16 Novembre 2025

Vivere in Cristo è la salvezza

di Padre Giuseppe Agnello*

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 12 OTTOBRE 2025 (SAN CARLO ACUTIS)

Gesú per qualcuno è solo un consolatore della mente, per quelle promesse di pace e di vita nuova di cui sempre parla; ma nel corpo làscia il malato come lo trova, visto che nella Chiesa e anche fuori di essa ci sono tantíssimi malati. Oggi poi ricordiamo san Carlo Acutis, che, è morto pròprio a 15 anni di leucemia fulminante, il 12 Ottobre del 2006, nell’ospedale di Monza: prova evidente che Gesú consola, ma non guarisce. ¿Ma stanno davvero cosí i fatti? Gesú si límita a consolare? Niente affatto. Il Gesú-Placebo non è presente nel Vangelo e nemmeno nella realtà. Quel pensiero è di chi non conosce davvero Gesú o vuole èssere guarito solo nel corpo e non anche nell’ànima, ragiόn per cui la salvezza è per costoro solo salute, guarigione del corpo, benèssere psico-físico. In realtà Gesú è Mèdico delle ànime e dei corpi, cioè è il Salvatore di tutta la persona, non di una parte. Egli ha assunto la nostra umanità per redímere l’uomo integralmente, senza trascurare nulla, ma anche senza illúdere o viziare il credente. Di lui, infatti si dice che fece molti miràcoli e guarigioni a Cafàrnao, a Corazín, a Betzaida, e in altre parti della Galilea e Giudea, ma che non ne fece a Nazaret. Il Vangelo di san Luca sostiene che «C’era gran folla di suoi discèpoli e gran moltitúdine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che èrano venuti per ascoltarlo ed èssere guariti dalle loro malattie; anche quelli che èrano tormentati da spíriti impuri venívano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6, 17-19). E quello di san Giovanni si conclude con queste parole: «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesú che, se fόssero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrèbbero scrívere» (Gv 21, v.25). Dunque Gesú guariva e liberava, non a parole ma nei fatti, come nel caso dei dieci lebbrosi di cui parla il Vangelo di oggi. E anche oggi guarisce e líbera folle di persone che ricόrrono a lui. Ma c’è un critèrio che lo guida sempre nel fare gràzie, miràcoli e prodigî: ognuna di queste cose deve avere ripercussioni sulla vita soprannaturale, che è il destino último di ogni uomo e comíncia adesso con la nostra fede autèntica. Il tempo e lo spàzio sèrvono all’Eternità; il límite e il finito sèrvono all’Infinito; la vita naturale con o senza la salute, sèrvono alla glòria futura. Per questo motivo le azioni e le gràzie di Gesú (guarigioni, liberazioni, risurrezioni) non sono mai per farci méttere le radici su questa terra, come se non la dovéssimo lasciare mai, ma per farci méttere le radici in cielo. A terra i nostri piedi, che come sappiamo sèrvono a camminare; le radici però di quell’àlbero che Doménica scorsa abbiamo meditato nàscere dal semino di sènape, sono ben piantate in Cielo; e dal cielo ricèvono linfa, speranza, vigore e attrazione.
Ieri sera il santo padre, nella véglia di preghiera per la pace, ci ha detto queste parole: «Maria ci mostra che il punto di arrivo è il Signore Gesú: il centro verso cui tutto converge; l’asse attorno al quale ruòtano il tempo e l’eternità». Da quanto ci siamo detti e da queste parole, comprendiamo perché il Signore nel Vangelo di oggi loda il samaritano che è tornato indietro a ringraziare per la sua guarigione; commísera i nove giudei che, guariti allo stesso modo dalla lebbra, non hanno capito che come il tempo serve all’eternità, cosí la salute recuperata serve alla vita piena, santa, e riconoscente a Dio, che si può vívere solo in Cristo Gesú. Questa è la vera salvezza: una vita piena, santa e riconoscente a Dio; non una guarigione che mi fa dimenticare l’autore della guarigione. San Pàolo, nella seconda léttera a Timòteo, ha chiaro questo tipo di salvezza: «sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiúngano la salvezza che è in Cristo Gesú, insieme alla glòria eterna» (2 Tm 2, v.10). La salvezza è l’èssere in Cristo Gesú!: èssere trovati in Lui, sia che la salute non l’abbiamo mai persa, sia che ci sia stata restituita da Lui, sia se non la possediamo piú e sappiamo che non l’avremo piú. Il miràcolo è sempre possíbile a Dio e presuppone la fede in questa possibilità. Ma se non gènera la vita piena che chiamiamo salvezza (ed è il vívere e il morire in Cristo), anziché servirci, aumenterà la nostra colpa al cospetto di Dio: abbiamo avuto beneficî da Dio, ma nessuno di essi ci ha fatto vívere in Lui e per Lui. Dieci lebbrosi sono stati guariti in questa occasione dal Mèdico delle ànime e dei corpi, ma uno solo è stato salvato. Chi è stato salvato? Uno straniero, non uno appartenente al pòpolo eletto. Questo perché chi si abítua alle gràzie ordinàrie di Dio, ma non le fa convèrgere alla sua adorazione e lode, anche se ottiene un vantàggio sugli altri (in questo caso la guarigione dalla lebbra), anche se appartiene al pòpolo eletto (cioè: anche se è ebreo come Gesú era ebreo) non otterrà la vita piena e la vita eterna. San Pàolo spiega ancora mèglio nella seconda lettura questo tipo di vita: «Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso» (2 Tm 2, 11-13).
È vero dunque ciò che leggiamo nel Salmo 97: «Il Signore ha fatto conόscere la sua salvezza, agli occhî delle genti ha rivelato la sua giustízia» (Sal 98 [97], v.2). L’ha fatta conόscere in questo modo sapiente: la felicità nel tempo e nell’eternità è Lui; la guarigione miracolosa e la sofferenza paziente dipende da Lui; la vita e la morte sono salvezza solo in Lui. Questo era chiaro a san Carlo Acutis, il quale diceva, a soli 15 anni: «La nostra meta deve èssere l’Infinito non il finito».
Chiediàmoci, fratelli e sorelle, se sappiamo apprezzare le gràzie ordinàrie e quelle straordinàrie di Dio in vista dell’eternità, o se ne facciamo uso come cose scontate, dovute, ed eterne in sé stesse. Gesú ci aspetta ogni giorno con un cesto di ringraziamenti che mèrita. Se il cesto non arriva e noi non viviamo in Lui, non farà piú la domanda, ma dirà sconsolato: «Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rèndere glòria a Dio, all’infuori di questo straniero» (Lc 17, v.18).

XXVIII Doménica del T.O. anno C, 2Re 5,14-17; Sal 97; 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19.

* L’ autore aderisce ad una riforma ortografica della lingua italiana

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