. 39). Quindi entra nella camera dove giaceva la bambina, la prende per mano e le dice : «Talità kum», “Fanciulla, alzati!”. La ragazza si alza in piedi e si mette a camminare (cfr vv. 41-42). Quel gesto di Gesù ci mostra che Lui non solo guarisce da ogni malattia, ma risveglia anche dalla morte. Per Dio, che è Vita eterna, la morte del corpo è come un sonno. La morte vera è quella dell’anima: di questa dobbiamo avere paura! Un ultimo particolare: Gesù, dopo aver risuscitato la bambina, dice ai genitori di darle da mangiare (cfr v. 43). Ecco un altro segno molto concreto della vicinanza di Gesù alla nostra umanità. Ma possiamo intenderlo anche in senso più profondo e domandarci: quando i nostri ragazzi sono in crisi e hanno bisogno di un nutrimento spirituale, sappiamo darglielo? E come possiamo se noi stessi non ci nutriamo del Vangelo?
Cari fratelli e sorelle, nella vita ci sono momenti di delusione e di scoraggiamento, e c’è anche l’esperienza della morte. Impariamo da quella donna, da quel padre: andiamo da Gesù: Lui può guarirci, può farci rinascere. Gesù è la nostra speranza!
Saluti
Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare quelli provenienti dal Canada, dalla Costa d’Avorio, dal Belgio e dalla Francia.
Fratelli e sorelle, per intercessione dei santi Pietro e Paolo, colonne della Chiesa, possiamo noi, in mezzo alle fatiche e alle difficoltà umane, andare verso Gesù, nostra speranza e nostra vita. Dio vi benedica!
Sono lieto di dare il benvenuto questa mattina ai pellegrini e ai visitatori di lingua inglese che partecipano all’Udienza odierna, in particolare a quelli provenienti da Malta, Eswatini, Ghana, Kenya, Sudafrica, Australia, Cina, India, Indonesia, Filippine, Corea del Sud e Stati Uniti d’America. Rivolgo un saluto speciale ai membri del movimento cattolico Citizens UK. Mentre il mese di giugno volge al termine, chiediamo al Sacro Cuore di Gesù di accrescere la nostra fede mentre ci rivolgiamo a Lui con fiducia. Dio vi benedica tutti!
Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, in questi giorni i Vescovi, i Sacerdoti e i seminaristi celebrano il loro Giubileo. Sosteniamoli nella loro vocazione e preghiamo per loro perché possano essere pastori secondo il Sacro Cuore di Gesù.
Saluto cordialmente i pellegrini di lingua spagnola, in particolare i sacerdoti e i seminaristi provenienti da Spagna, Messico, Porto Rico, Ecuador, Colombia, El Salvador e Venezuela. Nella vita ci sono momenti di delusione, scoraggiamento e persino di morte. Impariamo da quella donna e da quel padre: andiamo da Gesù. Lui può guarirci, può restituirci la vita. Lui è la nostra speranza! Grazie di cuore.
Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua cinese. Cari fratelli e sorelle, assicuro la mia preghiera per tutte le vostre intenzioni di bene. A tutti la mia benedizione!
Cari fedeli di lingua portoghese, benvenuti! Saluto in modo speciale i Sacerdoti provenienti da Braga e Viana do Castelo, in Portogallo, e da Teresina, Castanhal, Nazaré e Santo Amaro, in Brasile. All’avvicinarsi della fine del mese di giugno, rivolgiamo più intensamente lo sguardo al Cuore di Gesù. A partire da Lui ridoniamo a questo nostro mondo un cuore che sa amare, perdonare e prendersi cura degli altri. Dio vi benedica!
Saluto i fedeli di lingua araba. Cari ragazzi, giovani e studenti, con l’inizio delle vacanze estive, vi invito a continuare la preghiera e a imitare le qualità del giovane Gesù che cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!
Saluto cordialmente i polacchi. Vi invito a lasciarvi accompagnare ogni giorno dalla lettura del Vangelo: sia per voi nutrimento spirituale, capace di rafforzarvi nel portare la fede e la speranza nei vostri ambienti. La prossima solennità dei Santi Pietro e Paolo sia per voi un’occasione per rinnovare il legame personale con la comunità della Chiesa e la premurosa preghiera per i suoi pastori. Vi benedico di cuore!
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Alba, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Marco Brunetti, e li esorto ad attingete dall’Eucaristia la forza per essere testimoni del Vangelo della carità. Saluto poi le Suore Missionarie dell’Incarnazione, le Ancelle della Beata Vergine Immacolata e le Suore del Bambino Gesù, che celebrano i rispettivi Capitoli Generali, incoraggiandole a essere segni eloquenti dell’amore di Dio e missionarie della sua pace. Accolgo con gioia i fedeli di Mola di Bari, Noepoli e Grotteria, esortandoli a perseverare nei buoni propositi di fedeltà al Vangelo e alla Chiesa. Saluto altresì la Scuola Militare Alpina di Aosta e la Brigata Paracadutisti “Folgore”: cari militari, invoco su di voi e sulle vostre famiglie copiosi doni celesti per una sempre più solida testimonianza cristiana. Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Siamo entrati nell’estate, per molti tempo di ferie e di riposo. Per voi, cari giovani, sia un’occasione per utili esperienze sociali e religiose; per voi, cari sposi novelli, un periodo per cementare la vostra unione e approfondire la vostra missione nella Chiesa e nella società. Auspico inoltre che a voi, cari malati, non manchi durante questi mesi estivi la vicinanza di persone care.
APPELLO
Domenica scorsa è stato compiuto un vile attentato terroristico contro la comunità greco-ortodossa nella chiesa di Mar Elias a Damasco. Affidiamo le vittime alla misericordia di Dio ed eleviamo le nostre preghiere per i feriti e i familiari. Ai cristiani del Medio Oriente dico: vi sono vicino! Tutta la Chiesa vi è vicina! Questo tragico avvenimento richiama la profonda fragilità che ancora segna la Siria, dopo anni di conflitti e di instabilità. È quindi fondamentale che la comunità internazionale non distolga lo sguardo da questo Paese, ma continui a offrirgli sostegno attraverso gesti di solidarietà e con un rinnovato impegno per la pace e la riconciliazione.
Continuiamo a seguire con attenzione e con speranza gli sviluppi della situazione in Iran, Israele e Palestina. Le parole del profeta Isaia risuonano più che mai urgenti: «Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4). Si ascolti questa voce, che viene dall’Altissimo! Si curino le lacerazioni provocate dalle sanguinose azioni degli ultimi giorni. Si respinga ogni logica di prepotenza e di vendetta e si scelga con determinazione la via del dialogo, della diplomazia e della pace.
Sempre ieri il Santo Padre ha offerto la sua Meditazione per i partecipanti al Giubileo dei Vescovi.
Apprezzo e ammiro il vostro impegno di venire pellegrini a Roma, ben sapendo quanto siano pressanti le esigenze del ministero. Ma ognuno di voi, come me, prima di essere pastore, è pecora del gregge del Signore! E dunque anche noi, anzi, noi per primi siamo invitati ad attraversare la Porta Santa, simbolo di Cristo Salvatore. Per guidare la Chiesa affidata alle nostre cure dobbiamo lasciarci profondamente rinnovare da Lui, il Buon Pastore, per conformarci pienamente al suo cuore e al suo mistero d’amore.
«Spes non confundit», «la speranza non delude» (Rm 5,5). Quante volte Papa Francesco ha ripetuto queste parole di San Paolo! Erano diventate un suo motto, tanto che le ha scelte come incipit della Bolla d’indizione di questo Anno giubilare.
Noi vescovi siamo i primi eredi di questa profetica consegna, e dobbiamo custodirla e trasmetterla al Popolo di Dio, con la parola e la testimonianza. A volte, annunciare che la speranza non delude significa andare controcorrente, persino contro l’evidenza di situazioni dolorose che sembrano senza via d’uscita. Ma è proprio in quei momenti che può meglio manifestarsi come il nostro credere e il nostro sperare non vengano da noi, ma da Dio. E allora, se siamo davvero vicini, solidali con chi soffre, lo Spirito Santo può ravvivare nei cuori anche la fiamma ormai quasi spenta (cfr Bolla Spes non confundit, 3).
Carissimi, il pastore è testimone di speranza con l’esempio di una vita saldamente ancorata in Dio e tutta donata nel servizio della Chiesa. E ciò avviene nella misura in cui egli è identificato con Cristo nella sua vita personale e nel suo ministero apostolico: allora lo Spirito del Signore dà forma al suo modo di pensare, ai suoi sentimenti, ai suoi comportamenti. Soffermiamoci insieme su alcuni tratti che caratterizzano questa testimonianza.
Anzitutto, il Vescovo è il principio visibile di unità nella Chiesa particolare a lui affidata. È suo compito fare in modo che essa si edifichi nella comunione tra tutti i suoi membri e con la Chiesa universale, valorizzando il contributo dei diversi doni e ministeri per la crescita comune e per la diffusione del Vangelo. In questo servizio, come in tutta la sua missione, il Vescovo può contare sulla speciale grazia divina conferitagli nell’Ordinazione episcopale: essa lo sostiene come maestro di fede, come santificatore e guida spirituale; anima la sua dedizione per il Regno di Dio, per la salvezza eterna delle persone, per trasformare la storia con la forza del Vangelo.
Il secondo aspetto che vorrei considerare, sempre a partire da Cristo come forma della vita del Pastore, lo definirei così: il Vescovo come uomo di vita teologale. Il che equivale a dire: uomo pienamente docile all’azione dello Spirito Santo, che suscita in lui la fede, la speranza e la carità e le alimenta, come la fiamma del fuoco, nelle diverse situazioni esistenziali.
Il Vescovo è uomo di fede. E qui mi viene in mente quella stupenda pagina della Lettera agli Ebrei (cfr cap. 11), dove l’Autore, cominciando da Abele, fa un lungo elenco di “testimoni” della fede; e in particolare penso a Mosè, il quale, chiamato da Dio a guidare il popolo alla terra promessa, «rimase saldo – dice il testo – come se vedesse l’invisibile» (Eb 11,27). Che bello questo ritratto dell’uomo di fede: uno che, per la grazia di Dio, vede oltre, vede la meta, e rimane saldo nella prova. Pensiamo alle volte in cui Mosè intercede per il popolo al cospetto di Dio. Ecco: il Vescovo nella sua Chiesa è l’intercessore, perché lo Spirito mantiene viva nel suo cuore la fiamma della fede.
In questa stessa prospettiva, il Vescovo è uomo di speranza, perché «la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1). Specialmente quando il cammino del popolo si fa più faticoso, il Pastore, per virtù teologale, aiuta a non disperare: non a parole ma con la vicinanza. Quando le famiglie portano pesi eccessivi e le istituzioni pubbliche non le sostengono adeguatamente; quando i giovani sono delusi e nauseati di messaggi illusori; quando gli anziani e le persone con disabilità gravi si sentono abbandonati, il Vescovo è vicino e non offre ricette, ma l’esperienza di comunità che cercano di vivere il Vangelo in semplicità e in condivisione.
E così la sua fede e la sua speranza si fondono in lui come uomo di carità pastorale. Tutta la vita del Vescovo, tutto il suo ministero, così diversificato e multiforme, trova la sua unità in questo che Sant’Agostino chiama amoris officium. Qui si esprime e traspare al massimo grado la sua esistenza teologale. Nella predicazione, nelle visite alle comunità, nell’ascolto dei presbiteri e dei diaconi, nelle scelte amministrative, tutto è animato e motivato dalla carità di Gesù Cristo Pastore. Con la sua grazia, attinta quotidianamente nell’Eucaristia e nella preghiera, il Vescovo dà esempio di amore fraterno nei confronti del suo coadiutore o ausiliare, del Vescovo emerito e dei Vescovi delle diocesi vicine, dei suoi collaboratori più stretti come dei preti in difficoltà o ammalati. Il suo cuore è aperto e accogliente, e così è la sua casa.
Cari fratelli, questo è il nucleo teologale della vita del Pastore. Intorno ad esso, e sempre animate dallo stesso Spirito, vorrei collocare altre virtù indispensabili: la prudenza pastorale, la povertà, la perfetta continenza nel celibato e le virtù umane.
La prudenza pastorale è la sapienza pratica che guida il Vescovo nelle sue scelte, nel governare, nei rapporti con i fedeli e con le loro associazioni. Un chiaro segno della prudenza è l’esercizio del dialogo come stile e metodo nelle relazioni e anche nella presidenza degli organismi di partecipazione, cioè nella gestione della sinodalità nella Chiesa particolare. Su questo aspetto Papa Francesco ci ha fatto fare un grande passo avanti, insistendo, con saggezza pedagogica, sulla sinodalità come dimensione della vita della Chiesa. La prudenza pastorale permette al Vescovo anche di guidare la comunità diocesana sia valorizzando le sue tradizioni sia promuovendo nuove strade e nuove iniziative.
Per dare testimonianza al Signore Gesù, il Pastore vive la povertà evangelica. Ha uno stile semplice, sobrio e generoso, dignitoso e nello stesso tempo adeguato alle condizioni della maggior parte del suo popolo. Le persone povere devono trovare in lui un padre e un fratello, non sentirsi a disagio nell’incontrarlo o entrando nella sua abitazione. Egli è personalmente distaccato dalle ricchezze e non cede a favoritismi sulla base di esse o di altre forme di potere. Il Vescovo non deve dimenticare che, come Gesù, è stato unto di Spirito Santo e inviato a portare il lieto annuncio ai poveri (cfr Lc 4,18).
Insieme alla povertà effettiva, il Vescovo vive anche quella forma di povertà che è il celibato e la verginità per il Regno dei cieli (cfr Mt 19,12). Non si tratta solo di essere celibe, ma di praticare la castità del cuore e della condotta e così vivere la sequela di Cristo e offrire a tutti la vera immagine della Chiesa, santa e casta nelle membra come nel Capo. Egli dovrà essere fermo e deciso nell’affrontare le situazioni che possono dare scandalo ed ogni caso di abuso, specialmente nei confronti di minori, attenendosi alle attuali disposizioni.
Infine, il Pastore è chiamato a coltivare quelle virtù umane, che anche i Padri conciliari hanno voluto menzionare nel Decreto Presbyterorum Ordinis (n. 3) e che a maggior ragione sono di grande aiuto al Vescovo nel suo ministero e nelle sue relazioni. Possiamo menzionare la lealtà, la sincerità, la magnanimità, l’apertura della mente e del cuore, la capacità di gioire con chi gioisce e soffrire con chi soffre; e così pure il dominio di sé, la delicatezza, la pazienza, la discrezione, una grande propensione all’ascolto e al dialogo, la disponibilità al servizio. Anche queste virtù, delle quali ciascuno di noi è più o meno dotato per natura, possiamo e dobbiamo coltivarle in conformità a Gesù Cristo, con la grazia dello Spirito Santo.
Carissimi, l’intercessione della Vergine Maria e dei Santi Pietro e Paolo ottenga a voi e alle vostre comunità le grazie di cui avete più bisogno. In particolare, vi aiutino a essere uomini di comunione, a promuovere sempre l’unità nel presbiterio diocesano, e che ogni presbitero, nessuno escluso, possa sperimentare la paternità, la fraternità e l’amicizia del Vescovo. Questo spirito di comunione incoraggia i presbiteri nel loro impegno pastorale e fa crescere nell’unità la Chiesa particolare.
Vi ringrazio del vostro ricordo nella preghiera! E anch’io prego per voi e di cuore vi benedico.