13 Luglio 2025

Sigfrido Ranucci vale più degli altri dipendenti RAI?

di Angelica La Rosa 

“DURA LEX, SED LEX” ANCHE PER SIGFRIDO RANUCCI O NO?

Nel polverone mediatico sollevato dal presunto procedimento disciplinare a carico di Sigfrido Ranucci, una cosa è certa: la legge, per quanto possa sembrare severa, vale per tutti. Anche per i più noti, per i più amati, per i simboli del giornalismo d’inchiesta. È il principio latino del dura lex, sed lex: la legge è dura, ma è pur sempre la legge. E in un’azienda pubblica come la Rai, non è un principio negoziabile.

È lo stesso comunicato dell’azienda a chiarire che non vi è stata alcuna sanzione disciplinare. Nessuna punizione. Soltanto il richiamo – doveroso – alle regole interne in materia di rapporti con altri organi d’informazione.

Ranucci non è stato “colpito” né “censurato”, come gridano in coro alcuni commentatori sinistrorsi. Gli è stato semplicemente ricordato ciò che ogni giornalista Rai sa bene: le comparsate su emittenti concorrenti o le interviste su temi sensibili richiedono una preventiva autorizzazione. E questo non per zittire, ma per tutelare l’identità e la credibilità del servizio pubblico.

Non è questione di imbavagliare l’articolo 21 della Costituzione – che garantisce la libertà di espressione – ma di rispettare il contratto professionale che ogni dipendente Rai firma. Ranucci non è un battitore libero. È vicedirettore ad personam, con responsabilità elevate e visibilità pubblica. Difendere Report e presentare il proprio libro sono azioni legittime, ma se svolte nello spazio mediatico, devono attenersi alle regole comuni.

La narrazione eroica dell’“intimidazione” e della “censura” fa comodo a chi vuole dipingere una Rai sotto assedio. Ma non regge. La stessa lettera pubblicata da Ranucci sui social – atto singolare per chi denuncia interferenze e poi le mette in piazza – è una conferma: l’azienda ha agito nella piena trasparenza e nel rispetto delle forme.

Chi invoca l’Europa e il Media Freedom Act dovrebbe ricordare che autonomia editoriale non equivale a anarchia aziendale. La libertà di stampa è sacra, ma richiede anche rigore. In un contesto già teso, con l’informazione spesso polarizzata, alimentare lo scontro istituzionale non serve a nessuno. Né alla Rai, né al giornalismo italiano.

Sigfrido Ranucci è un professionista stimato, ma non è al di sopra delle regole. E se davvero, come afferma con fierezza, è pronto ad “accettare con orgoglio” eventuali richiami per aver difeso la libertà di stampa, dovrebbe allora accettare anche con serenità il principio che la legge è uguale per tutti. Anche per lui.

Perché la coerenza, come il giornalismo, si misura nei dettagli. E nella lealtà verso le istituzioni che si dice di voler servire.

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