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UNA VITTORIA PER IL DIRITTO NATURALE E LA RESPONSABILITÀ EDUCATIVA
In una società sempre più segnata dall’ingerenza ideologica dello Stato nell’ambito familiare, la recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti rappresenta una svolta storica e, per molti, un soffio di libertà nel cuore dell’Occidente. Con sei voti a favore contro tre, i giudici supremi hanno riconosciuto il diritto dei genitori cristiani e musulmani del Maryland a far esonerare i propri figli dalle lezioni scolastiche contenenti contenuti LGBTQ, che contrastano con le loro convinzioni religiose. Si tratta di una sentenza che va ben oltre il caso singolo: essa riafferma, con vigore e chiarezza, che i figli non appartengono allo Stato.
Per secoli, il diritto naturale e la saggezza dei popoli hanno riconosciuto il ruolo primario dei genitori nell’educazione dei figli. Questo principio non è un’opinione religiosa né una posizione ideologica, ma un fondamento antropologico: la famiglia è la prima cellula della società, il luogo naturale dove il bambino cresce, apprende e si forma nella verità e nella libertà. L’idea che lo Stato possa sostituirsi a questa funzione, imponendo dall’alto contenuti pedagogici ideologici, è propria dei regimi totalitari, non delle democrazie liberali.
Eppure, negli ultimi anni, una parte crescente del sistema educativo statunitense – e occidentale in genere – ha cercato di affermare una sorta di “monopolio culturale”, dove tutto ciò che non è conforme alla nuova ortodossia progressista viene marginalizzato, silenziato o, peggio, obbligatoriamente inculcato ai bambini. L’inserimento di fiabe con personaggi LGBTQ nelle scuole elementari, rivolte a bambini di sei o sette anni, non è una semplice “educazione all’inclusione”: è un’operazione di ingegneria sociale, un tentativo di plasmare la coscienza morale dei più piccoli bypassando completamente la volontà dei genitori.
La Corte Suprema, con questa decisione, ha ricordato che i genitori non sono “ostacoli al progresso” né “retrogradi ignoranti”, ma i primi responsabili e custodi dell’educazione morale e religiosa dei propri figli. Il fatto che siano stati riconosciuti in questa causa genitori sia cristiani che musulmani dimostra che non si tratta di una questione confessionale, ma di un principio universale condiviso da ogni civiltà: nessun potere politico può sostituirsi al cuore e alla coscienza dei genitori nella formazione dei propri figli.
Va detto con fermezza: i bambini non devono essere campo di battaglia ideologico per alcuna fazione. La scuola pubblica, se vuole restare tale, deve essere uno spazio di conoscenza, non di indottrinamento. Il pluralismo culturale non si costruisce forzando tutti a pensare allo stesso modo, ma riconoscendo le differenze, anche quelle valoriali e religiose, come parte della ricchezza comune. La tolleranza non è l’imposizione di un’unica visione, ma la capacità di convivere rispettando i confini e le competenze reciproche.
Questa sentenza è anche un importante baluardo in difesa della libertà religiosa. Quando lo Stato obbliga un bambino ad assistere a contenuti che contraddicono i princìpi morali e spirituali insegnati in famiglia, viola non solo i diritti dei genitori, ma anche la libertà di coscienza del minore stesso. La libertà religiosa non è solo il diritto di professare un culto, ma anche quello di vivere secondo le proprie convinzioni nella sfera pubblica, senza essere discriminati o costretti al silenzio.
Infine, va ribadito un principio troppo spesso dimenticato: i bambini devono essere lasciati crescere nella loro innocenza. C’è un’età per tutto. Esporre alunni delle scuole elementari a temi di identità sessuale e orientamento affettivo significa precocizzare forzatamente una dimensione che dovrebbe maturare naturalmente, nel tempo e nel rispetto della sensibilità di ciascuno. L’infanzia non è un laboratorio sociale.
Questa vittoria non deve diventare un alibi per abbassare la guardia, ma un invito alla vigilanza. I genitori devono riscoprire la propria vocazione educativa, partecipare attivamente alla vita scolastica, dialogare con i docenti e, quando necessario, far valere i propri diritti nelle sedi opportune. Lo stesso vale per le comunità religiose e civili: è tempo di ricostruire un fronte culturale che difenda la libertà educativa, la centralità della famiglia e il rispetto dell’infanzia.
La decisione della Corte Suprema ci ricorda che, anche in tempi di grande confusione, la verità può ancora trovare voce nelle istituzioni. È una luce di speranza per quanti credono che la libertà non consista nell’imposizione delle mode del momento, ma nel rispetto della legge morale, del buonsenso e del diritto naturale. Ed è una chiamata per ciascuno di noi: a resistere, a educare, a custodire ciò che ci è più caro. I nostri figli.
La questione scolastica e la liberta’per cio’ che concerne l’ educazione la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ottenuto un ottimo risultato, la libertà ai genitori di decidere nelle scuole e quali scelte fare e quali opzioni respingere;
ma per ciò che riguarda invece l’Italia ?come siamo messi ..??c’e’ anche per noi questa liberta’ di scelta? …perché nei programmi scolastici educativi delle scuole italiane sono anni che l’ infilteazione LGBT Q..opera … una generando confusione e purtroppo mi sembra anche rassegnazione, la dove non ci sono famiglie particolarmente preparate o lasciate isolate , comunque una scuola pubblica non puo’ fare da padrona sui bambini e ragazzi , i figli giustamente non sono prodotto dello Stato ma frutto dei genitori, cioe’ di una famiglia! Punto!
Sono i genitori i responsabili primi a cui si deve fare riferimento. Non siamo in un regime dittatoriale. Ed e’ giusto che coloro che vengono da famiglie che hanno un credo religioso si dissocino!
Noi abbiamo i giudici color rosso, invece !