di Angelica La Rosa
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L’UNGHERIA NON SI ARRENDE AL PENSIERO UNICO
Budapest, 28 giugno 2025. La città è invasa: non da carri armati, ma da carri allegorici. Non da una resistenza eroica, ma da un’ideologia urlante che pretende di farsi verità assoluta. Mentre l’Europa reale – quella che lavora, cresce figli, paga tasse e vorrebbe vivere in pace – viene ignorata, un piccolo bastione di razionalità resiste: l’Ungheria di Viktor Orbán.
Sì, proprio lui: il bersaglio preferito dei tweet indignati di Schlein, Calenda, Renew, Verdi, Socialisti & Co. Quelli che “non puoi vietare l’amore per legge”, ma che ti chiuderebbero la bocca se solo provassi a dire che forse i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre. Che parlano di “libertà”, ma poi ti multano se osi pensare con la tua testa. Che sventolano arcobaleni, ma detestano ogni sfumatura che esca dalla loro monocromia ideologica.
Budapest ha detto basta. Basta all’imposizione culturale travestita da diritti civili. Basta al ricatto morale per cui, se non partecipi al Pride, sei automaticamente “fascista”, “bigotto”, “omofobo”. Basta a una UE che si comporta come una centrale rieducativa: o accetti il dogma Lgbtq+, o sei fuori dai giochi.
E così, mentre Schlein canta “Bella ciao” nel cuore di una nazione che non le ha chiesto nulla – forse sperando che la canzone possa legittimare anche le sue contraddizioni interne – migliaia di ungheresi silenziosi guardano sfilare il circo colorato e si domandano: “ma questi sarebbero i paladini della democrazia?”.
E la destra ungherese? Presente, compatta e dignitosa. Blocca con le auto, sì, ma un ponte: simbolico. Lo fa per dire che c’è un altro modo di concepire la convivenza sociale. Dove l’identità non è un’opzione a pagamento, ma una verità biologica. Dove la libertà di manifestare non è la libertà di imporsi sugli altri con un codice morale posticcio e flessibile, a seconda del vento progressista.
E intanto, i soliti italiani… Schlein col pugno chiuso, Calenda col tweet indignato e una manciata di europarlamentari col senso della “missione universale”. Come se il mondo aspettasse loro per essere salvato dal “medioevo” ungherese. Peccato che il loro “medioevo” sia in casa propria: una società liquefatta, con le culle vuote e i licei pieni di “educazione fluida”.
Il governo ungherese non ha vietato l’amore. Ha difeso l’ordine. Sì, quell’ordine naturale che ha garantito per millenni la continuità delle civiltà. Che non odia nessuno, ma che rifiuta di essere ridicolizzato. Che non multa per l’orientamento sessuale, ma rifiuta che esso diventi strumento di militanza ideologica nelle strade.
L’Europa, se vuole salvarsi, non deve estendere il Pride. Deve estendere il buon senso. E magari ascoltare anche chi, come Viktor Orbán e gli ungheresi che oggi resistono pacificamente, crede ancora che la verità non sia soggetta ai colori della moda.