di Alfredo Villa
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EUTANASIA, TENTAZIONE E PECCATO
D. P., malato di una grave forma di Parkinson, si è tolto la vita il 17 maggio usufruendo di una Legge Regionale che glielo consentiva. Tutto porta a credere, inoltre che a breve, vi sarà una Legge dello Stato sul “fine vita”, come del resto ve ne sono già altre su altri temi eticamente sensibili.
La storia dell’uomo, che è essenzialmente storia di Salvezza, è sempre stata caratterizzata dalla presenza dalla tentazione quasi che quest’ultima sia una condizione necessaria, se non un’opportunità, affinché l’uomo impari a scegliere consapevolmente tra il bene ed il male, tra la Grazia ed il peccato.
Se esiste la tentazione, ovviamente vi è un tentatore, che, in prima persona o molto più spesso attraverso inconsapevoli collaboratori, ha come fine il promuove continuamente ogni tentazione immaginabile. Lo scopo della tentazione, che del resto è lo scopo del Tentatore, è indurre l’uomo a peccare per separarlo da Dio e, di riflesso, implicitamente portarlo a sé.
È eccezionalmente raro, per fortuna, che l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, voglia coscientemente separarsi da Lui e quindi affinché questo avvenga, il tentatore deve forzatamente ricorrere alla menzogna. La modalità classica della tentazione, quindi, è provare a far apparire buono, razionale, vantaggioso e quando serve, legale, ciò che in realtà non lo è. Il nutrimento primo della tentazione è la mistificazione della verità, affinché l’uomo allontanandosi da quest’ultima, si allontani, di fatto, anche da Dio.
Nessuno ed in nessuna circostanza è esente dalle tentazioni. Né l’uomo nel Paradiso Terrestre, né Gesù nel deserto, nel Getsemani e sulla Croce. La tentazione più grande è, tra tutte, la mistificazione di cosa realmente sia la libertà dell’uomo e quindi le tentazioni che chiamano in causa le libertà personali, sono forzatamente le più pericolose e le più difficili da contrastare, perché prendono il dono più grande di Dio, dopo la vita, ovvero la libertà, per dare a quest’ultima una nuova, perversa, interpretazione.
L’eutanasia, quindi, rappresenta la peggiore delle tentazioni possibili, perché contemporaneamente, mistifica e stravolge due verità che sono i doni più preziosi di Dio all’uomo, ovvero la vita e la libertà. Se, sull’eutanasia, i cristiani e la Chiesa si limitassero a dire questo, avrebbero ampiamente adempiuto al loro compito di collaboratori della Verità. Basterebbe quindi dire con chiarezza che, qualsiasi legge, anche la migliore, che consenta la morte assistita e medicalizzata, è essenzialmente e soprattutto una pericolosissima tentazione e che, per la sua stessa natura, tenderà a favorire il compiersi di numerosi e gravi peccati.
Questo non implica che tale legge non debba esserci, o che debba essere contrastata per principio, ma semplicemente che tale legge deve essere considerata e definita dai cristiani, per ciò che è, ovvero una tentazione grandissima e pericolosa, una possibilità di peccato grave offerta all’uomo, ed è un’aggravante, ad un uomo sofferente e fragile, atta ad indurlo, per disperazione, a cedere, anche comprensibilmente, a tale tentazione, a desiderare ed a darsi la morte.
È compito dei cristiani e della Chiesa semplicemente rendere attento chi soffre, sia sulla natura specifica e perversa di tale tentazione, che sulle conseguenze gravissime, che il cedere a tale tentazione comporta. Se questo fosse chiaro ad ogni cristiano e la Chiesa presentasse tale tematica in questi semplici termini, ovvero chiamando le cose con il loro nome, ovvero Eutanasia= tentazione e peccato, con poche frasi avrebbe esaurito in modo definitivo ed esaustivo l’argomento, senza lasciare spazio a quel, “di più” così pericoloso. (Mt. 5,37)
Il fatto che uno Stato stabilisca delle norme su ogni possibile argomento, tra cui il fine vita dei cittadini, non deve sorprendere. Il fatto che spesso tali norme non siano di per sé sbagliate e riducano disagi, sofferenze, abusi e quant’altro è possibile. Il fatto che l’uomo ritenga di disporre di alcune liberà personali per quanto riguarda sé stesso ed il suo corpo mi pare comprensibile. Lo Stato, inoltre, non è chiamato ad analizzare gli aspetti trascendenti, misteriosi ed eterni che le sue leggi hanno sulle anime degli uomini.
A tale compito escatologico, Cristo ha chiamato la Chiesa ed i cristiani. La Chiesa non è chiamata quindi a dialogare, esprimersi, prendere posizione e negoziare il maggior bene ed il minor male possibile, non è il suo fine cambiare, né il mondo, né influire ed intervenire sulle scelte legislative che il mondo decide di darsi. Di conseguenza, dovrebbe semplicemente evitare di comportarsi da stakeholder, da controparte. La Chiesa è chiamata a cambiare il cuore dell’uomo e, come promesso, il resto verrà di conseguenza ed in abbondanza (Mt. 6,33). Il mandato divino, che è il proclamare la Verità Rivelata affinché il cuore di ogni uomo si converta a Cristo, è sufficiente per rendere possibile una gioia piena, già qui ed ora e che tale gioia consolatoria è sufficiente per compensare e rendere sopportabile qualsiasi sofferenza, sofferenza che, se vissuta per Cristo, con Cristo ed in Cristo, non porterà a richiederne la sua abbreviazione.
La vittoria di Cristo sulla sofferenza e la morte, può essere quindi attualizzata e resa reale per l’uomo solo attraverso la conversione del cuore ed è solo un cuore convertito che può, vincendo le tentazioni, combattere il peccato e le sue conseguenze. Senza l’offrire la proposta di conversione all’Amore e senza l’impegno personale di ogni cristiano affinché questa sia resa possibile, venga offerta ed avvenga nel fratello che soffre, l’opporsi all’eutanasia è una richiesta troppo onerosa ed oltretutto sembra che la si faccia cadere dall’alto su chi vive una sofferenza tale da desiderare la propria morte (Mt. 23-4). L’opporsi strenuamente ad una legge sul fine vita, avrebbe solo un effetto provvisorio e poco servirebbe a chi tale sofferenza sta patendo. Nel mondo, da sempre, lo scacciare i mercanti nel tempio ha solo un effetto temporaneo, mentre, invece, la conversione del cuore di un uomo ha sempre un effetto eterno.
Il presentare il suicidio assistito come una tentazione da vincere insieme, il malato e chi lo ama, per poi condividere la gioia del non peccare e la dolcezza della Grazia, avrebbe, a mio avviso, effetti straordinari su chi soffre e soprattutto, avrebbe effetti eterni. Oltretutto, nel caso di una ferma opposizione di principio, la Chiesa non verrebbe ascoltata e poco potrebbe contro tale norma, se no il poter dire d’aver preso posizione, mentre nel secondo, nello stare accanto ai morenti, i cuori si aprirebbero alle parole di Vita Eterna, che solo Cristo, attraverso la Sua Chiesa può e sa dare. Offrire la possibilità legale di interrompere il soffrire (cosa del resto già offerta dalle cure palliative che verranno comunque depotenziate da una legge sul fine vita), senza, allo stesso tempo, offrire all’uomo la possibilità di comprendere come questa possibilità di porvi fine sia la più terribile delle tentazioni, porterà molti a cedere inconsapevolmente a quest’ultima e definitiva tentazione ed a credere, così facendo, di esercitare una libertà, che tale non è.
Anche nel parlare di libertà, i cristiani e la Chiesa dovrebbero continuamente sottolineare come la vera, unica ed assoluta forma di libertà possibile all’uomo è il rinunciare ad essa in favore di una gioiosa condivisione della volontà divina, perché l’unica libertà possibile è quella donativa ed oblativa. Ma tenuto conto che vi sarà a breve una legge, come del resto vi è già in molti paesi, cosa deve fare un cristiano e la Chiesa per limitarne l’utilizzo ed evitare che l’uomo sofferente cada in una tentazione mortale? Semplicemente fare ciò che si fa contro ogni tipo di tentazione. Amare e pregare.
E qui si apre il vero punto su cui la Chiesa, a mio avviso, dovrebbe esprimersi con chiarezza dottrinale, magari con aperture che in questo caso, grazie alla mia personale esperienza di servizio ai malati, non mi sentirei di non condividere. Ho già parlato di tentazione e peccato, è tempo ora di trattare rapidamente della discesa agl’inferi in quanto quest’ultima ne è strettamente correlata. La discesa agl’inferi è essenzialmente un atto liberatorio e redentivo. È scendere negli abissi dell’uomo, quelli della propria e altrui sofferenza, per sanare tutto il male che vi si annida, portando l’amore e la luce di Cristo Risorto. Un uomo che sta morendo nel dolore è essenzialmente un abisso insondabile, incomprensibile ed insopportabile a tutti ed a sé stesso e soprattutto è vittima innocente di ingiustizia. Ed è spesso tale sensazione di ingiustizia che porta chi soffre in modo così atroce ad allontanarsi da Dio, che ha nella Sua Giustizia una Sua manifestazione primaria.
Un Dio Giusto è spesso un Dio incomprensibile per chi soffre ed a chi muore. Senza Cristo e senza l’Incarnazione, la Passione, la Morte e Risurrezione di nostro Signore, senza la condivisione con Lui e da Lui resa possibile, della nostra croce personale, la discesa agl’inferi sarebbe impossibile e soprattutto senza senso. È da questi inferi che il malato terminale chiede, nella solitudine di tale abisso che è inferno sulla terra, che venga posto fine al più presto a tutto questo non senso. La Chiesa ed i cristiani devono quindi risiedere in permanenza proprio in questi inferi e stare accanto a chi li vive in prima persona e devono essere lì, perché non potrebbero essere altrove, in quanto è l’urgenza dell’Amore di Cristo, di cui hanno esperienza reale, che li ha chiamati a stare in quelle tenebre.
Questa presenza dell’uomo, membra di Cristo e della Chiesa, accanto a chi soffre e muore è, per fortuna, quanto accade nella realtà di ogni giorno, con o senza una legge sul fine vita. E, per fortuna, questa grazia non ha bisogno di essere né normata né resa legale ed accade molto più spesso di quanto si voglia far credere. L’approvazione di una legge sul suicidio assistito crea però un problema di non poco conto. Può un cristiano e più ancora se ministro ordinato, stare accanto e assistere spiritualmente chi ha scelto volutamente di porre fine alla propria vita? Fino a che momento può essere presente senza andare contro agli insegnamenti della Chiesa? Che fare quanto alla specifica richiesta di Sacramenti?
Non vorrei che la Chiesa scegliesse la soluzione pilatesca, attuata in svizzera, per i medici ed infermieri, dove, in rispetto del giuramento di Ippocrate, questi possono stare accanto al morente/suicida, fino al momento dell’inizio della procedura, per poi uscire dalla stanza nel momento più importante, voltando così le spalle a chi per mesi è stato loro compagno. Chiedo quindi alla Chiesa di dare, quando tale legge sul suicidio assistito sarà approvata, delle linee chiare ai suoi ministri ed agli assistenti spirituali su come non far mancare, a chi ha scelto di porre fine alla sua vita, la minima consolazione cristiana possibile, senza per questo però andare contro la dottrina della Chiesa.
Attualmente vi sono visioni discordanti sull’argomento, per quanto ovviamente, comprensibilmente ed allo stato attuale delle cose, un rappresentante della Chiesa non può stare accanto fino all’ultimo a chi decide di togliersi consapevolmente la vita. Ma quale posizione deve tenere un cristiano, un assistente spirituale laico, o chiunque non ordinato, che per servizio è chiamato a portare consolazione ai morenti? Tale consolazione e tale vicinanza, se iniziata molto tempo prima dell’evento morte e quindi cominciando allo stare accanto al sofferente il prima possibile, sono certo diverrà quella collaborazione, sufficiente ma non necessaria, che ci viene chiesta da Dio affinché la Sua Grazia, all’ultimo istante, possa fare in modo che tale decisone non venga implementata.
La battaglia contro l’eutanasia, che è una battaglia d’amore, deve essere combattuta essenzialmente accanto al malato, affinché tale mortifera opzione, una volta divenuta legale ed ordinaria, non divenga, per mancanza d’amore, la scelta solitaria e disperata di molti. Ma come comportarsi, se tale battaglia fosse persa? Come sempre la Chiesa è chiamata a condannare il peccato e non il peccatore. Si valuti quindi, se oltre al dolore di aver ceduto alla tentazione ed all’aver commesso o essere nel procinto di commettere un peccato mortale, vi debba essere anche la punizione terrena e crudele di sentirsi abbandonati da chi ha cercato, pur senza successo, di convincerlo che dovesse, pur se nel dolore, continuare a vivere ed avesse cercato di convincerlo parlando d’amore e garantendogli di essere amato.
Avendogli di fondo, parlato di Dio Amore. Se ascoltassi il mio cuore, non riuscirei ad allontanarmi da quell’uomo che soffre così intensamente tanto da chiedere di morire. Mi sembrerebbe di tradire sia lui che Gesù che per lui è morto.