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PECCHIAMO OVUNQUE PRENDIAMO IL FISICO SENZA CONVERTIRLO NELLO SPIRITUALE
Et accipiens calicem, gratias egit: et dedit illis, dicens: Bibite ex hoc omnes [πάντες]. Hic est enim sanguis meus novi testamenti, qui pro multis [περὶ πολλῶν] effundetur in remissionem peccatorum. Dico autem vobis: non bibam amodo de hoc genimine vitis usque in diem illum, cum illud bibam vobiscum novum in regno Patris mei.
“Poi, prendendo il calice, rese grazie, e lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti. Perciocchè questo è il mio sangue del nuovo testamento, il quale è sparso per molti, in remission de’ peccati. Ma io vi dico: d’ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino a quel giorno che io lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”
(Matteo 26:27-29)
Il passo evangelico che abbiamo davanti ci presenta una distinzione tra “tutti” coloro che bevono con Gesù e “i molti” per i quali coloro che bevono si accingono a versare o spargere ciò che hanno bevuto. Ciò che i pochi bevono è vino che contiene o implica un messaggio coincidente con il mandato di versare vino come sangue. Il discepolo è chiamato a servire da condotto per la conversione del vino nella vita stessa—la nostra vita. Gesù qui serve da paradigma per tutti i suoi discepoli, essendo colui in cui i pochi discepoli sono uniti nel regno celeste. L’azione di Gesù serve da esempio per i pochi, che evidentemente non sono i molti; i pochi che segnano la discrepanza tra i molti e “tutti”; i pochi che consentono ai molti di essere uniti come un solo popolo, una sola nazione. Un’unità non assoluta, ma poetica.
Gesù prende il calice contenente il mandato di tutti coloro che bevono con e in lui. Rende grazie per il vino che segnala il mandato, il vino che evoca la Croce, la Croce come luogo su cui il vino viene versato come un sangue che cancella la macchia che macchia i molti.
Il vino che beviamo è il nostro stesso sangue; il dono che ci è dato è la nostra vita, il nostro mandato. Nel dare grazie, firmiamo un contratto (διαθήκη) vivente ; entriamo in un’alleanza spirituale: “il nuovo testamento”, il testamento della nostra vita. Ciò che ci viene offerto in questo mondo è essenzialmente un mandato. Ciò che prendiamo è, certamente, qualcosa di tangibile, ma prendendo quel qualcosa con gratitudine, riconosciamo che ciò che ci è dato non è semplicemente qualcosa che prendiamo, ma la nostra stessa vita che ci è concessa da rendere. Ciò che prendiamo è solo un calice, un recipiente fisico, che contiene il dono, il messaggio, il mandato che ci viene offerto, o meglio, che si offre liberamente a noi.
Accogliendo il mandato, ci impegniamo a compierlo. Qual è il nostro mandato, la nostra vita data da Dio e nella quale Dio ci si offre? Naturalmente è versare ciò che ci è dato all’interno del calice, affinché possa essere restaurato al di fuori del calice. Il testo evangelico testimonia la conversione di ciò che è all’interno di una forma fisica in ciò che contiene il fisico—la forma nascosta della forma esteriore.
La vita del discepolo, la vita propriamente umana, è una vita di conversione dall’esterno verso l’interno, il recondito; da “ciò che possiamo prendere” a ciò che si dà essenzialmente: un atto di dono di sé. Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati a bere dal calice, a entrare in un’alleanza di rinnovamento da 1. “ciò che ci è dato da prendere” a 2. un puro atto di dono di sé.
In remissionem peccatorum: “per la remissione dei peccati”. In che senso i peccati dei molti sono pagati dal dono di sé di Dio? Consideriamo prima quali sono i peccati dei molti. Essi ammontano a tutto ciò che prendiamo senza entrare nell’alleanza spirituale. Pecchiamo ovunque prendiamo il fisico senza convertirlo nello spirituale, senza vedere dunque il fisico come trampolino per entrare nel regno dei cieli, il regno del dono di sé, del sangue che lava via la macchia di coloro che sono caduti nelle tenebre, coloro che non bevono dal calice.
Il nostro mondo caduto è il mondo dei molti che dimorano nel peccato, che prendono il calice per costruire un regno di morte, un regno stabilito sul sangue, una Torre di lussuria (libido dominandi) mascherata da salvezza. I molti cercano di riconciliare vino e sangue al di fuori del regno del Padre, mentre Gesù vede la riconciliazione solo in quel regno celeste, un regno che è in principium. Donde l’importanza cardinale della qualifica offertaci da Gesù: dico autem vobis, “ma io vi dico”. Non berrà più di questo frutto della vigna, fino a quel giorno in cui lo berrà nuovo con i suoi discepoli nel regno del Padre suo. Quivi il sito dove i peccati dei molti sono originariamente lavati. Non vi è progresso verso il cielo, alcuna salvezza progressiva dell’umanità; né “indulgenza” da pagare per guadagnarsi il paradiso. Ciò che abbiamo qui è una promessa di salvezza, di una salvezza rivelata completamente “nel principio”.
La conversione del vino in sangue è la conversione di ciò che è fisico in un segno dell’eterno. Un segno poetico che tutti i veri poeti, come discepoli di Gesù, producono dal vino.