–
IL PARADOSSO DEL 4 OTTOBRE: TRA FESTA NAZIONALE E SOLENNITÀ CIVILE, IL CORTOCIRCUITO DEL LEGISLATORE E LA RETORICA VUOTA DEI VALORI
Nel panorama, già fragile, della produzione normativa contemporanea, la recente legge istitutiva della festa nazionale di San Francesco d’Assisi e della solennità civile di Santa Caterina da Siena costituisce un caso emblematico di incoerenza giuridica e simbolica. Ci troviamo di fronte a un provvedimento che, pur muovendo da intenti apparentemente nobili, ovvero “promuovere i valori della fratellanza, della pace e del dialogo” (senza, peró, che qualcuno ragioni teoreticamente su questi slogan), tradisce, sin dalla sua formulazione, l’incapacità del legislatore statale italiano di distinguere tra l’ambito simbolico e quello giuridico, tra l’orizzonte spirituale e quello istituzionale. L’effetto è un cortocircuito normativo e concettuale che il Presidente della Repubblica pro tempore, Sergio Mattarella, ha evidenziato al momento della promulgazione. Il cuore del problema risiede nella sovrapposizione, nella stessa data del 4 ottobre, di due qualificazioni giuridiche distinte: la “festa nazionale” dedicata a San Francesco e la “solennità civile” riferita a Santa Caterina da Siena. La prima implica una giornata di portata generale, con possibili conseguenze in termini di sospensione delle attività pubbliche e private; la seconda, di rango minore, ha natura commemorativa e simbolica. La coesistenza di entrambe nella medesima giornata produce un conflitto interno all’ordinamento, in quanto i due istituti, pur affini nella ratio celebrativa, divergono per effetti giuridici, rango e finalità. L’intervento legislativo avrebbe dovuto procedere con una revisione coordinata della normativa preesistente, in particolare della legge ordinaria dello Stato n. 132/1958, che già qualificava il 4 ottobre come giornata solenne in onore congiunto dei due Patroni d’Italia, invece di introdurre un nuovo statuto festivo senza sciogliere il nodo della sovrapposizione. Il risultato è un dispositivo confuso, privo di criteri di prevalenza o integrazione tra “festa nazionale” e “solennità civile”, in aperta violazione del principio di certezza del diritto e di ragionevolezza che l’art. 97 Cost. impone alla pubblica amministrazione e, a monte, al legislatore. Come ha osservato il Presidente Mattarella nella Lettera inviata ai Presidenti delle Camere, la medesima giornata del 4 ottobre è qualificata sia festività nazionale, in onore di San Francesco d’Assisi, sia solennità civile, in onore di Santa Caterina da Siena, rilevando la necessità di una “testualità legislativa chiara e inequivoca”. Il Capo dello Stato non ha censurato la finalità valoriale del provvedimento, ma ne ha evidenziato l’inadeguatezza formale, sintomo di un legislatore che cede alla suggestione simbolica a scapito della coerenza normativa. Dietro la retorica “rivoluzionaria” dei “valori universali della fraternità e della pace”, che campeggia nel preambolo dell’art. 1, si cela, in realtà, un’operazione di riduzione concettuale della figura di San Francesco, trasformato in icona laica e disinnescata, funzionale a un linguaggio politico di superficie. L’Assisiate, che visse nella povertà evangelica e nell’obbedienza ecclesiale più radicale, viene qui rappresentato come una sorta di patrono civile del dialogo globale, secondo una visione che tradisce il suo autentico significato teologico. E questo sarebbe il provvedimento legislativo fortemente voluto dal c.d. “centro-destra” (rectius la destra della sinistra)? Il diritto positivo, in questo modo, si appropria del simbolo religioso svuotandolo del suo contenuto trascendente e sostituendolo con formule universali e generiche che, in nome della “pace” e della “fratellanza”, finiscono per dissolvere la specificità del messaggio cristiano.
Si assiste così a un duplice slittamento: da un lato, la legge smarrisce la propria coerenza sistematica, divenendo un collage di intenzioni morali e formule rituali; dall’altro, lo Stato abdica pure al proprio compito di “rispettosa laicità”, trasformando la legislazione in strumento di costruzione ideologica di simboli religiosi depotenziati. È questo l’aspetto più problematico: il diritto che si fa retorica, la norma che rinuncia alla propria determinatezza per farsi espressione di un ethos indistinto. Sul piano strettamente giuridico, la legge produce ambiguità applicative: quale regime si applicherà alle amministrazioni pubbliche? Quale rilevanza avrà nelle scuole, negli enti locali, nelle cerimonie ufficiali? L’assenza di una clausola di coordinamento con la disciplina precedente espone il testo a una molteplicità di interpretazioni, che ne compromette l’efficacia e la certezza. In termini simbolici, poi, la scelta di relegare Santa Caterina alla sola “solennità civile”, mentre si eleva Francesco a “festa nazionale”, rivela una gerarchizzazione arbitraria tra due Patroni riconosciuti in pari dignità dal decreto pontificio e dalla tradizione repubblicana del 1958. Questo non è un mero difetto tecnico, quanto un segno di una più profonda crisi di metodo legislativo: l’incapacità del diritto positivo di confrontarsi con i simboli senza trasformarli in slogan. La legge, nel suo tentativo di incarnare valori, finisce così per tradirli; nel voler celebrare la pace, produce disordine; nel proclamare la fratellanza, genera confusione; nel dichiarare il rispetto dei santi, li riduce a strumenti di una pedagogia civile ideologicamente orientata. Il paradosso del 4 ottobre non è, dunque, solo un errore redazionale, bensì il sintomo di una malattia più profonda del nostro ordinamento: la tendenza a sostituire la chiarezza giuridica con la suggestione morale, l’ordine normativo con la propaganda simbolica. Il diritto, quando abdica alla precisione del linguaggio e alla coerenza sistematica, cessa di essere garanzia e si trasforma in narrazione. E così, nel giorno in cui si vorrebbe celebrare la pace, si produce l’ennesima guerra tra le parole e le leggi.
“Libertatem mentium quaerimus, ut ignorantiae vincula rumpantur et sapientia floreat”.



