di Francesco Bellanti
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IL CANTICO DEI CANTICI
Che sia attribuito al re Salomone, re di Israele del X secolo a.C., famoso per i suoi amori e la sua saggezza, o a uno scritto anonimo del IV secolo a.C., che avrebbe utilizzato poemi d’amore dell’area mesopotamica, il Cantico dei cantici, o semplicemente Cantico, o Cantico sublime, testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana, dialogo d’amore fra un uomo e una donna, è uno dei testi poetici più belli della storia dell’umanità. Che sia allegoria dell’amore di Dio per il suo popolo, Israele, o tra Gesù e la Chiesa, pura e vergine, sposa di Cristo; che esso racchiuda tutta la Torah o sia il processo dell’anima che desidera congiungersi con Dio, o l’unione nello Spirito Santo col vero amore e bene, Dio; che esso narri il matrimonio mistico o la riconciliazione fra Dio e il suo popolo dopo la cattività babilonese, o il cammino della fede alla ricerca di Dio, o che semplicemente canti in puri versi l’amore fra due innamorati, con sfumature e immagini erotiche e sensuali, il Cantico dei cantici santifica un amore che ha origine divina, perciò è l’amore che s’identifica con il matrimonio, con il fuoco della passione ispirato e glorificato da Dio, mai nominato ma sempre presente. Il Cantico dei cantici è il più alto canto d’amore dell’umanità.
Nel Cantico dei cantici, infatti, abita l’amore in tutte le sue sfumature e possibilità. La sposa bruna e abbronzata. Il fascino dell’amata. La sposa tutta bellezza e armonia. Le ragazze di Gerusalemme che vedono nel candore del volto la bellezza ideale. La sposa che cerca l’amato del suo cuore. E il coro: la voce fuori campo, che commenta e trascina verso un nuovo quadro. La bellezza della sposa è il mondo della campagna, dei monti e delle città della terra di Canaan, che fornisce immagini e allusioni per descrivere la bellezza della sposa.
Il desiderio della donna per il suo amato e il dialogo tra gli amanti: la donna chiede all’amato di incontrarsi, lui le risponde e i due innamorati si scambiano complimenti lusinghieri. Poi la donna innamorata dice alle figlie di Gerusalemme di non svegliare il suo amore fino a quando non sarà pronto.
La donna ricorda una visita del suo amato in primavera, con immagini prese dalla vita di un pastore, e dice che il suo “pascola il suo gregge tra i gigli”, potente metafora dell’amore. La donna si rivolge ancora alle figlie di Gerusalemme, e descrive la sua appassionata e infine riuscita ricerca dell’amato per le strade notturne della città. E poi il sogno d’amore. E il corteo nuziale. Salomone è menzionato per nome e la donna invita le figlie di Gerusalemme a venire a vedere la cerimonia.
Poi l’uomo descrive la sua amata: i suoi capelli sono come un gregge di capre che pascola sul monte Galaad, i suoi denti come pecore tosate, le labbra sembrano un nastro rosso e le gote dietro al velo assomigliano a due melagrane, i seni sono come due cerbiatti che pascolano tra i gigli, il suo collo è come la torre di Davide, il suo profumo è come quello del Libano. La sua amata è rapita anche solo da un singolo sguardo. E la descrizione è poesia, e la poesia diventa poesia da giardino, immagine meravigliosa del sesso e dell’amore, lui descrive la sua amata come “un giardino chiuso a chiave”, come a dire che è casta e pura. La donna invita l’amato a entrare nel giardino e ad assaggiarne i frutti; l’uomo accetta l’invito e un terzo gli dice di mangiare, bere, e “ubriacarsi d’amore”.
L’amore è sogno. Ancora il sogno. Un altro sogno: O figlie di Gerusalemme, l’amato bussa alla porta, l’amata è lenta ad aprire, l’amato se ne va. Ella lo cerca ancora per le strade ma non riesce a trovarlo, la picchiano le sentinelle. Che la aiutino le figlie di Gerusalemme a trovarlo, ella descrive il suo bell’aspetto fisico. Poi, sì, il suo amante si trova nel suo giardino, al sicuro dal male, si amano.
L’amato descrive ancora la sua amata, mentre la donna invita il suo amato a seguirlo nei campi e nei villaggi per tutta la notte, per andare a vedere i germogli nelle vigne e i fiori dei melograni e lì fare l’amore.
La donna paragona l’amore alla morte e allo Sheol: implacabile è l’amore, e geloso come i due amanti, nessuna forza può placarlo.
Ed ella chiama il suo amato con il linguaggio di sempre,: egli deve venire “come una gazzella o un giovane cervo sulla montagna di spezie”.
Io così un tempo cantai il Cantico dei cantici. Così mi piacque di cantarlo. In modi poetici, con la mia poesia, perché sempre poesia è l’amore.
O tu Salomone gran Re, che di vestiti sgargianti t’adorni appariscenti, dai colori viola e blu, i colori ambigui del tempo, e di corona e bracciali, e collane d’oro e d’argento, e d’oro e d’argento il diadema regale, e tra fragranze di mirra e d’incenso su una lettiga di porpora ti siedi, degno trono del più grande figlio di Sion.
O predilette figlie di Gerusalemme, dove siete voi, fior fiore d’Israele, voi siete ai lati dell’alto seggio, come discepoli prodi guerrieri, ma non impugnate il brando, non proteggete gli augusti fianchi del Re potente, del trasportato dal vento. Il vento, le piume al vento sul suo crine regal levate, sotto il salice di molli ombre, quand’ecco un grido, eccola arriva, una donna incantevole arriva, la sente, il vento la porta.
O donna che giungi col vento, donna misteriosa del mattino ancor presente, chi sei tu, donna che col tuo re di congiungi e poi ti dilegui con la calura mattutina, canto del canto più grande d’amore, o Sulamite fra le braccia alla corte del gran Re?
Sei tu la sposa, vergine casta – orto chiuso, sorgente chiusa, fonte sigillata, boschetto di melograni non colti, vivaio di frutti squisiti, di fiori di cipro e di nardo, di croco e cannella, di cinnamomo. Sei tu la sposa odorosa di mirra e di aloe, di balsami dei migliori profumi, fontana di giardino, zampillo d’acque vive, o l’enigma del tempo, tu silenziosa taciturna la prima di mille e mille mogli, che col sorriso giungi, rimani in silenzio prima di sparire col vento con gli occhi ridenti davanti al gran Re.
O tu gran Re sapiente, ricco, potente figlio di Davide e di Betsabea di Saul primo Re d’Israel, generato dalla colpa, figlio del peccato dell’amore, gran Re Signore degli spiriti jinn, Re profeta fondatore del Tempio dell’Attesa, mago esorcista, Re poeta di cantici sublimi assiso su trono d’argento, baldacchino d’oro puro, soglio di porpora rossa d’ebano di pietre preziose.
Tu gran Re questa canzone cantasti per sempre, tu profeta messianico l’eccezionale poeta, congiunzion tra Dio e Sion, restaurazion dell’Alleanza del postesilico tempo, ma l’amore l’amore sensuale carnale spirituale nuziale eterno immortale cantasti, l’amore il puro amore, di re e di regina, di pastore e pastorella, l’amore un urlo un grido uno squassante canto d’amore che mai poeta più grande il più grande canto d’amore di ogni tempo cantò.
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Chi è costei che giunge col vento
e di profumi la campagna
inonda, balsami e incensi
e fragranze cosparge su le viti
in fiore, o cerbiatta saltellante
nella brezza mattutina, bellissima
fra le creature della primavera?
Chi è costei che a me giunge
danzando coi caprioli, che canta
con le tortorelle, lei candida
e pura come le colombe,
ora che glorioso il sole risplende,
balzando per le valli
e per i monti, risvegliando gli uccelli,
le gazzelle campestri?
È lei, la mia amata, il mio diletto,
la sua voce è soave, il suo viso
è leggiadro, lei danza ebbra di vita.
è lei, la mia amata, la mia vita
che passa e lascia dietro di sé l’inverno,
la pioggia lenta uggiosa.
Scorrono i ruscelli nelle selve,
tornano i fiori nei campi ormai di grano
gloriosi, torna il tempo del canto,
le voci degli uccelli delle tortorelle
si fanno sentire nella campagna.
I fichi danno i primi frutti
e le viti in fiore spandono fragranza
fra gli ulivi, fra i mandorli rosa.
È lei, la mia amata, lei viene e scende
giù dai monti, balza per le colline,
porta con sé la primavera odorosa.
Una voce! Un canto! Una danza!
Volgetevi a lei e ammiratela,
mentre danza coi caprioli!
Volgetevi a lei, bellissima fra le donne,
ella è l’unica di sua madre,
la preferita della sua genitrice,
saltella come una cerbiatta in amore!
L’hanno vista le fanciulle e l’hanno detta beata,
le regine e le altre spose ne hanno intessuto le lodi.
Perché unica è la mia colomba la mia perfetta,
l’amore dell’anima mia,
profumo olezzante è il suo nome,
l’odore dei suoi profumi sorpassa tutti gli aromi,
e il profumo delle sue vesti
è come il profumo di tutto l’Oriente.
Chi è costei che dalla notte,
dal silenzio giunge, argentea sorge
come l’aurora, splendente
come il sole, bella come la candida luna,
più temibile di un esercito schierato in battaglia?
è lei, la mia amata, il mio diletto,
il suo corpo somiglia a una palma
alta magnifica e cedevole,
il suo aspetto è bello e possente
come un cedro del Libano.
Le sue chiome al vento sono riccioli
d’oro brunito, grappoli
di datteri gialli, o neri come il corvo.
I suoi occhi sono due ridenti
colombe che fuggono
su ruscelli di acqua.
Il suo naso è dritto, è una fortezza,
protegge un giardino fiorito
di pomi fragranti.
I suoi denti sono bagnati nel latte,
incastonati in un nastro di porpora
che è la sua bocca,
stillano fluida mirra le sue labbra,
miele vergine, c’è miele e latte
sotto la sua lingua, dentro alla sua bocca
di rosa aulente che mille sensi
d’amore effonde, distilla nettare e miele,
vino soave, sorgente di aromi,
di frutti squisiti odorosi.
Le sue guance sono aiuole di balsami,
aiuole di erbe profumate,
spicchi di melagrana sono le gote.
è una torre d’avorio il suo collo,
s’innalza a guisa di fortezza.
Chi è costei che come una dea
nel mio giardino incede col suo sicuro,
elegante, possente passo di regina,
più temibile di un esercito schierato in battaglia?
È lei, la mia amata, il mio diletto,
lei non ha bisogno di oro
e di argento, di perle di diamanti,
già ha portamento regale,
lei non ha ombra e risplende
da ogni parte, nuda e innocente
come nelle favole belle, ha puri pensieri
leggeri, è fresca sorgente
di acqua viva, chiuso
giardino di ambrosia e di aromi.
I suoi seni sono due melagrane,
grappoli d’uva profumata e matura,
puledri imbizzarriti sulla pelle
bruna, come due cerbiatti,
come gemelli di una gazzella
che pascolano fra i gigli.
Il profumo del suo respiro
come di frutti odorosi sull’ombelico
discende, oh coppa rotonda piena
di vino d’essenze, sul ventre caldo,
oh mucchio di grano, campo di rose,
dove la sua chioma coi fianchi superbi
d’avorio la sua vigna protegge,
oh giglio candido, rosa purpurea,
fiore gelsomino, oh vigna
sempre custodita!
Le curve dei suoi fianchi sono come monili,
opera di mani d’artista.
Le sue gambe sono colonne di alabastro,
posate su basi d’oro puro,
belli i suoi piedi in sandali regali,
oh principessa, figlia di delizie!
Chi è costei che nel mio giaciglio si avvicina,
e mi sorride e mi protegge
con le mani nude, mani carezzevoli?
Sei tu mia amata, il mio diletto!
Mi baci con i baci della tua bocca,
quanto sono soavi le tue carezze,
le tue mani con anelli d’oro distillano mirra,
sorella mia, madre mia, sposa mia,
quanto più deliziose del vino le tue carezze!
Giardino chiuso tu sei, mia amata,
sorella mia, madre mia, sposa mia,
giardino chiuso, fontana sigillata.
I tuoi germogli sono un giardino
di melagrane, con i frutti più squisiti,
alberi di cipro con nardo e zafferano,
cannella e cinnamòmo, mirra
e aloe con tutti i migliori aromi,
con ogni specie d’alberi d’incenso.
Tu sei fontana che irrora i giardini,
pozzo d’acque vive, ruscello
sgorgante dal Libano.
Sei tu, la mia amata, il mio diletto,
che cerco e trovo la notte nel mio giaciglio
d’amore, tu bella come la luna.
La tua vigna è bagnata di rugiada,
come il mio giglio, vessillo d’amore.
Il mio diletto è candido e vermiglio,
riconoscibile fra mille e mille.
Io entro nella mia vigna
e colgo i frutti più odorosi,
i mille profumi d’Oriente!
I miei sensi vengono meno
e si annullano in te, tu sposa,
madre, figlia, sorella, regina,
sposa la più bella tra mille e mille
delle figlie d’Israele,
colomba mia, perfetta mia,
mio diletto, mia amata.



