–
L’ARTE DI EDUCARE I GIOVANI TRA VULNERABILITÀ E SPERANZA
In un contesto culturale segnato da tensioni globali, fermenti giovanili e la pervasività digitale, educare non è mai stato così urgente e complesso.
L’osservazione è ricorrente: “I giovani di oggi sono intelligenti e capaci di mobilitarsi per cause giuste.” Un’affermazione che, pur condivisibile, richiede uno sguardo critico e più articolato. Se da un lato molti ragazzi mostrano una spiccata sensibilità sociale e un impegno civile immediato, dall’altro non possiamo ignorare la presenza di comportamenti devianti, atti di bullismo, cyberbullismo e forme di violenza gratuita che colpiscono i più fragili, spesso nel silenzio degli adulti.
In parallelo, si osserva una crescente difficoltà nella concentrazione, nella lettura e nella scrittura, in un contesto dominato dalla cultura dell’omologazione. Il pensiero unico del politically correct e il mainstream comunicativo sembrano appiattire la capacità critica, rendendo più arduo il compito educativo.
A ciò si aggiungono fenomeni inquietanti e spesso invisibili: povertà educativa, isolamento sociale (hikikomori), disturbi alimentari, autolesionismo, e una subdola attrazione per l’occulto o il satanismo. Sono segnali di disagio profondo, grida silenziose che esprimono una ricerca disperata di identità e di senso in un mondo iperconnesso ma emotivamente distaccato.
In questo scenario, il ruolo dell’adulto educatore si fa cruciale. Quali valori trasmettiamo? A che punto è il dialogo generazionale? Il primo passo è smettere di giudicare e iniziare ad ascoltare la loro complessa vulnerabilità.
Educare non significa semplicemente istruire. La radice latina educĕre – “tirare fuori”, “condurre fuori” – richiama un atto di fiducia, di accompagnamento, di liberazione. L’educatore è colui che aiuta a far emergere ciò che è già presente nella persona, anche se confuso o ferito.
In questo senso, l’educazione è arte relazionale, spirituale e creativa, che richiede tempo, ascolto, pazienza e visione. Papa Francesco ha più volte sottolineato l’importanza di “generare processi” più che di “trasmettere informazioni”. Educare è favorire la metacognizione, promuovere la gradualità, la perseveranza e la cura. È riconoscere che la crescita personale non è automatica, ma frutto di un cammino umano, cognitivo, affettivo e relazionale.
Il paradosso dei giovani contemporanei è evidente: intelligenti e laboriosi, ma spesso vulnerabili e insicuri. Alcuni curano il proprio corpo in modo eccessivo, trasformandolo in una corazza per nascondere paure interiori e desideri di autonomia e affermazione.
Come scriveva sant’Agostino in De Magistro: “In ogni uomo c’eˋ qualcosa che non puoˋ essere insegnato, ma solo risvegliato.”
Educare, dunque, è risvegliare. È credere che il cuore umano sia capace di verità, bellezza e bene. È lasciare un segno profondo, capace di orientare, ispirare e generare futuro. In un tempo di complessità e fragilità, formare significa credere nella promessa che ogni giovane porta in sé, e accompagnarla con responsabilità e una speranza indistruttibile.



