A cura della Redazione
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L’ATTIVITÀ APOSTOLICA DEL SANTO PADRE
Il Santo Padre Leone XIV ha ricevuto ieri mattina in Udienza Mons. Giordano Piccinotti, S.D.B., Arcivescovo tit. di Gradisca, Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica;Mons. Jean-Marc Micas, P.S.S., Vescovo di Tarbes et Lourdes (Francia); i Vescovi Redentoristi e Scalabriniani; i partecipanti alla Plenaria della “Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali” (ROACO); i partecipanti alla Giornata Internazionale per la Lotta contro la Droga
Nel pomeriggio di ieri il Santo Padre ha presieduto la riunione con i Membri del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo ed ha saluto i partecipanti all’Incontro per Sacerdoti promosso dal Dicastero per il Clero.
Ai Vescovi Redentoristi e Scalabriniani il Santo Padre ha detto:
Sono contento di questo incontro, e trovo bella l’occasione che lo genera: la scelta di due Congregazioni religiose di incontrarsi e confrontarsi con quei confratelli di cui hanno fatto dono alla Chiesa nel Ministero episcopale. Si tratta di uno scambio che certamente arricchisce i Vescovi presenti, le vostre Comunità e tutto il Popolo di Dio, come insegna il Concilio Vaticano II (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 7; Congr. per i Rel. e gli Ist. Sec. – Cong. per i Vescovi, Criteri direttivi sui rapporti tra i Vescovi e i Religiosi nella Chiesa, 2).
La Chiesa è grata ai vostri Istituti, ai quali ha chiesto, con la nomina di Vescovi tra i loro membri, un sacrificio non indifferente in tempi di carenza di religiosi, per cui privarsi di confratelli impegnati nel servizio delle varie opere comporta non pochi problemi. Il Generale forse mi dirà qualcosa!… Al tempo stesso, però, ha fatto alle vostre Congregazioni un dono grandissimo, perché il servizio alla Chiesa universale è per qualsiasi Famiglia religiosa la grazia e la gioia più bella, come certamente confermerebbero i vostri Fondatori.
In particolare voi, religiosi scalabriniani e redentoristi, scelti e consacrati per il servizio dell’Episcopato e anche del Cardinalato, portate nel vostro ministero l’eredità di due carismi importanti, specialmente ai nostri giorni: il servizio ai migranti e l’evangelizzazione dei poveri e dei lontani.
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, entrando in contatto con la miseria dei quartieri più abbandonati della Napoli del Settecento, rinunciò a una vita agiata e a una carriera redditizia, abbracciando la missione di portare il Vangelo tra gli ultimi.
San Giovanni Battista Scalabrini, un secolo dopo, seppe sentire e fare proprie le speranze e le sofferenze di tante persone che partivano, lasciandosi tutto alle spalle, per cercare in Paesi lontani un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie.
Tutti e due furono Fondatori, diventarono Vescovi e seppero rispondere alle sfide di sistemi sociali ed economici che, se da una parte aprivano nuove frontiere a vari livelli, dall’altra si lasciavano alle spalle tanta miseria inascoltata e tanti problemi, creando sacche di degrado di cui nessuno sembrava volersi occupare.
Noi, in un momento storico che pure presenta grandi opportunità e al tempo stesso non manca di difficoltà e contraddizioni, celebrando il Giubileo della speranza vogliamo ricordare che, oggi come ieri, la voce da ascoltare per comprendere cosa fare è quella dell’«amore di Dio […] riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
Anche nel nostro mondo l’opera del Signore sempre ci precede: ad essa siamo chiamati a conformare le nostre menti e i nostri cuori attraverso un sapiente discernimento; e sono convinto che il confronto che avete promosso sarà molto utile a questo scopo. Vi incoraggio, perciò, a mantenere e a coltivare anche per il futuro questi rapporti di aiuto fraterno, con generosità e disinteresse, per il bene di tutto il Gregge di Cristo. Vi ringrazio per il grande lavoro che fate e vi benedico di cuore, insieme a tutte le vostre comunità. Grazie!
Ai Partecipanti alla Plenaria della “Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali” (ROACO) il Santo Padre ha detto:
Vi do il benvenuto, lieto di incontrarvi al termine della vostra Assemblea plenaria. Saluto Sua Eminenza il Cardinale Gugerotti, gli altri Superiori del Dicastero, gli Officiali e voi tutti, membri delle Agenzie della ROACO.
«Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). So che per voi sostenere le Chiese Orientali non è anzitutto un lavoro, ma una missione esercitata in nome del Vangelo che, come indica la parola stessa, è annuncio di gioia, che rallegra anzitutto il cuore di Dio, il quale non si lascia mai vincere in generosità. Grazie perché, insieme ai vostri benefattori, seminate speranza nelle terre dell’Oriente cristiano, mai come ora sconvolte dalle guerre, prosciugate dagli interessi, avvolte da una cappa di odio che rende l’aria irrespirabile e tossica. Voi siete la bombola di ossigeno delle Chiese Orientali, sfinite dai conflitti. Per tante popolazioni, povere di mezzi ma ricche di fede, siete una luce che brilla nelle tenebre dell’odio. Vi prego, col cuore in mano, di fare sempre tutto il possibile per aiutare queste Chiese, così preziose e provate.
La storia delle Chiese cattoliche orientali è stata spesso segnata dalla violenza subita; purtroppo non sono mancate sopraffazioni e incomprensioni pure all’interno della stessa compagine cattolica, incapace di riconoscere e apprezzare il valore di tradizioni diverse da quella occidentale. Ma oggi la violenza bellica sembra abbattersi sui territori dell’Oriente cristiano con una veemenza diabolica mai vista prima. Ne ha risentito pure la vostra sessione annuale, con l’assenza fisica di quanti sarebbero dovuti venire dalla Terra Santa, ma non hanno potuto intraprendere il viaggio. Il cuore sanguina pensando all’Ucraina, alla situazione tragica e disumana di Gaza, e al Medio Oriente, devastato dal dilagare della guerra. Siamo chiamati noi tutti, umanità, a valutare le cause di questi conflitti, a verificare quelle vere e a cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione. La gente non può morire a causa di fake news.
È veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza. Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni. Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può pensare di porre le basi del domani senza coesione, senza una visione d’insieme animata dal bene comune? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta? La gente è sempre meno ignara della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali si potrebbero costruire ospedali e scuole; e invece si distruggono quelli già costruiti!
E mi chiedo: da cristiani, oltre a sdegnarci, ad alzare la voce e a rimboccarci le maniche per essere costruttori di pace e favorire il dialogo, che cosa possiamo fare? Credo che anzitutto occorra veramente pregare. Sta a noi fare di ogni tragica notizia e immagine che ci colpisce un grido di intercessione a Dio. E poi aiutare, come fate voi e come molti fanno, e possono fare, attraverso di voi. Ma c’è di più, e lo dico pensando specialmente all’Oriente cristiano: c’è la testimonianza. È la chiamata a rimanere fedeli a Gesù, senza impigliarsi nei tentacoli del potere. È imitare Cristo, che ha vinto il male amando dalla croce, mostrando un modo di regnare diverso da quello di Erode e Pilato: uno, per paura di essere spodestato, aveva ammazzato i bambini, che oggi non cessano di essere dilaniati con le bombe; l’altro si è lavato le mani, come rischiamo di fare quotidianamente fino alle soglie dell’irreparabile. Guardiamo Gesù, che ci chiama a risanare le ferite della storia con la sola mitezza della sua croce gloriosa, da cui si sprigionano la forza del perdono, la speranza di ricominciare, il dovere di rimanere onesti e trasparenti nel mare della corruzione. Seguiamo Cristo, che ha liberato i cuori dall’odio, e diamo l’esempio perché si esca dalle logiche della divisione e della ritorsione. Vorrei ringraziare e idealmente abbracciare tutti i cristiani orientali che rispondono al male con il bene: grazie, fratelli e sorelle, per la testimonianza che date soprattutto quando restate nelle vostre terre come discepoli e come testimoni di Cristo.
Cari amici della ROACO, nel vostro lavoro voi vedete, oltre a molte miserie causate dalla guerra e dal terrorismo – penso al recente terribile attentato nella chiesa di sant’Elia a Damasco – anche fiorire germogli di Vangelo nel deserto. Scoprite il popolo di Dio che persevera volgendo lo sguardo al Cielo, pregando Dio e amando il prossimo. Toccate con mano la grazia e la bellezza delle tradizioni orientali, di liturgie che lasciano abitare a Dio il tempo e lo spazio, di canti secolari intrisi di lode, gloria e mistero, che innalzano un’incessante richiesta di perdono per l’umanità. Incontrate figure che, spesso nel nascondimento, vanno ad aggiungersi alle grandi schiere dei martiri e dei santi dell’Oriente cristiano. Nella notte dei conflitti siete testimoni della luce dell’Oriente.
Vorrei che questa luce di sapienza e di salvezza sia più conosciuta nella Chiesa cattolica, nella quale sussiste ancora molta ignoranza al riguardo e dove, in alcuni luoghi, la fede rischia di diventare asfittica anche perché non si è realizzato il felice auspicio espresso più volte da san Giovanni Paolo II, che 40 anni fa disse: «La Chiesa deve imparare di nuovo a respirare con i suoi due polmoni, quello orientale e quello occidentale» (Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali, 28 giugno 1985). Tuttavia, l’Oriente cristiano si può custodire solo se si ama; e si ama solo se si conosce. Occorre, in questo senso, attuare i chiari inviti del Magistero a conoscerne i tesori, ad esempio cominciando a organizzare corsi di base sulle Chiese Orientali nei Seminari, nelle Facoltà teologiche e nei centri universitari cattolici (cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen, 24; Congregazione per l’Educazione Cattolica, Lett. circ. Eu égard au développement, 9-14). E c’è bisogno pure di incontro e di condivisione dell’azione pastorale, perché i cattolici orientali oggi non sono più cugini lontani che celebrano riti ignoti, ma fratelli e sorelle che, a motivo delle migrazioni forzate, ci vivono accanto. Il loro senso del sacro, la loro fede cristallina, resa granitica dalle prove, e la loro spiritualità che profuma del mistero divino possono giovare alla sete di Dio latente ma presente in Occidente.
Affidiamo questa crescita comune nella fede all’intercessione della Tutta Santa Madre di Dio e degli Apostoli Pietro e Paolo, che hanno unito Oriente e Occidente. Io vi benedico e vi incoraggio a perseverare nella carità, animati dalla speranza di Cristo. Grazie!
Ai Partecipanti alla Giornata Internazionale per la Lotta contro la Droga il Santo Padre ha detto:
Cominciamo con il Segno della Croce: nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. La pace sia con voi! Benvenuti tutti e spero che il sole non sia troppo forte… Però Dio è grande e ci accompagnerà. Grazie per la vostra presenza! [Saluto del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Alfredo Mantovano, e testimonianza di Paola Clericuzio, della Comunità di San Patrignano]
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Ringrazio chi ha reso possibile questo incontro, che in molti modi ci porta al cuore del Giubileo, un anno di grazia in cui a tutti è riconosciuta la dignità troppe volte sminuita o negata. Speranza è una parola per voi ricca di storia: non è uno slogan, ma la luce ritrovata attraverso un grande lavoro. Desidero ripetervi, allora, quel saluto che cambia il cuore: la pace sia con voi! La sera di Pasqua Gesù ha salutato così i discepoli chiusi nel cenacolo. Lo avevano abbandonato, credevano di averlo perso per sempre, erano impauriti e delusi, qualcuno già se n’era andato. È però Gesù a ritrovarli, a venirli di nuovo a cercare. Entra a porte chiuse nel luogo dove sono come sepolti vivi. Porta la pace, li ricrea col perdono, soffia su di loro: infonde cioè lo Spirito Santo, che è il respiro di Dio in noi. Quando manca l’aria, quando manca l’orizzonte, la nostra dignità appassisce. Non dimentichiamo che Gesù risorto viene ancora e porta il suo respiro! Lo fa spesso attraverso le persone che vanno oltre le nostre porte chiuse e che, nonostante tutto quello che può essere successo, vedono la dignità che abbiamo dimenticato o che ci è stata negata.
Carissimi, la vostra presenza qui è una testimonianza di libertà. Ricordo che quando Papa Francesco entrava in un carcere, anche nel suo ultimo Giovedì Santo, si poneva sempre quella domanda: «Perché loro e non io?». La droga e le dipendenze sono una prigione invisibile che voi, in modi diversi, avete conosciuto e combattuto, ma siamo tutti chiamati alla libertà. Incontrandovi, penso all’abisso del mio cuore e di ogni cuore umano. È un salmo, cioè la Bibbia, a chiamare “abisso” il mistero che ci abita (cfr Sal 63,7). Sant’Agostino ha confessato che solo in Cristo l’inquietudine del suo cuore ha trovato pace. Noi cerchiamo la pace e la gioia, ne siamo assetati. E molti inganni ci possono deludere e persino imprigionare in questa ricerca.
Guardiamoci attorno, però. E leggiamo nei volti l’uno dell’altro una parola che mai tradisce: insieme. Il male si vince insieme. La gioia si trova insieme. L’ingiustizia si combatte insieme. Il Dio che ha creato e conosce ciascuno – ed è più intimo a me di me stesso – ci ha fatti per essere insieme. Certo, esistono anche legami che fanno male e gruppi umani in cui manca la libertà. Anche questi, però, si vincono solo insieme, fidandoci di chi non guadagna sulla nostra pelle, di chi possiamo incontrare e ci incontra con attenzione disinteressata.
La giornata di oggi, fratelli e sorelle, ci impegna in una lotta che non può essere abbandonata finché, attorno a noi, qualcuno sarà ancora imprigionato nelle diverse forme della dipendenza. Il nostro combattimento è contro chi fa delle droghe e di ogni altra dipendenza – pensiamo all’alcool o al gioco d’azzardo – il proprio immenso business. Esistono enormi concentrazioni di interesse e ramificate organizzazioni criminali che gli Stati hanno il dovere di smantellare. È più facile combattere le loro vittime. Troppo spesso, in nome della sicurezza, si è fatta e si fa la guerra ai poveri, riempiendo le carceri di coloro che sono soltanto l’ultimo anello di una catena di morte. Chi tiene la catena nelle sue mani, invece, riesce ad avere influenza e impunità. Le nostre città non devono essere liberate dagli emarginati, ma dall’emarginazione; non devono essere ripulite dai disperati, ma dalla disperazione. «Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!» (Francesco, Esort, ap. Evangelii gaudium, 210).
Il Giubileo ci indica la cultura dell’incontro come via alla sicurezza, ci chiede la restituzione e la redistribuzione delle ricchezze ingiustamente accumulate, come via alla riconciliazione personale e civile. «Come in cielo, così in terra»: la città di Dio impegna alla profezia nella città degli uomini. E questo – lo sappiamo – può portare anche oggi al martirio. La lotta al narcotraffico, l’impegno educativo tra i poveri, la difesa delle comunità indigene e dei migranti, la fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa sono in molti luoghi considerati sovversivi.
Cari giovani, voi non siete spettatori del rinnovamento di cui la nostra Terra ha tanto bisogno: siete protagonisti. Dio fa grandi cose con coloro che libera dal male. Un altro salmo, che i primi cristiani hanno tanto amato, dice: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo» (Sal 117,22). Gesù è stato rifiutato e crocifisso fuori dalle porte della sua città. Su di lui, pietra angolare su cui Dio ricostruisce il mondo, anche voi siete pietre di grande valore nell’edificio di una nuova umanità. Gesù che è stato rifiutato invita tutti voi e se vi siete sentiti scartati e finiti, ora non lo siete più. Gli errori, le sofferenze, ma soprattutto il desiderio di vita di cui siete portatori, vi rendono testimoni che cambiare è possibile.
La Chiesa ha bisogno di voi. L’umanità ha bisogno di voi. L’educazione e la politica hanno bisogno di voi. Insieme, su ogni dipendenza che degrada faremo prevalere la dignità infinita impressa in ciascuno. Tale dignità, purtroppo, a volte brilla solo quando è quasi del tutto smarrita. Allora sopravviene un sussulto e diventa chiaro che rialzarsi è questione di vita o di morte. Ebbene, oggi tutta la società ha bisogno di quel sussulto, ha bisogno della vostra testimonianza e del grande lavoro che state facendo. Tutti abbiamo, infatti, la vocazione ad essere più liberi e ad essere umani, la vocazione alla pace. È questa la vocazione più divina. Andiamo avanti insieme, allora, moltiplicando i luoghi di guarigione, di incontro e di educazione: percorsi pastorali e politiche sociali che comincino dalla strada e non diano mai nessuno per perso. E pregate anche voi, affinché il mio ministero sia a servizio della speranza delle persone e dei popoli, a servizio di tutti.
Vi affido alla guida materna di Maria Santissima. E di cuore vi benedico. Grazie!
Durante la riunione con i Membri del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo il Santo Padre ha detto:
Sono lieto di salutarvi in occasione della riunione del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.
Anche se non mi è possibile restare insieme a voi per tutto il pomeriggio, colgo volentieri questa opportunità per condividere un’idea che ritengo centrale, e poi per ascoltarvi nel tempo che mi è disponibile.
Papa Francesco ha dato un nuovo impulso al Sinodo dei Vescovi, rifacendosi, come più volte ha affermato, a San Paolo VI. E l’eredità che ci ha lasciato mi pare sia soprattutto questa: che la sinodalità è uno stile, un atteggiamento che ci aiuta ad essere Chiesa, promuovendo autentiche esperienze di partecipazione e comunione.
Durante il suo pontificato, Papa Francesco ha portato avanti questa concezione nelle diverse Assemblee sinodali, specialmente in quelle sulla famiglia, e poi l’ha fatta sfociare nell’ultimo percorso, dedicato proprio alla sinodalità.
Il Sinodo dei Vescovi conserva naturalmente la propria fisionomia istituzionale, e nello stesso tempo si arricchisce dei frutti maturati in questa stagione. E voi siete l’organismo deputato a raccogliere tali frutti e a fare una riflessione prospettica. Vi incoraggio in questo lavoro, prego che sia proficuo e fin da ora ve ne sono grato.
Ai Partecipanti all’Incontro per Sacerdoti promosso dal Dicastero per il Clero il Papa ha detto:
Cominciamo con il Segno della Croce, perché siamo tutti qui perché Cristo che è morto e risuscitato, ci ha dato la vita e ci ha chiamati a servire. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La pace sia con voi!
[Saluto del Cardinale Lazzaro You Heung-sik, Prefetto del Dicastero per il Clero]
Carissimi fratelli nel sacerdozio, queridos hermanos, dear brothers priests,
Carissimi formatori, seminaristi, animatori vocazionali, amici nel Signore!
È per me una grande gioia trovarmi oggi qui con voi. Nel cuore dell’Anno Santo, insieme vogliamo testimoniare che è possibile essere sacerdoti felici, perché Cristo ci ha chiamati, Cristo ci ha fatti suoi amici (cfr Gv 15,15): è una grazia che vogliamo accogliere con gratitudine e responsabilità.
Desidero ringraziare il Cardinale Lazzaro e tutti i collaboratori del Dicastero per il Clero per il loro servizio generoso e competente: un lavoro vasto e prezioso, che si svolge spesso nel silenzio e nella discrezione e che produce frutti di comunione, di formazione e di rinnovamento.
Con questo momento di scambio fraterno, uno scambio internazionale, possiamo valorizzare il patrimonio di esperienze già maturate, incoraggiando creatività, corresponsabilità e comunione nella Chiesa, affinché ciò che è seminato con dedizione e generosità in tante comunità possa diventare luce e stimolo per tutti.
Le parole di Gesù «Vi ho chiamato amici» (Gv 15,15) non sono soltanto una dichiarazione affettuosa verso i discepoli, ma una vera e propria chiave di comprensione del ministero sacerdotale. Il sacerdote, infatti, è un amico del Signore, chiamato a vivere con Lui una relazione personale e confidente, nutrita dalla Parola, dalla celebrazione dei Sacramenti, dalla preghiera quotidiana. Questa amicizia con Cristo è il fondamento spirituale del ministero ordinato, il senso del nostro celibato e l’energia del servizio ecclesiale cui dedichiamo la vita. Essa ci sostiene nei momenti di prova e ci permette di rinnovare ogni giorno il “sì” pronunciato all’inizio della vocazione.
In particolare, carissimi, da questa Parola-chiave vorrei ricavare tre implicazioni per la formazione al ministero sacerdotale.
Anzitutto, la formazione è un cammino di relazione. Diventare amici di Cristo significa essere formati nella relazione, non solo nelle competenze. La formazione sacerdotale, pertanto, non può ridursi ad acquisizione di nozioni, ma è un cammino di familiarità con il Signore che coinvolge l’intera persona, cuore, intelligenza, libertà, e la plasma a immagine del Buon Pastore. Solo chi vive in amicizia con Cristo ed è permeato del suo Spirito può annunciare con autenticità, consolare con compassione e guidare con sapienza. Questo richiede ascolto profondo, meditazione, e una ricca e ordinata vita interiore.
In secondo luogo, la fraternità è uno stile essenziale di vita presbiterale. Diventare amici di Cristo comporta vivere da fratelli tra sacerdoti e tra vescovi, non come concorrenti o da individualisti. La formazione deve allora aiutare a costruire legami solidi nel presbiterio come espressione di una Chiesa sinodale, nella quale si cresce insieme condividendo fatiche e gioie del ministero. Come, infatti, noi ministri potremmo essere costruttori di comunità vive, se non regnasse prima di tutto fra noi una effettiva e sincera fraternità?
Inoltre, formare sacerdoti amici di Cristo significa formare uomini capaci di amare, ascoltare, pregare e servire insieme. Per questo bisogna mettere ogni cura nella preparazione dei formatori, perché l’efficacia della loro opera dipende anzitutto dall’esempio di vita e dalla comunione fra loro. L’istituzione stessa dei Seminari ci ricorda che la formazione dei futuri ministri ordinati non si può svolgere in maniera isolata, ma richiede il coinvolgimento di tutti gli amici e le amiche del Signore che vivono da discepoli missionari a servizio del Popolo di Dio.
In proposito, vorrei dire una parola anche sulle vocazioni. Nonostante i segnali di crisi che attraversano la vita e la missione dei presbiteri, Dio continua a chiamare e resta fedele alle sue promesse. Occorre che ci siano spazi adeguati per ascoltare la sua voce. Per questo sono importanti ambienti e forme di pastorale giovanile impregnati di Vangelo, dove possano manifestarsi e maturare le vocazioni al dono totale di sé. Abbiate il coraggio di proposte forti e liberanti! Guardando ai giovani che in questo nostro tempo dicono il loro generoso “eccomi” al Signore, sentiamo tutti il bisogno di rinnovare il nostro “sì”, di riscoprire la bellezza di essere discepoli missionari alla sequela di Cristo, il Buon Pastore.
Carissimi, celebriamo questo incontro alla vigilia della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù: è da questo “roveto ardente” che prende origine la nostra vocazione; è da questa fonte di grazia che vogliamo lasciarci trasformare.
L’Enciclica di Papa Francesco Dilexit nos, se è un dono prezioso per tutta la Chiesa, lo è in modo speciale per noi sacerdoti. Essa ci interpella fortemente: ci chiede di custodire insieme la mistica e l’impegno sociale, la contemplazione e l’azione, il silenzio e l’annuncio. Il nostro tempo ci provoca: molti sembrano essersi allontanati dalla fede, eppure nel profondo di molte persone, specialmente dei giovani, c’è sete di infinito e di salvezza. Tanti sperimentano come un’assenza di Dio, eppure ogni essere umano è fatto per Lui, e il disegno del Padre è fare di Cristo il cuore del mondo.
Per questo vogliamo ritrovare insieme lo slancio missionario. Una missione che propone con coraggio e con amore il Vangelo di Gesù. Mediante la nostra azione pastorale, è il Signore stesso che si prende cura del suo gregge, raduna chi è disperso, si china su chi è ferito, sostiene chi è scoraggiato. Imitando l’esempio del Maestro, cresciamo nella fede e diventiamo perciò testimoni credibili della vocazione che abbiamo ricevuto. Quando uno crede, si vede: la felicità del ministro riflette il suo incontro con Cristo, sostenendolo nella missione e nel servizio.
Cari fratelli nel sacerdozio, grazie a voi che siete venuti da lontano! Grazie a ciascuno per la dedizione quotidiana, specialmente nei luoghi di formazione, nelle periferie esistenziali e nei luoghi difficili, a volte pericolosi. Mentre ricordiamo i sacerdoti che hanno donato la vita, anche fino al sangue, rinnoviamo oggi la nostra disponibilità a vivere senza riserve un apostolato di compassione e di letizia.
Grazie per ciò che siete! Perché ricordate a tutti che è bello essere sacerdoti, e che ogni chiamata del Signore è anzitutto una chiamata alla sua gioia. Non siamo perfetti, ma siamo amici di Cristo, fratelli tra di noi e figli della sua tenera Madre Maria, e questo ci basta.
Rivolgiamoci al Signore Gesù, al suo Cuore misericordioso che arde d’amore per ogni persona. Chiediamogli la grazia di essere discepoli missionari e pastori secondo la sua volontà: cercando chi è smarrito, servendo chi è povero, guidando con umiltà chi ci è affidato. Sia il suo Cuore a ispirare i nostri piani, a trasformare i nostri cuori, e a rinnovarci nella missione. Vi benedico con affetto e prego per tutti voi.
[Un sacerdote chiede al Santo Padre se può abbracciarlo]
Se è uno per tutti! Perché dopo anche gli altri vogliono! Siete d’accordo? [i sacerdoti rispondono: Sì!] Uno per tutti! Allora, uno per tutti!
[in spagnolo] Alzi la mano chi viene dall’America Latina!
[in inglese] Quanti vengono dall’Africa?… Quanti dall’Asia?… Dall’Europa?… Dagli Stati Uniti?…
[arriva quel sacerdote, si presenta e abbraccia il Santo Padre]
In rappresentanza di tutti i presenti in questo momento.
[in spagnolo] Per concludere, proponiamo un momento di preghiera. [in italiano] Un momento molto breve, però quello che ho detto prima nelle parole, quanto è importante! Voglio sottolineare l’importanza della vita spirituale del sacerdote. Tante volte quando abbiamo bisogno di aiuto, cercate un buon “accompagnatore”, un direttore spirituale, un buon confessore. Nessuno qui è solo. E anche se stai lavorando nella missione più lontana, non sei mai solo! Cercate di vivere quello che Papa Francesco tante volte chiamava la “vicinanza”: vicinanza con il Signore, vicinanza con il vostro Vescovo, o Superiore religioso, e vicinanza anche fra di voi, perché voi davvero dovete essere amici, fratelli; vivere questa bellissima esperienza di camminare insieme sapendo che siamo chiamati ad essere discepoli del Signore. Abbiamo una grande missione e tutti insieme lo possiamo fare. Contiamo sempre sulla grazia di Dio, la vicinanza anche da parte mia, e insieme possiamo essere davvero questa voce nel mondo. Grazie!
Allora, preghiamo insieme: Padre nostro…
E a Maria nostra Madre, diciamo: Ave Maria…
[Benedizione]
Auguri a tutti voi! Dio vi benedica sempre!