di Padre Giuseppe Agnello*
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CHI NON CURA LA PROPRIA ANIMA, SMETTE DI AVERE UNA COSCIENZA DELICATA, ANNEGA NEI PIACERI E SI FA INSENSIBILE ALLE PENE ALTRUI
Colleghiamo a vantàggio della comprensione profonda della Sacra Scrittura, il Vangelo di oggi con quello di Doménica scorsa (Ricordate? Il fattore disonesto, ma astuto): la lezione di Doménica scorsa era che dobbiamo amministrare bene la nostra ànima, pensando al futuro che ci attende oltre questa vita.
Il Vangelo di oggi ci fa vedere bene che cosa accade a chi non fa questo: chi non cura la pròpria ànima, smette di avere una coscienza delicata, annega nei piaceri e si fa insensíbile alle pene altrui. Si ritiene fortunato di avere ciò che ha e da fortunato si permette di ignorare gli sfortunati; oppure, ma l’èsito è idèntico, si ritiene meritatamente ricco, e per ciò nel diritto di ignorare i pòveri.
Vediamo quindi come la disonesta ricchezza è diventata cattiva maestra di vita, perché la Parola di Dio ignorata è rimasta léttera morta per tutta la vita del ricco Epulone. Oppure, come ci mostrava il profeta Amos, gli «spensierati di Sion …sdraiati sui loro divani…si úngono con gli unguenti piú raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preòccupano» (Am 6, 1.4.6). Li si descrive come senza pensieri in un contesto di rovina nazionale; pasciuti da agnelli e vitelli; e col karaoke di quel tempo: «Canterèllano al suono dell’arpa»; ma la loro colpa non è l’arredamento della casa (“i letti di avòrio”); né il menú; né i profumi di marca; né l’allegria di canti e músiche: la loro colpa è il pensare solo a sé stessi senza contribuire al bene degli altri (“della rovina di Giuseppe non si preòccupano”).
Quando arriva la morte, in questo contesto di morte, al gaudente senza amore toccherà l’inferno: infatti, come aveva capovolto nella pròpria vita i beni superiori con quelli inferiori, cosí, nel giudízio, il capovolgimento sarà eterno: perderà per sempre Dio e avrà per sempre l’Inferno, la dannazione, la morte eterna.
Il capovolgimento avviene anche per il pòvero Làzzaro, che però ha pure lui delle caratterístiche importanti che dobbiamo sottolineare, e che non sono solo le piaghe. È un pòvero che sta accanto al ricco: dice il Vangelo «alla sua porta»; chiede e spera aiuto dal ricco, ma, non avendo dal ricco ciò che sarebbe dovuto, non lo òdia: conserva l’amore per il suo pròssimo, e nell’òttica delle beatitúdini sa che c’è una ricompensa per la pazienza e una punizione per l’ingiustízia, di cui si fa garante Dio.
È un particolare che non va dimenticato, perché ciò che dice san Giovanni evangelista nella sua prima léttera, vale per l’uomo ricco e per quello pòvero: «Chi dice di èssere nella luce e òdia suo fratello, è ancora nelle tènebre. Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione di inciampo. Ma chi òdia suo fratello è nelle tènebre, cammina nelle tènebre e non sa dove va, perché le tènebre hanno accecato i suoi occhî» (1 Gv 2, 9-10).
Fermiàmoci a queste últime parole: solo chi ama sa dove è diretto; chi non ama, anzi chi òdia il suo fratello, è accecato e non sa che cosa lo attende dopo la morte. Ora, il contesto del pòvero Làzzaro, è di vita perché, pur nella povertà, ama il suo pròssimo; pur nell’ingiustízia, ama il suo pròssimo; ed è amando che si salva dall’inferno, perché nell’inferno non si è giustificati dalla povertà per avere odiato, non si è giustificati dalla ricchezza per non avere amato.
Nel Paradiso (qui definito come “seno di Abramo”) non si entra perché vestiti di straccî, e non si entra nemmeno perché «vestiti di pòrpora e di lino finíssimo» (Lc 16, v.19): il solo vestito che deve trovare il Signore quando moriremo è la carità.
Una carità che resta viva in due modi: ascoltando la Parola di Dio e chi la prèdica senza ideologie di fondo da affermare (tipo: i pòveri sono sempre buoni e ricchi sono sempre cattivi); e poi curàndosi della rovina del nostro paese (sia nel senso di Pàtria sia nel senso di città), che si concretizza anche nell’attenzione a persone ben precise. Lo dice la Scrittura di oggi!
La casa di Giuseppe sono infatti i due territorî toccati ai figlî del patriarca Giuseppe: Efraim e Manasse, che corrispondèvano al Regno del Nord con capitale Samaria. Dio ha a cuore questi territorî non in quanto confini di una terra migliore di quella del Sud, con capitale Gerusalemme, ma perché vuole ristabilita la sua adorazione in un luogo dove si è cominciato ad adorare il benèssere.
Mi sembra molto attuale dunque questo richiamo della prima lettura alla rovina della casa di Giuseppe. Anche oggi la scienza moderna, la democrazia liberale e il líbero mercato hanno tolto la vera adorazione a Dio, sicché, avendo ottenuto grandi risultati nel soddisfare i bisogni materiali dell’uomo (che sono quelli della salute, quelli del consenso, quelli econòmici), hanno reso il benèssere conseguente al progresso scientífico, alla forza delle maggioranze e al potere di acquisto, una sorta di Dio che non ammette rivali.
Capiamo bene però che se il primo comandamento non ha piú Dio come soggetto, ma la scienza, la política o il denaro, che dícono: «Io sono il Signore, tuo Dio» (Es 20, v.2), non si può piú nemmeno pensare di riuscire a vedere Làzzaro e le sue piaghe, Làzzaro e la sua povertà, Làzzaro e la sua fame; Làzzaro e i suoi veri bisogni. Chi è gèlido verso Dio, non può èssere caldo verso il pròssimo; e chi rifiuta il sole e la luce di Dio, cioè l’amore, non potrà vedere l’altro nei suoi reali bisogni, perché non riesce a vedere nemmeno sé stesso nel suo errore. Dice infatti il libro dei proverbî: «La via degli empî è come l’oscurità: non sanno dove saranno spinti a cadere» (Pr 4, v.19).
Ecco perché Abramo dal Paradiso dice al dannato all’inferno, che vorrebbe risparmiare l’inferno ai suoi familiari: «Hanno Mosè e i Profeti; ascòltino loro» (Lc 16, v.29). Glie lo dice per riaffermare che dal primato di Dio e dall’amore manifestato a Lui, discende l’amore che non ci farà finire all’inferno. Il profeta Amos infatti cosí predicava la salvezza: «Cercate il Signore e vivrete» (Am 5, v.6): cosa che Mosè e i profeti hanno fatto e fatto fare a chi li ha ascoltati.
È il Signore la vita; è il Signore che parla nella Legge e nei Profeti; ed è sempre Lui che si nasconde dietro il pòvero che sta alla nostra porta. Se dunque non si ama il Signore piú di ogni altra cosa, non si ascolteranno la Legge e i profeti, e non si vedranno nemmeno i pòveri della porta accanto.
XXVI Doménica del T.O. anno C, 28 Settembre 2025
Am 6, 1.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31
*L’autore aderisce ad una riforma ortografica della lingua italiana



