di Angelica La Rosa
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LA SOSTITUZIONE DELLA BANDIERA ITALIANA CON QUELLA PALESTINESE
La decisione del Comune di Cisternino di esporre sulla facciata istituzionale la bandiera palestinese e quella della pace al posto della bandiera italiana e di quella europea costituisce un gesto di gravità estrema che va ben oltre una semplice manifestazione di solidarietà politica, perché tocca il cuore stesso del rispetto dovuto ai simboli ufficiali della Repubblica e dell’Unione Europea.
Le leggi italiane sono chiare e inequivocabili: il Dpr 121 del 2000 stabilisce che le uniche bandiere istituzionali autorizzate ad essere esposte su edifici pubblici sono quella italiana e quella europea, proprio per garantire la neutralità delle sedi e il rispetto della bandiera nazionale, che non è un ornamento sostituibile a piacimento in base all’umore del momento o alle inclinazioni ideologiche di una giunta comunale, ma è il segno tangibile dell’unità di un popolo e della sua appartenenza a una comunità politica fondata sulla Costituzione.
Non è un caso che la legge stabilisca il carattere obbligatorio e intangibile della bandiera tricolore negli spazi istituzionali, perché attraverso quel simbolo si riconosce l’autorità dello Stato e la sua capacità di rappresentare tutti i cittadini al di là delle divisioni politiche o culturali.
Invece, l’amministrazione comunale ha compiuto una scelta che contraddice radicalmente questo principio, sostituendo il tricolore con la bandiera palestinese, che non è né un vessillo istituzionale dello Stato italiano né un simbolo riconosciuto dall’ordinamento comunitario, ma rappresenta una precisa posizione politica, divisiva e controversa.
Al di là della legittimità di chi, come singolo o come associazione privata, desidera manifestare solidarietà a una causa internazionale, ciò che appare inaccettabile è che un’istituzione pubblica faccia proprie, con i mezzi e gli spazi dello Stato, battaglie ideologiche che non possono in alcun modo rappresentare l’intera cittadinanza.
Si aggiunge a ciò l’assurdità di aver impiegato anche risorse pubbliche per finanziare un evento dal titolo “Palestina Libera – Stop al genocidio in Terra Santa”, un’iniziativa che non solo ha un contenuto evidentemente politico e parziale, ma che rischia di acuire contrapposizioni, odii e tensioni in un momento già caratterizzato da gravi conflitti internazionali.
La scelta di un Comune italiano di piegare i propri simboli istituzionali a una parte in causa di una controversia geopolitica così complessa non soltanto viola la legge, ma mina alla radice il principio di imparzialità che le istituzioni dovrebbero sempre garantire: un municipio non è la sede di un comitato politico o di un movimento militante, ma la casa di tutti i cittadini, compresi coloro che non condividono né la narrazione unilaterale né la propaganda che spesso si cela dietro certe campagne ideologiche.
Non va dimenticato che l’esposizione della bandiera italiana sul territorio nazionale non è soltanto un obbligo giuridico, ma un atto di lealtà e di rispetto verso la nostra storia e verso coloro che hanno sacrificato la vita affinché quel tricolore fosse oggi il segno della libertà e della democrazia di cui godiamo: sostituirlo con una bandiera straniera, per quanto motivata da presunte ragioni umanitarie, significa calpestare quella memoria e quella identità.
Non è tollerabile che la neutralità istituzionale venga piegata a un’agenda politica che, tra l’altro, risulta tutt’altro che pacifica, visto che la bandiera palestinese, al di là delle intenzioni, è purtroppo anche associata a movimenti e realtà che non hanno esitato a ricorrere alla violenza e al terrorismo, con conseguenze drammatiche sul piano umano e geopolitico.
La confusione creata da scelte di questo genere non porta né pace né dialogo, ma rischia di importare sul nostro territorio divisioni e conflitti che nulla hanno a che vedere con la missione delle istituzioni italiane.
È bene ribadirlo con chiarezza: non si tratta di negare la libertà di opinione o di impedire a chiunque di esprimere vicinanza a un popolo in difficoltà, ma di distinguere ciò che appartiene alla sfera privata, al dibattito democratico, al diritto di manifestare liberamente, da ciò che riguarda l’ambito pubblico e istituzionale, che deve rimanere neutrale, super partes e rispettoso della legge.
Se un cittadino, un’associazione o un gruppo politico vuole sventolare la bandiera palestinese lo faccia liberamente, ma non pretenda che essa sostituisca i simboli della Repubblica sugli edifici che rappresentano l’intera comunità.
Per questo è sacrosanto che il Prefetto di Brindisi e le autorità governative vigilino e intervengano immediatamente per ristabilire la legalità e il rispetto dovuto ai nostri simboli.
L’Italia non può tollerare che i propri Comuni diventino palcoscenici di battaglie ideologiche condotte a scapito dell’identità nazionale e delle regole democratiche: il tricolore non si tocca e nessuna causa, per quanto ritenuta giusta, può giustificare la sua sostituzione con simboli di parte.



