di Angelica La Rosa
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RISPONDIAMO PUNTO PER PUNTO ALLE ERESIE SULLA FESTA DI OGGI
In occasione della festadeiSantiPietroePaolo oggi, nelle chiese italiane, da parte dei sacerdoti progressisti e modernisti ne sentirete di tutti i colori.
Infatti, con le loro omelie cercheranno, quando andrà bene, il primato petrino, e le figure eroiche post pasquali di Pietro e Paolo.
Sentirete dire così, tanto per fare qualche esempio, che “il Vangelo è esperienza e racconto di una persona, non esposizione di un’idea”, che “essere cristiani non significa essere ortodossi (credere rettamente ad una dottrina) ma vivere l’ortoprassi, ovvero ciò che Gesù ha detto e fatto”. Sentirete anche dire che i “religiosi risponderanno – come sempre – con ‘verità’ dogmatiche e assolute: le professioni di fede, le affermazioni dei Catechismi, aderendo agli insegnamenti del magistero, ma in fondo questo è il modo migliore per non lasciarsi toccare la vita, non essere disturbati, non sporcarsi le mani. I religiosi son coloro che pensano di conoscere Dio nella misura in cui lo ‘pensano’, come presumere di dissetarsi pensando la formula dell’acqua”.
Ancora, sentirete dire che “essere cristiani significa giocarsi la vita in ciò che lui ha indicato come il segreto della felicità, o se vogliamo come salvezza: impegnarsi per la giustizia, la pace, la tolleranza e la libertà degli umani”.
Dai più progressisti sentirete anche dire che “Gesù non ha mai fatto catechesi su Dio, ma l’ha reso presente, l’ha incarnato nella sua persona solidarizzando con gli ultimi” o, a proposito del “A te darò le chiavi del regno dei cieli” che “regno dei cieli” in Matteo “non significa l’aldilà, ma la società alternativa che Gesù è venuto ad inaugurare. Queste chiavi non sono come poi nell’immaginario è diventato Pietro con le chiavi che apre e chiude, non sono quello, qual è il significato delle chiavi? Colui al quale venivano date le chiavi della città era il responsabile della salute e del benessere delle persone che ci stavano dentro”.
oppure che Gesù usa un’espressione tipica dei rabbini: “Ci mette al primo posto l’oggetto della creazione, il bene, il benessere dell’uomo l’insegnamento di questa comunità è avallato dal cielo.
Come rispondere a tutte queste eresie?
“Il Vangelo è esperienza e racconto di una persona, non esposizione di un’idea, per cui essere cristiani non significherà essere ortodossi […] ma vivere l’ortoprassi […]”. Questa affermazione è sbagliata nella sua opposizione tra ortodossia (la retta dottrina) e ortoprassi (la retta condotta). Il Vangelo è contemporaneamente annuncio dottrinale e proposta di vita: è la Verità che salva (cf. Gv 8,32), non una vaga “esperienza”.
La Chiesa ha sempre insegnato che la fede senza la retta dottrina è illusione spirituale. San Paolo ammonisce: “Se anche noi o un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema” (Gal 1,8).
“Ciò che chiamiamo Dio, non è un’idea da definire o da credere, ma piuttosto vita da viversi.” Anche questa è una forma di panteismo esistenziale o teologia fluida, dove Dio viene ridotto a un “esperienza di vita”. No! Dio è il Dio vivente e personale, Uno e Trino, che si è rivelato nella storia e si è fatto conoscere anche intellettualmente, mediante la fede razionale e i dogmi. Negare che Dio sia “da credere” è un rifiuto della Rivelazione stessa.
Come insegna il Concilio Vaticano I: “La fede è un assenso razionale alla verità rivelata da Dio, che non può ingannarsi né ingannare.”
“I religiosi risponderanno con ‘verità’ dogmatiche e assolute […] ma in fondo questo è il modo migliore per non lasciarsi toccare la vita…”.
Questa affermazione è gravemente offensiva verso la Chiesa, i religiosi e i fedeli che custodiscono la dottrina. Essa è un attacco alla dimensione dogmatica della fede, vista come rigida o fredda.
In realtà, è proprio il dogma a custodire e garantire l’integrità della verità cristiana. I Santi (religiosi o no), da san Tommaso d’Aquino a santa Teresa d’Avila, hanno vissuto intensamente la fede proprio perché fondata sulla Verità di Dio. La fede senza dogma diventa sentimentalismo religioso.
“Essere cristiani significa piuttosto giocarsi la vita […] per la giustizia, la pace, la tolleranza e la libertà degli umani.”
Questo è umanesimo secolarizzato mascherato da cristianesimo. Certamente la fede si traduce in opere, ma non si riduce a un attivismo sociale.
La salvezza eterna non si raggiunge con la sola “tolleranza” o “giustizia”, ma mediante la fede in Cristo, la conversione, i Sacramenti, la preghiera e l’adesione alla Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Cristo è venuto per salvare l’uomo dal peccato (cf. Mt 1,21), non solo per migliorarne le condizioni sociali.
“Gesù non ha mai fatto catechesi su Dio, ma l’ha incarnato solidarizzando con gli ultimi.” Anche questo è falso. Gesù ha annunciato il Regno di Dio, ha spiegato le Scritture (cf. Lc 24,27), ha insegnato nelle sinagoghe e nel Tempio (cf. Gv 18,20), ha trasmesso una dottrina ben precisa (“Chi ascolta voi, ascolta Me” – Lc 10,16).
Il Signore è Maestro e Verbo incarnato, non un semplice “solidale con gli ultimi”. La Sua missione è soteriologica, non solo etico-sociale.
“Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). “A te darò le chiavi del Regno dei cieli” (v. 19). Questi versi significano potere di governo e di magistero, come riconosciuto da tutta la Tradizione cattolica. Il Catechismo insegna: “Il Papa, Vescovo di Roma e successore di san Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità della Chiesa” (CCC 882). Sostenere che “le chiavi” non riguardino l’autorità spirituale è protestantesimo travestito da esegesi.
“Il Regno dei cieli in Matteo non significa l’aldilà, ma la società alternativa che Gesù è venuto ad inaugurare.”
Anche questo è errato. Il Regno dei Cieli ha una dimensione presente e futura, spirituale e escatologica. Non è solo un cambiamento sociale, ma è partecipazione alla vita divina, già ora e in pienezza nella vita eterna. Ridurre il Regno a “società alternativa” è una banalizzazione immanentista e mondana del Vangelo.
“Un Dio che non faccia fiorire l’umano non merita che ad esso ci dedichiamo.” Questa frase, presa da Bonhoeffer, è teologicamente ambigua e potenzialmente blasfema: Dio non deve “meritare” la nostra dedizione! È l’uomo che deve adorare Dio, non il contrario. Dio è degno di culto perché è Dio, non perché ci “fa fiorire”. L’antropocentrismo è qui portato al culmine, rovesciando il primato teocentrico.
In conclusione, non si può negare la verità dogmatica e il Magistero, non si può dissolvere la figura di Gesù in un’esperienza solo soggettiva, non si può svuotare il significato ecclesiale e sacramentale della Chiesa, non si può contrapporre fede e dottrina, non si può negare l’autorità petrina, non si può sminuire la salvezza a un progetto sociale.
Chi ama davvero Cristo e la Chiesa non può accettare tali interpretazioni deviate e pericolose. Solo nella Tradizione viva della Chiesa e nella fedeltà al Magistero si trova la salvezza, la verità e la vita.
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E su questa fede la Chiesa sta salda, sino alla fine dei tempi.